Ciò che l’amore fa e non fa

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1 Corinzi 12,31b-13,13
Sermone del 12 febbraio 2022

Ora vi mostrerò una via, che è la via per eccellenza. Anche se parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho amore, divento un rame risonante o uno squillante cembalo. E quando avessi il dono di profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da trasportare i monti, se non ho amore, non sono nulla. Anche se distribuissi tutte le mie facoltà per nutrire i poveri e dessi il mio corpo a essere arso, se non ho amore, non mi gioverebbe a niente.

L’amore è paziente, è benigno; l’amore non invidia; l’amore non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non sospetta il male, non gode dell’ingiustizia, ma gioisce con la verità; soffre ogni cosa, crede ogni cosa, spera ogni cosa, sopporta ogni cosa.

L’amore non verrà mai meno. Quanto alle profezie, esse saranno abolite; quanto alle lingue, esse cesseranno; quanto alla conoscenza, essa sarà abolita, poiché noi conosciamo in parte e in parte profetizziamo, ma, quando la perfezione sarà venuta, quello che è solo in parte sarà abolito. Quand’ero fanciullo, parlavo da fanciullo, pensavo da fanciullo, ragionavo da fanciullo, ma, quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da fanciullo. Poiché ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro, ma allora vedremo faccia a faccia; ora conosco in parte, ma allora conoscerò appieno, come anche sono stato appieno conosciuto.

Ora dunque queste tre cose durano: fede, speranza e amore, ma la più grande di esse è l’amore. (1 Corinzi 12,31b-13,13)

Torniamo a riflettere sul capitolo 13 della prima lettera alla comunità cristiana di Corinto.

Nella parte centrale del testo, l’apostolo dice che “l’amore è paziente”. Potremmo dire, con altre parole, che l’amore “ha il fiato lungo”. Se guardiamo le corse, quelle sulle lunghe distanze, vediamo che vincono quegli atleti che sanno distribuire i propri sforzi, che non bruciano tutte le loro energie nelle fasi iniziali e che nell’ultimo tratto hanno più fiato.

È una condotta di gara che possiamo fare nostra, come condotta di vita nelle relazioni con gli altri. Se consideriamo le tensioni che attraversano la nostra società e i conflitti che esistono nei rapporti tra gli anziani e i giovani, tra gli adulti e i bambini, tra colleghi e di fronte a concorrenti e rivali, capiamo facilmente l’importanza di avere il fiato lungo.

Come stiamo nelle chiese per quanto riguarda il “fiato lungo”? Non è affatto detto che nelle chiese la pazienza sia molto diffusa. Dopotutto è stato un credente a rivolgere a Gesù la domanda: “Chi è il mio prossimo?”, sono stati i discepoli a mostrarsi intolleranti con le donne e insofferenti con i bambini, è stato Pietro a rinnegare il suo maestro.

Siamo donne e uomini membri di una società di impazienti, non abbiamo tempo per noi stessi, non abbiamo tempo per gli altri, non sappiamo aspettare, non concediamo il tempo necessario affinché le cose crescano, non lasciamo spazio a chi ci sta di fronte perché possa esprimersi, acquistare fiducia. Quante volte l’altro non è per noi un partner, ma un oggetto su cui sfogare i nostri malumori?

Quanti nostri rapporti sono segnati dall’indifferenza o dall’aggressività. E alcune categorie di persone – i bambini, i malati, gli handicappati, gli stranieri – ne risentono in modo particolare.

Chi vive sospettosamente, temendo sempre di essere danneggiato, chi si difende aggressivamente dal pericolo di essere messo in secondo piano, chi annota con rancore il torto subìto per poterlo poi rinfacciare a Dio e agli uomini, costruisce un mondo in cui l’amore è irrimediabilmente soffocato. Come nello sport, anche nella vita quotidiana ci si può allenare per avere il fiato lungo e la resistenza necessaria. Occorre però allenarsi finché si è in tempo e non si è ingrassati troppo o divenuti troppo pigri. Una cosa è certa, se non abbiamo il fiato lungo, contribuiamo a far crescere l’inumanità che è in noi e intorno a noi. E allora diventerà sempre meno credibile l’affermazione che noi siamo in cammino sulle orme di Gesù.

È difficile determinare come l’amore si manifesta, perché una delle sue caratteristiche è il fatto che esso compare in modo spontaneo e che si adatta alle diverse circostanze. Il testo offre tuttavia un’indicazione che vale la pena ascoltare. L’apostolo Paolo inizia elencando numerose negazioni. L’amore “non invidia, non si vanta, non si gonfia, non si comporta in modo sconveniente, non cerca il proprio interesse, non s’inasprisce, non sospetta il male, non gode dell’ingiustizia”. Non parla dell’amore in negativo, dice quello che l’amore non fa. Amare significa dunque non fare tante cose. Quei “non” ripetuti più volte, all’inizio di ogni frase, evidenziano come l’amore ponga innanzitutto dei limiti. Perché l’amore non fa determinate cose? Perché esso crea innanzitutto spazio per la comunione. Per amare l’altro devo innanzitutto rinunciare a fare ciò che lo danneggia. In questo modo si crea uno spazio nel quale l’altro può essere libero, e nella libertà si può realizzare un’autentica e umana comunione.

In un mondo in cui principi, norme, regolamenti e dogmi contano purtroppo sempre ancora più dell’essere umano, applicare questo discorso e vivere questo amore è quanto mai necessario e attuale. In una società come la nostra, in cui molti sono indaffarati a cercare giustificazioni di ogni tipo per non assumersi responsabilità, non crescere e non divenire adulti e umani, l’appello dell’apostolo che ci mette in guardia di fronte a queste ipocrisie e ci indica la via dell’umanità costituisce davvero una boccata d’aria fresca.

Pastore Paolo Tognina