Due barconi con 137 persone a bordo; barconi non adatti a trasportare tante persone; barconi legati tra di loro. Uno di questi urta un tronco e si squarcia affondando, l’altro ne segue la sorte. Le acque vorticose ingoiano 111 persone, 26 si salvano. Le stesse acque restituiscono solo una trentina di corpi. Ai nostri giorni nel Mediterraneo? No, il 5 settembre del 1687 a Lyss (Berna). E le vittime erano profughi, giusto come i 97 affogati a Cutro (Calabria) il 26 febbraio scorso. Profughi riformati francesi che cercavano asilo, protezione e lavoro in Svizzera (una parte) o in Germania. E di fasciame nautico un cippo a Lyss e una croce a Cutro a memoria imperitura delle tragedie.
Su questi fatti dolorosi si è chiusa la conferenza tenuta dal pastore valposchiavino Paolo Tognina venerdì 14 aprile al Centro evangelico di Cultura di Sondrio: “Profughi per l’Evangelo”.
Tognina ha voluto iniziare la sua relazione fornendo una data di partenza: 1492. Sì, nell’ottobre di quell’anno Colombo sbarcò in quella che poi si sarebbe chiamata America. Ma a noi interessa invece altro: in primavera i re cattolici di Castiglia e Aragona decretarono che gli ebrei (centomila) fossero espulsi dalla penisola iberica, salvo conversione; in gennaio era stata cancellata la presenza statuale musulmana, cui seguì agli inizi del Seicento la loro definitiva espulsione (trecentomila). E già in pieno Cinquecento, con la cosiddetta “inquisizione romana” era cominciata in diversi stati europei la caccia e la cacciata dei riformati. Di fronte alla persecuzione (tra l’abiura o il carcere, la galera, la morte), la fuga verso il nord rappresentò in molti casi l’unica via di scampo. Nei decenni, a parere di Conradin Bonorand, furono attorno al migliaio gli italiani profughi arrivati da noi.
“Addio Patria bella, cacciati senza colpa, andrem di terra in terra, eppur la nostra idea è solo idea d’amor”, parafrasando l’inno di Pietro Gori.
Tornando a noi e alla Repubblica delle Tre leghe… qui, giusto cinquecento anni fa, promotore Johannes Comander, la Riforma cominciò a presentarsi ai fedeli di Coira e delle valli circonvicine. Riforma che più avanti si estese, ma da sud, alle “colonie valtellinesi” (tecnicamente baliaggi).
«La maggior parte dei profughi italiani valica i passi di S. Marco o dell’Aprica, in direzione di Morbegno e Tirano, in Valtellina, e da lì prosegue per Coira attraverso il Settimo o il Bernina e l’Albula. – argomenta Tognina – Non pochi esuli si fermano a Poschiavo, in val Bregaglia o in Engadina; altri, non appena le autorità retiche lo permettono, in Valtellina e a Chiavenna. La vicinanza all’Italia, la presenza di importanti vie di comunicazione verso il nord delle Alpi e la possibilità di predicare e insegnare in italiano, sono altrettanti motivi che spingono gli esuli a rimanere nelle valli meridionali delle Leghe e nei baliaggi.
II primo esule italiano di cui si ha notizia (siamo nel 1529) è Bartolomeo Maturo, un domenicano, ex-priore del convento di Cremona, divenuto pastore a Vicosoprano. Segue il veneto Francesco Negri, benedettino a Padova, presente a Tirano nel 1531. Tanti altri, come s’è detto, seguono.
Uno tra tutti: Pietro Paolo Vergerio. Prima nunzio in Germani e poi vescovo di Capodistria, fu processato come luterano a Venezia nel 1546. Giunge da noi nel 1549. Vergerio svolge un’intensa attività di predicazione in tutta la Bregaglia, in Valtellina e in Engadina. Seppe utilizzare in modo efficacissimo la possibilità di diffondere le sue idee, a mezzo stampa, utilizzando per esempio ampiamente la tipografia poschiavina di Dolfino Landolfi».
Dunque profughi che arrivarono nella terra della libertà religiosa. E tuttavia ci fu una seconda fase. Con la rivolta valtellinese del 1620 (e del 1623 a Poschiavo) e i relativi massacri di riformati, cominciò l’esodo verso nord.
«Molti passarono oltre, raggiungendo San Gallo, Glarona, Basilea, Berna, Sciaffusa e Ginevra. Altri trovarono rifugio in Moravia, in Olanda e Germania. Percorrendo oggi il “cammino dell’industrializzazione della Ruhr” (Route der Industriekultur”), da Bochum a Duisburg, da Gelsenkirchen a Essen, ci si imbatte più volte nel nome di una famiglia dalle evidenti origini italiane, i Grillo, imprenditori nell’estrazione del carbone e nella lavorazione dei metalli. Giovanni Battista Grillo, sondriese, padre di alcuni figli, predicatore evangelico in Valtellina, fu tra le vittime della sollevazione antiprotestante. Non tutta la famiglia Grillo fu però sterminata, come si può vedere oggi in Germania». E alla serata sondriese è stato presente e partecipe il sondriese Luciano Grillo.
Ma l’accoglienza non fu sempre partecipe: nel luglio del 1625 il Consiglio di Zurigo annunciò che i valtellinesi “forti e sani” dovevano lasciare la città e «rientrare nella loro patria». Solo ai malati e ai vecchi fu concesso di rimanere e furono assicurate le cure necessarie.
Fino al 1639 la Valtellina e Chiavenna rimasero in mano agli spagnoli.
Più tardi il Capitolato di Milano escluse la possibilità di celebrarvi il culto riformato e vietò, a persone di confessione protestante, di risiedere in quei territori. Soltanto gli evangelici valtellinesi che avevano delle proprietà nella valle potevano soggiornarvi, ma non più a lungo di due mesi l’anno. Ma non sempre andò così.
Emanuele Campagna, direttore del CEC, ha voluto porgere all’attenzione dei presenti un’affermazione del religioso e storico valtellinese Saverio Xeres. Questi, in altra occasione, si rammaricò fortemente del fatto che con la rivolta valtellinese venne espunta dalla Storia (ma anche dalla Geografia) della Valtellina il pensiero e l’azione dei riformati.
Affermazione vera, ma con qualche eccezione. Casa Cattaneo a Tirano è diventata di proprietà dello storico Diego Zoia, dopo la “Confisca Reta” (ne tratteremo in un prossimo articolo) e dopo vari passaggi. Agli amici mostra i danni ancora oggi evidenti di un’archibugiata esplosa su di una trave durante i tragici assalti del 1620. Ma in quella stessa casa tornò a dimorare Maddalena Cattaneo, nipote di Giovan Andrea, figlia di Filippo e sorella di Cattaneo, tutti trucidati nei frangenti appena ricordati. Maddalena, riformata, sposatasi con l’engadinese Rudolf Steiner, restò qui fino al giorno della morte nel 1683. E per questo Diego Zoia ritiene di poter così concludere: «Nonostante la gravità dei fatti commessi, con l’uccisione senza motivo di tanti innocenti, di fatto fu possibile in Valtellina, anche nel periodo successivo al 1640, una convivenza, tutto sommato pacifica, tra cattolici e riformati». (Vedi “Maddalena Cattaneo” in “1620. La rivolta di Valtellina”, edito dalla Società storica valtellinese nel 2021).