Fate nuovi progetti!

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Matteo 6, 25-34
Sermone del 14.05.2023

Gesù dice: “Per la vostra vita non affannatevi di quello che mangerete o berrete, e neanche per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito? Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro? E chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita? E perché vi affannate per il vestito? Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.

Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. Non affannatevi dunque per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena”. (Matteo 6, 25-34)

La preoccupazione ci accompagna costantemente. Viviamo in una catena senza fine di preoccupazioni. Ci possono essere, per un breve periodo della vita, dei bambini senza preoccupazioni – forse anche noi abbiamo sperimentato quell’età spensierata -, ma non ci sono uomini o donne senza preoccupazioni. Certo, speriamo sempre di raggiungere il punto in cui finalmente ci potremo liberare da tutte le preoccupazioni. Ma non esiste alcuna “fine delle preoccupazioni”. E col preoccuparsi, nessuno mai si è liberato dalle preoccupazioni.

La preoccupazione nasce perché sappiamo di essere una realtà transitoria, di “avere una fine”, di dover morire. Di fronte al fluire del tempo – quante volte diciamo che il tempo passa in fretta, che ci sfugge tra le dita? – cerchiamo una situazione di “permanenza”, cerchiamo di trovare un appiglio, qualcosa a cui aggrapparci, in mezzo alla corrente che ci trascina via. O almeno di determinare in anticipo il futuro che ci attende. Per trovare sicurezza nel presente, ci proiettiamo verso il futuro e cerchiamo di garantirci nei suoi confronti.

Conosciamo vari modi per cercare di resistere al fluire della caducità e trovare garanzie di durata: depositando denaro in banca, costruendoci una casa, stipulando polizze assicurative, aggrappandoci a “valori eterni”. In tal modo riteniamo di essere al sicuro. Ma non siamo tranquilli, perché non riusciamo comunque a sconfiggere la morte. E allora cerchiamo almeno di mantenere, contro di essa, le nostre posizioni. Provando angoscia di fronte alla realtà ultima, ci preoccupiamo di quella penultima. E allora ci chiediamo: cosa mangeremo? cosa berremo? con che cosa ci vestiremo? dove abiteremo? A tali domande, Gesù contrappone la sua parola: “Non affannatevi per la vostra vita!”.

Quello di Gesù non è un ordine, quanto piuttosto un permesso, una concessione: non occorre che vi affanniate! Come spesso accade, Gesù propone un cambio di prospettiva: spezza la catena causale delle preoccupazioni – nella quale, senza interruzione, l’una si lega all’altra -, e pone un nuovo fondamento. Sostituisce il dominio della preoccupazione con la fiducia nel dominio di Dio. Ecco perché può aggiungere: “Abbiate fiducia!”. Gesù non si limita a sorprendere gli ascoltatori, ma indica un cammino.

Il primo passo di questo cammino consiste nell’appello che Gesù fa al buon senso e nel suo invito a riflettere. “La vita forse non vale più del cibo e il corpo più del vestito?”. Chi si preoccupa, ha un pensiero di corto respiro. Rimane nell’anticamera della vita perché ogni sua preoccupazione si riferisce soltanto a cose accidentali, ai “mezzi per vivere”, ma non raggiunge l’essenziale, il presupposto di tutto: la vita in se stessa. Quella vita di cui tra l’altro non siamo padroni, e che non è a nostra disposizione. Chiede infatti ancora Gesù: “Chi di voi, per quanto si dia da fare, può aggiungere un’ora sola alla sua vita?”. La risposta a questa domanda retorica è la stessa di prima: nessuno. Anche se oggi, ad esempio con i trapianti di organi, possiamo prolungare la vita e allontanarne un po’ la fine, la vita resta sempre limitata dalla morte e quindi non è mai a nostra totale disposizione.

Il secondo passo consiste nel ricordare la bontà della creazione di Dio. È vero che noi non disponiamo della nostra vita – suggerisce Gesù -, ma non perché essa sia dominata da forze sconosciute, bensì perché essa ci è donata da Dio. “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre… Osservate come crescono i gigli del campo: non lavorano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro”. Nella predicazione di Gesù, religione e poesia si intrecciano: non per condurci a una forma di sentimentalismo, ma per suscitare fiducia nella bontà della creazione di Dio. “Se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede?”. Nella natura Dio ha cura delle sue creature – le piante e gli animali – e allo stesso modo certamente egli si preoccupa anche per l’umanità, affinché tutti possano vivere. Dio infatti ha una vera passione per la vita, tutta la sua creazione è progettata in funzione di essa – una deduzione che non ricaviamo direttamente osservando la natura, ma riflettendo su di essa con gli occhi della fede. “Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo? Il Padre vostro celeste sa che ne avete bisogno”. Non si tratta di un appello a un cristiano beato far niente, ma una esortazione a credere. Non dobbiamo comportarci come gli uccelli e i fiori e non far nulla, ma dobbiamo sentirci dire che Dio, che pensa ad essi, ha cura pure di noi.

Denunciata la nostra tendenza a preoccuparci, rovesciata la prospettiva in base alla quale ci fondiamo sulla preoccupazione e sostituita con la fiducia in Dio, dimostrata la necessità di non fermarsi alle cose superficiali ma puntare all’essenziale, Gesù – per liberarci definitivamente dalle nostre preoccupazioni -, proclama il contenuto centrale del proprio insegnamento: “Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. In altre parole, indica il compito al quale vale la pena dedicarsi interamente e il metodo per attuarlo.

Il compito è semplice e terribilmente difficile nello stesso tempo: “Cercate anzitutto il regno di Dio e la sua giustizia!”. Lasciate perdere tutto ciò a cui, pieni di preoccupazioni, vi eravate aggrappati, e progettate con fiducia. Trasformate le vostre preoccupazioni solo per voi stessi nel provvedere al prossimo e nell’aver cura del mondo, badate al benessere di tutti.

E per quanto riguarda il metodo: “Non affannatevi per il domani, perché il domani avrà già le sue inquietudini. A ciascun giorno basta la sua pena”. Non dobbiamo voler mettere sotto controllo tutto il futuro in una sola volta, ma dobbiamo distribuirlo in singole razioni quotidiane. Così se ne ripartisce il peso e possiamo andare avanti meglio e in modo più spedito. Un tale modo graduale di procedere vale anche in ambiti più vasti – nella società, in economia e in politica – in cui il “domani” non si riferisce alle prossime ventiquattro ore, ma abbraccia i prossimi venti anni. Anche qui, però, i grandi scopi possono venir raggiunti solo attraverso i piccoli passi del coraggio e della fiducia: oggi anzitutto questo, domani il prossimo passo. In tal modo acquisteremo il fiato lungo necessario per un’autentica trasformazione. Senza dimenticare che tutti, ma proprio tutti, siamo comunque nelle mani di Dio.

Pastore Paolo Tognina