La fede è movimento

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Matteo 2, 1-12
Sermone del 15 gennaio 2023

Essendo Gesù nato a Betlemme di Giudea, all’epoca del re Erode, dei magi d’Oriente arrivarono a Gerusalemme, dicendo: “Dov’è il re dei Giudei che è nato? Poiché noi abbiamo visto la sua stella in Oriente e siamo venuti per adorarlo”. Udito questo, il re Erode fu turbato e tutta Gerusalemme con lui. Radunati tutti i capi sacerdoti e gli scribi del popolo, s’informò da loro dove il Cristo doveva nascere. Essi gli dissero: “In Betlemme di Giudea, poiché così è scritto per mezzo del profeta: ‘E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei affatto la minima fra le città principali di Giuda; perché da te uscirà un Principe, che pascerà il mio popolo Israele’”. Allora Erode, chiamati di nascosto i magi, s’informò esattamente da loro del tempo in cui la stella era apparsa e, mandandoli a Betlemme, disse loro: “Andate, domandate diligentemente del bambino e, quando lo avrete trovato, fatemelo sapere, affinché venga anche io ad adorarlo”. Essi dunque, udito il re, partirono e la stella che avevano visto in Oriente andava davanti a loro, finché, giunta al luogo dov’era il bambino, vi si fermò sopra. Essi, vista la stella, si rallegrarono di grandissima gioia. Ed entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre e, prostratisi, lo adorarono e, aperti i loro tesori, gli offrirono dei doni: oro, incenso e mirra. Poi, essendo stati divinamente avvertiti in sogno di non ripassare da Erode, tornarono al loro paese per altra via.

I personaggi principali di questo brano sono i “magi”, forse astrologi babilonesi venuti a conoscenza delle attese giudaiche di un Messia. Si tratta di uomini di scienza che nel loro studio cercavano delle rivelazioni sui segreti della storia. Il loro cammino è guidato da una stella.

Il testo di Matteo non dice che i “magi” siano tre, e nemmeno che si tratti di re. L’evangelista non conosce i loro nomi, né la loro provenienza. Tutti quei dettagli sono stati aggiunti secoli dopo.

Col passare dei secoli la fama dei “magi” è cresciuta. E noi oggi possiamo chiederci se essi siano davvero esistiti, e se la loro storia sia vera o se non sia soltanto una leggenda. Impossibile dare una risposta definitiva a questa domanda. Possiamo solo riconoscere che nel racconto dei “magi”, riferito da Matteo, si trova un messaggio profondo e vero.

Il racconto del viaggio dei “magi” può essere letto come una parabola della fede: un aspetto sul quale vale la pena soffermare l’attenzione.

Secondo la Bibbia, la fede è un viaggio. Abramo, padre dei credenti, incarna perfettamente la figura dell’uomo che si mette in viaggio a motivo della propria fede. Infatti, quando Dio chiamò Abramo, gli chiese una cosa sola: di partire, ed “egli partì, senza sapere dove andava” (Ebrei 11,8). Credere significa mettersi in viaggio. Chi crede non può rimanere là dove si trova: la fede mette in movimento, sposta. Non a caso Gesù dice che la fede sposta le montagne (Matteo 21,31), cioè sposta anche ciò che apparentemente non può spostarsi. E tante volte siamo noi ad essere inamovibili, come una montagna. La fede ci obbliga a partire, come Abramo. Anche se non sappiamo dove la fede ci porterà, dobbiamo andare.

Ma che cos’è questo viaggio? È il viaggio dal mondo a Dio, ma anche da noi stessi al prossimo; è il viaggio dal creato al Creatore, dal visibile all’invisibile, dalla superficie al fondo nascosto delle cose. È il viaggio dall’apparenza delle cose alla loro verità.

La fede è un viaggio nell’invisibile che sta fuori di noi, ma anche dentro di noi. I magi vedono la stella, ma non sanno dove essa li porterà. Però è grazie a lei che si mettono in viaggio. Se non l’avessero vista, non sarebbero partiti. E questo ci fa capire che per iniziare il viaggio della fede, abbiamo bisogno di una stella che ci guidi, o almeno ci metta in movimento. È come quando un bambino impara a camminare: per fare i primi passi ha bisogno che qualcuno lo sostenga. Così noi, per imparare a credere, abbiamo bisogno di una stella. Non sempre le stelle stanno in alto, nel cielo: possono anche stare in basso, sulla terra. Non sempre sono vere e proprie stelle, possono anche essere persone: che ci portano alla fede. La stella può anche essere una parola, un gesto, un incontro, un’intuizione inattesa, qualcosa di nuovo che ci fa iniziare il viaggio della fede.

Quello dei “magi” è un viaggio molto lungo. Significa forse che non si arriva mai? No, ma che da dove si arriva, si riparte. Anche dopo essere arrivati a Gesù, il viaggio continua, perché Gesù stesso è anche lui un itinerante, un compagno di viaggio: il viaggio della fede continua con lui, ma continua. Questo è il senso dell’affermazione di Gesù: “Io sono la via”. Non dice: “Io sono la meta, il traguardo”. Dice: “Io sono la via”, quella che porta al Padre.

E ancora, i magi portano i doni che allora si portavano ai re e alle divinità: oro, incenso e mirra. Anche noi potremmo portare qualcosa, ma il dono maggiore consiste nel portare noi stessi. Siamo noi il dono che Dio gradisce di più, quando spinti dalla fede ci mettiamo in cammino, accettiamo di spostarci, non ci accontentiamo di pareri superficiali, ma andiamo a fondo delle cose. E ci incamminiamo seguendo le tracce di Gesù.

E in conclusione, un’ultima indicazione: il viaggio della fede non lo compiamo da soli, ma insieme ad altri. E non è una gara a chi arriva prima, non è una competizione. Non cadiamo nell’errore del fariseo che crede di avere una fede migliore e perciò ritiene di poter squalificare l’umile pubblicano che prega accanto a lui (Luca 18,9-14). E lasciamoci guidare dalle indicazioni dell’apostolo Paolo che esorta a pazientare con chi ha dei dubbi o delle debolezze (1 Corinzi 8,1-13). Così il viaggio della fede può diventare un percorso lungo il quale imparare anche a portare i pesi gli uni degli altri.

Pastore Paolo Tognina