Lo smantellamento dell’area industriale alla foce del Poschiavino

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La foce del fiume è uno dei punti più belli della valle. Costituisce il confine naturale tra la punta estrema del Cavrescio a ovest e Le Gerre a est. Due mondi in stridente contrasto tra loro: campagna e un parco inglese, fragrante di bosco e di erbe, sonoro di acque e cinguettio di uccelli dalla parte del Cavrescio; dall’altra uno spazio adibito all’estrazione, deposito e lavorazione di inerti, che sull’arco di un secolo ha occupato tutti i terreni tra il Poschiavino, la Coda del Cantone e il Botul. Ma ecco la novità sensazionale! Proprio quest’anno la vasta zona industriale è stata quasi interamente smantellata. Motivo per cui, malgrado la babilonia di guerre, esodi e carestie che affliggono l’umanità, l’anno che sta per volgere al termine passerà agli annali della frazione di Le Prese come un anno memorabile. 

Quando lo viene a sapere Ettore Tuena, che alle Gerre ha lavorato tanti anni in gioventù e ora è un po’ legato nei movimenti a causa dei suoi novant’anni scoccati, vi si fa portare a vedere. Trovandosi davanti un’enorme spianata nel punto dove prima ruggivano macchinari e sorgevano montagne di inerti, capannoni e sili, quasi non vuole credere ai suoi occhi. Il suo sguardo spazia liberamente sul lago, sui paeselli vicini e sulle montagne. Le nuvole di polvere, il fracasso e i gas di scarico di frantoi, cingolati, ruspe, betoniere e camion in movimento sono soltanto un ricordo che ravviva il piacere del presente idillio.

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Per un momento Ettore rimane in silenzio ad ammirare. Poi dà la stura ai ricordi che abbracciano le esperienze più diverse, da quando l’estrazione di materiali inerti si faceva a mano e il trasporto con animali da tiro, fino alla completa motorizzazione e meccanizzazione. Mi mostra dove erano scaglionati i primi estrattori, tutti di Cantone. Dove ammucchiavano la sabbia e la ghiaia, dove sorgeva una baracca dei pescatori e poi sorsero i primi impianti automatizzati e il primo silo. Mi indica fin dove un tempo arrivavano gli appezzamenti coltivati, nonché l’imbocco di un canale che si era scavato dal fiume alla Coda per deviare parte dell’acqua e diminuirne l’impeto alla foce. Mi parla dei concessionari, dei padroni, dei braccianti, tutti defunti, di Nicola Zanetti in particolare, che per ingannare il tempo inventava versi in dialetto ispirandosi al proprio lavoro. Versi che oggi sono un documento importante di quegli anni e che meriterebbero di essere pubblicati.

Riparleremo in altra sede di detta area, della metamorfosi da un’economia di tipo medioevale all’industrializzazione e all’attuale realtà postindustriale nei ricordi di Ettore. Al momento vogliamo esprimere la nostra riconoscenza a tutti coloro (iniziatori, imprenditori, avvocati, autorità comunali e cantonali) che hanno cooperato a questo cambio di destinazione e alla valorizzazione della nostra foce, che è uno dei punti più belli ed ecologicamente più sensibili della valle.


Massimo Lardi