Giovanni 20,11-16
Sermone del 16 aprile 2023
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Maria stava vicino al sepolcro, e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro e vide due angeli in bianche vesti, seduti l’uno dalla parte del capo e l’altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! (Giovanni 20,11-16)
Una delle cose che più colpiscono leggendo i racconti della resurrezione è il fatto che i discepoli non attendevano affatto di rivedere Gesù vivente.
La voce che Gesù aveva preannunciato la sua resurrezione si era diffusa, ma aveva fatto più colpo sugli avversari che non sui discepoli. Gli avversari erano abituati a dominare la folla e a prevenirne tutti i possibili slanci e colpi di testa e perciò si erano preparati. Non si sono preparati ovviamente contro la resurrezione, ma contro il possibile trafugamento del corpo, che avrebbe potuto accreditare quella diceria. E dunque mettono delle guardie a sorvegliare il sepolcro.
Gli avversari non credono nella resurrezione, né pensano che possa verificarsi nulla di simile. Ma non ci pensano e non ci credono neppure i discepoli: i discepoli hanno il senso quadrato delle cose, il senso di chi, come si dice, sta coi piedi saldamente piantati sulla terra.
Fuggono, si rifugiano in un luogo sicuro. In fondo, sono dei pragmatici. Non c’è viltà in loro, c’è solo arido realismo. A che pro mettere a repentaglio la propria vita, impegnarsi? L’avevano messa a repentaglio, la vita, si erano impegnati, per un maestro vivo e operante.
La crocifissione sul Golgota ha messo fine ai loro sogni. Tutto ciò in cui hanno creduto mentre Gesù era vivo, è scomparso, cancellato. Mancando Gesù è venuta meno la visione che egli aveva aperto davanti ai loro occhi. La realtà è tornata a essere quella di prima.
Il vangelo di Marco a questo riguardo è chiaro: “Dopo essere risuscitato, la mattina presto Gesù si fece vedere da Maria Maddalena. Allora Maria andò dai discepoli, che erano tristi e piangevano, e portò la notizia che Gesù era vivo e lei lo aveva visto! Ma essi non le credettero. Più tardi, Gesù apparve in modo diverso a due discepoli che erano in cammino verso la campagna. Anch’essi tornarono indietro e annunziarono il fatto agli altri. Ma non credettero neanche a loro. Alla fine Gesù apparve agli undici discepoli mentre erano a tavola. Li rimproverò perché avevano avuto poca fede e si ostinavano a non credere a quelli che lo avevano visto risuscitato”.
Quello che ci sorprende di più è il vangelo di Giovanni, il quale attribuisce questa stessa impenetrabilità e materialità a Maria Maddalena. Una donna, sensibile, intelligente e pia. Ma quando Gesù le appare… questa discepola gli parla come se fosse il giardiniere. Anche Maria Maddalena è cieca e sorda, come gli altri.
Perché soffermarci su questa impenetrabilità dei discepoli? Perché si tratta dello stesso male di cui soffriamo anche noi. Anche noi non comprendiamo, non vediamo. Non riusciamo a ricevere la vita che è intorno a noi. Non solo quella che ci è promessa da Dio nella fede, ma anche quella degli uomini e delle donne che vivono accanto a noi.
Anche quando abbiamo sperimentato il dolore e l’amarezza di essere incompresi, o trattati ingiustamente, o non apprezzati per il nostro valore, facciamo generalmente fatica a imparare, da questa esperienza, ad essere più sensibili e attenti verso gli altri. E commettiamo lo stesso vandalismo nei confronti di chi ci vive accanto. Non impariamo, dall’ingiustizia subita, a essere, noi, aperti verso gli altri.
Per i discepoli valeva molto di più il fatto di aver visto il loro maestro morire che tutte le promesse e gli annunci di resurrezione. Maria ha davanti a sé un uomo che scambia per un giardiniere, e i due che vanno verso Emmaus hanno a fianco un uomo che scambiano per un viandante qualunque.
È vero che alla chiusura dei loro occhi supplisce a un certo momento una voce che li risveglia e permette loro di vedere. Maria è risvegliata dalla parola di Gesù che la chiama per nome. I due di Emmaus saranno risvegliati dalle parole di Gesù quando insieme spezzano il pane. I nostri occhi si aprono sempre così: nel momento in cui qualche cosa ci tocca il cuore, quando una parola tocca corde profonde…
Si tratta di momenti che non dipendono solo da qualche forza esterna. Anche a noi è chiesto di fare qualche cosa affinché affiori dentro di noi la visione di una nuova realtà. Siamo chiamati a fare qualcosa. Se no Gesù non avrebbe rimproverato i suoi discepoli. Di fatto i discepoli non riconobbero Gesù perché non attendevano niente. Il vero miracolo della resurrezione è qui: che egli è apparso a chi non pensava nemmeno alla sua promessa di resurrezione.
Voi non credete. Chi crede vive in attesa. Cioè tiene gli occhi bene aperti e si guarda intorno. La nostra capacità di comprendere, di vedere oltre il nostro orizzonte abituale, è strettamente collegata con la nostra apertura a ricevere da Dio una realtà nuova. Troppe volte viviamo invece come rattrappiti, chiusi in noi stessi, nelle nostre faccende, nei nostri guai, nelle nostre preoccupazioni. Come i discepoli. Come quelle donne, cieche, che vanno a imbalsamare un corpo per assicurargli il più lungo soggiorno possibile nella tomba; donne che piangono perché questo è loro impedito dal fatto che la tomba è stata chiusa; donne che non riescono a vedere e a capire, intente nelle loro faccende funebri. Discepoli, che piangono pure loro, chiusi nel senso della loro sconfitta, rinchiusi insieme in un luogo dove nessuno li può trovare.
Spesso siamo ripiegati sui nostri affanni e non vediamo quello che il Signore continua a fare per noi, o ci chiede di fare. Occorre perciò che facciamo nostra l’invocazione del cieco Bartimeo: “Signore, fa che io ci veda!”.
Pastore Paolo Tognina