Una predica sull’ecumenismo

0
105

Luca 18,9-14
Sermone del 22 gennaio 2023

I culti vengono registrati e si possono riascoltare al seguente indirizzo:

https://diretta.riformati-valposchiavo.ch

[Gesù] disse ancora questa parabola per certuni che erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio per pregare; uno era fariseo, e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così dentro di sé: “O Dio, ti ringrazio che io non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri; neppure come questo pubblicano. Io digiuno due volte la settimana; pago la decima su tutto quello che possiedo”. Ma il pubblicano se ne stava a distanza e non osava neppure alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: “O Dio, abbi pietà di me, peccatore!” Io vi dico che questo tornò a casa sua giustificato, piuttosto che quello; perché chiunque s’innalza sarà abbassato; ma chi si abbassa sarà innalzato». (Luca 18,9-14)

La celebre parabola del fariseo e del pubblicano mette a nudo gli atteggiamenti “farisaici” delle persone religiose, ma può essere applicata anche alle comunità umane, e alle chiese cristiane. Proviamo a parafrasarla, in questi giorni della “settimana di preghiera per l’unità dei cristiani”, proponendone una nuova versione.

“[Gesù] disse questa parabola per certe chiese che erano persuase di essere giuste e disprezzavano le altre. Molte chiese si rivolsero a Dio, all’inizio di un anno, in preghiera. L’una, che si chiamava cattolica, universale, disse: ‘O Dio, ti ringrazio che non sono come quelle altre chiese: parziali, frammentate, settarie ed eretiche; io ho la pienezza della fede, io ho la continuità del sacro ministero; io sono una realtà veramente universale e ho un unico centro; sono cattolica e romana e la terra è piena della mia presenza e delle mie opere’.

E un’altra chiesa, che si chiamava ortodossa, deposito della retta dottrina e della retta fede, disse: ‘O Dio, ti ringrazio che non sono come quelle altre chiese: non ho e non voglio avere un unico centro, perciò ne ho molti; io so adorarti come nessun’altra, lo splendore dei miei luoghi di culto e soprattutto delle mie liturgie è incomparabile; io sono la chiesa del tuo Spirito che anima la vita e il culto: in quei momenti sono già in cielo, divento tutt’uno con te’.

E un’altra chiesa, che si chiamava protestante, vestita in vari modi, ma tutti più o meno modesti e sobri, disse: ‘O Dio, ti ringrazio perché non sono come quelle altre chiese; io ho capito Gesù Cristo, ho capito la sua croce; io rendo una testimonianza autentica: sola Scrittura, sola grazia, sola fede, solo Cristo; io sono la tua vera e genuina testimone – con ordine, con serietà, non come quelle chiese confusionarie e superficiali -, io sono una chiesa storica’.

E un’altra chiesa, che si chiamava evangelica libera, anch’essa senza paramenti, disse: ‘O Dio, ti ringrazio che non sono come tutte quelle altre chiese storiche, ammuffite nelle loro tradizioni noiose; io credo in te con la freschezza originaria; io sono il vero e unico testimone dell’annuncio di Gesù Cristo; l’evangelo è semplice e io non lo rendo complicato da capire; io sono veramente evangelica’.

Dietro tutte queste facce, dentro tutte queste chiese, qua e là, a momenti, si levava però una voce sommessa e intensa, che diceva: ‘O Dio, abbi pietà di me, chiesa peccatrice. Io vi dico in verità che chi così ha pregato se n’è tornato alla sua vita giustificato, piuttosto che quelle. Non c’è nessuna chiesa giusta, neppure una”.

Il movimento ecumenico, nella sua ispirazione profonda, rappresenta la fine del “farisaismo” delle chiese e delle confessioni cristiane. O comunque lo smaschera, lo mette a nudo, lo mette in questione. Il movimento ecumenico è animato dal principio dell’umiltà delle chiese: nella sua essenza, è il grande appello al ravvedimento non solo personale, ma anche delle comunità, non solo dei singoli credenti in Cristo, ma delle chiese e delle confessioni in cui le cristiane e i cristiani si raccolgono.

Il teologo riformato olandese Willem Visser ‘t Hooft, aveva proposto la seguente immagine per descrivere l’essenza del movimento ecumenico: nelle nostre varie chiese, noi siamo come sui raggi di una grande ruota, il cui perno è Gesù Cristo. Quanto più lontani siamo dal centro, lungo il nostro raggio, tanto più lontani ci ritroviamo gli uni dagli altri; quanto più il centro attira le nostre vite personali e delle nostre chiese, quanto più ci avviciniamo a Cristo, tanto più vicini ci ritroviamo gli uni agli altri. Essenziale è dunque il nostro rapporto, come singoli credenti e come chiesa, con Gesù, il centro dell’evangelo. A condizione, naturalmente, che non dimentichiamo mai che egli non è nostro, ma che noi siamo suoi.

Questa visione nel frattempo si è offuscata. Quel grande impulso di riconciliazione in Cristo è stato soppiantato da un superficiale volersi bene, senza più vera passione per la verità. Nel movimento ecumenico l’impulso unitario ha finito spesso per prevalere sulla questione del ravvedimento e della conversione a Cristo. L’ecumenismo ha finito per essere poco più che un riconoscimento dei “valori” cristiani presenti nelle diverse confessioni. La chiesa, così com’è venuta configurandosi nei secoli, nelle sua varie articolazioni confessionali, non si sente più messa in questione. E dunque invece che a un ravvedimento delle chiese, ci troviamo di fronte a un loro riassestamento.

Ora, il discorso dei “valori cristiani” presenti nelle diverse confessioni può anche, entro certi limiti, essere legittimo e doveroso. Però si corre il rischio che il giudizio di Dio, sotto il quale noi tutti stiamo, venga eluso e sostituito con il nostro.

Ma l’ecumenismo non tende in primo luogo a questo riconoscimento reciproco di patrimoni confessionali. Esso tende, al contrario, al riconoscimento comune della nostra povertà di cristianesimo reale, e alla ricerca comune di una chiesa degna di questo nome, degna cioè del nome di Gesù Cristo.

Il rischio è che le chiese s’interessino più di se stesse che di Dio, più delle loro tradizioni dottrinali, istituzionali e liturgiche che dell’evangelo, più della loro vita – magari di fronte alle minacce esterne, come la tanto sbandierata “paura di fronte all’islam” – che della loro missione di annunciare l’evangelo, e di vivere in conformità ad esso.

Ecumenismo non è darsi reciprocamente patenti di cristianesimo, ma ritrovarci tutti sotto il giudizio e la grazia di Dio; non è darsi reciproci riconoscimenti, ma aiutarci a vicenda a toglierci le travi che tutti abbiamo nell’occhio.

Importante, vitale, prioritario, non è innanzitutto che le diverse chiese si riconoscano a vicenda: importante e vitale è che il Signore Gesù Cristo ci riconosca come suoi, e non debba invece un giorno rinnegarci, perché noi lo abbiamo rinnegato – magari in buona fede e buona coscienza ecclesiastica.

Dopo decenni di ecumenismo e di confronto ecumenico non abbiamo forse ancora capito quanto dobbiamo sfrondare e riformare, quanto il Signore vuole far morire e vuole risuscitare a vita nuova nella nostra esistenza di cristiani e di chiese, affinché, con molta umiltà e maggiore semplicità, riprendiamo a camminare, tutti quanti, sulle orme di Gesù.

Pastore Paolo Tognina