Se avessimo una macchina del tempo sarebbe interessante viaggiare fino a duecento anni fa e raccontare la Valposchiavo di oggi alla gente di allora. Oltre alle meraviglie tecnologiche, credo che una delle notizie che stupirebbero di più i nostri uditori è sapere che, nel 2023, in Valposchiavo ci sono gli ulivi e si produce l’olio! Confesso che anche io fatico ogni tanto a crederci, ma gli uliveti, anche in Valtellina, prendono sempre più il posto di altre colture sui terrazzamenti: il clima della Valposchiavo è però generalmente più severo, quindi lo stupore raddoppia.
Sapevo che c’erano state delle pionieristiche coltivazioni di questo tipo, ma non sapevo bene a che punto fossimo. Quando però, qualche settimana fa, sono stato a visitare il negozio di spezie di Tiziano Iseppi, è stato proprio lui a dirmi che, oltre a quella iniziativa, ce n’era un’altra in partenza e che riguardava l’olio. Per questo son tornato per visitare le coltivazioni e saperne di più.
Premetto che non mi stupisce che la coltivazione dell’ulivo avvenga a Campascio: l’esposizione e la protezione da parte delle rocce, nonché l’esistenza di piccoli terrazzamenti, permette qui anche la coltivazione della vite: proprio da queste vigne proviene il Campà, il Sauvignon Blanc di Pietro Triacca: unico vino prodotto interamente da uve valposchiavine.
La giornata in cui arrivo è una delle pochissime fredde di questo inverno anomalo e mite e sembra che voglia nevicare, tanto che Tiziano mi prende anche un po’ in giro: ogni volta che ci vediamo sembra che io porti con me il clima più rigido. Andiamo subito a visitare i terrazzamenti, e mi faccio spiegare un po’ la coltivazione. Tutto è iniziato con le prime due piante, quelle quasi incastonate nella roccia, messe qui a dimora dal padre di Tiziano da molto tempo. Molti si aspettavano che non durassero a lungo e invece… Non solo continuavano a sopravvivere, ma cominciavano a produrre anche olive, che arrivavano anche a maturazione. A questo punto, Tiziano si era incuriosito e aveva deciso di cercare di capire se non si potesse, specie su questi terrazzi abbandonati, realizzare una piantagione.
Piano piano siamo giunti, una pianta alla volta, sfruttando lo spazio disponibile, a 80 piante già messe a dimora. Difficile calcolare quante altre piante si potranno aggiungere con il tempo: ciò dipende anche da quanto si riuscirà a sistemare degli altri terrazzi, ma una volta che tutto sarà completato si potrebbero contare 200 ulivi.
Al momento è stata effettuata un’opera di taglio del legname che ha permesso una pulizia di altri terrazzamenti, anche grazie a un contributo, poi si dovranno sistemare i terrazzamenti e i relativi muri a secco e solo allora sarà possibile prendere in considerazione il trapianto di nuovi alberi.
La grande fortuna è avere l’irrigazione con l’acqua del lago utilizzata a scopo agricolo. Per il momento si usano i getti, ma per il futuro sarebbe da immaginare un’irrigazione a goccia.
La produzione di olio, ora che le piante sono ancora molto giovani, si aggira sui 50/60 litri annuali, ma è destinata a crescere con il tempo, mano a mano che gli ulivi diventeranno più produttivi.
L’interesse sul prodotto c’è e viene in parte assorbito dall’azienda di Niccolò Paganini, importante e strategico partner del progetto. “Ma non riusciamo a far fronte a tutta la richiesta, se ne avessimo di più il mercato ci sarebbe”. Anche per questo, così come per l’idea di avere un olio prodotto interamente in Valposchiavo, spremitura delle olive comprese, come spiega Iseppi, è nata l’idea di un frantoio. Attualmente non ne esiste uno nemmeno nella vicina Valtellina, nonostante gli uliveti stiano prendendo piede sia nel Tranese che nella zona di Teglio/Ponte/Tresivio/Poggiridenti e nella Bassa Valle. Tutti quindi, compreso il piccolo produttore della Valposchiavo, devono portare le proprie olive per la spremitura sul Lago di Como, con un costo ulteriore. Ecco perché il nuovo frantoio potrebbe essere attrattivo anche oltrefrontiera.
Il luogo prescelto è il vecchio caseificio, nel seminterrato della casa frazionale di Campascio. Serve però allo scopo qualche sistemazione: niente di strutturale, ma alcuni lavori per riattare i locali, da qualche tempo in disuso, saranno indispensabili. Per quanto riguarda i costi del frantoio stesso, si parla di circa 60-70.000 franchi.
Esistono altre zone che potrebbero essere utilizzate per mettere a dimora nuovi uliveti? Al momento la terra utilizzata è solo quella di Campascio, ma sembra ci sia anche una valutazione sui terrazzi di Campocologno.
Per quanto concerne le varietà di ulivo, si tratta di cultivar toscani, anche se persino un paio di piante di origine pugliese sembrano aver attecchito senza alcun problema sugli assolati terrazzi di Campascio. L’olio prodotto è perciò al momento un blend, ovvero una mescolanza di cultivar diversi, da un lato a causa dell’ancora esigua quantità di olive e dall’altro per via della mancanza del frantoio.
“Le piante, però, crescendo – conclude Iseppi – produrranno maggior raccolto e quando ci sarà il frantoio sarà possibile (ed è quello che vorrei) realizzare degli olii monocultivar, esaltando le proprietà di ciascuno”.
queste sì che son belle notizie!In un mondo sempre più frenetico c’è chi pensa di tornare alle origini e soprattutto a una coltivazione che presuppone lentezza.Che noia se leggessimo sempre e solo di nuovi visioni futuristiche che sanno unicamente di digitale. Non che disdegni il mondo digitale,anzi, ma leggere di lentezza e cura della terra mi riempie il cuore.Grande Tiziano, buona fortuna