Né parentela né solitudine

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Salmo 133
Sermone del 2 luglio 2023

Ecco quant’è buono e quant’è piacevole che i fratelli vivano insieme! È come olio profumato che, sparso sul capo, scende sulla barba, sulla barba d’Aaronne, che scende fino all’orlo dei suoi vestiti; è come la rugiada dell’Ermon, che scende sui monti di Sion; là infatti il Signore ha ordinato che sia la benedizione, la vita in eterno. (Salmo 133)

Questo salmo esalta la bellezza della fraternità – e della sororità -, paragonata, con due immagini che oggi ci fanno sorridere, all’olio profumato dell’unzione sacerdotale (l’olio che scende sulla barba del sacerdote ebreo Aaronne) e alla fecondità della rugiada (che bagna la collina su cui sorge Gerusalemme).

Con queste due immagini, il salmo esalta la fraternità – e la sororità -, in altre parole l’essere assieme di più persone, dove l’uno considera l’altro come fratello, come sorella.

Qualche commentatore moderno ha pensato che si tratti dell’esaltazione della coabitazione sotto uno stesso tetto di più fratelli, cioè dell’esaltazione della vita patriarcale. Ma si tratta di un’interpretazione che non regge alla luce dei racconti biblici, i quali non presentano mai quella coabitazione come una realtà positiva: valgano gli esempi di Abramo e Lot, di Giacobbe ed Esaù con i loro contrasti di idee e di interessi.

Nel salmo 133 non c’è l’esaltazione della tribù, della parentela, della grande famiglia “naturale”. Del resto, nella Bibbia non sono i vincoli di “carne e sangue” che vengono posti a fondamento di un’autentica fraternità e di un’autentica sororità. Lo stesso Gesù – in una delle sue parole più spigolose e scandalose – quando sua madre, i suoi fratelli e le sue sorelle erano venuti per impadronirsi di lui e distoglierlo dalla sua missione, dirà: “Chi è mia madre? E chi sono i miei fratelli?” e, dopo aver guardato quelli che lo circondavano, esclamerà: “Ecco mia madre e i miei fratelli! Chiunque avrà fatto la volontà di Dio, mi è fratello, sorella e madre” (Matteo 12,46-50).

Secondo la Bibbia, e in particolare secondo Gesù, la famiglia vera, quella che niente può sgretolare, è quella che condivide uno stesso ideale, che risponde a una stessa vocazione, che si rinnova alla stessa sorgente. Quel vivere assieme che altrove diventa fonte di frizione, di difficoltà, di disputa, creando malanimo e dissapori, è invece motivo di gioia quando c’è una profonda realtà spirituale che unisce. Si tratta di un’esperienza tanto vera e profonda da essere paragonata alla rugiada, così indispensabile per rendere lussureggianti le pendici del monte Hermon e della collina di Sion.

Che cosa dice a noi questo salmo? Molto, credo, se pensiamo alla società in cui viviamo, caratterizzata da un individualismo generatore di solitudine, di sospetto, di timore e di chiusura verso gli altri. Quando le persone si riuniscono e s’incontrano, difficilmente, mi sembra, possono dire “quant’è buono e piacevole che dei fratelli (e delle sorelle) dimorino assieme”. Perché? Semplicemente perché non sono “fratelli” e “sorelle” gli uni delle altre, ma dei “concorrenti” per i quali, più o meno, è valida la norma che in latino suona “mors tua, vita mea”, e in italiano possiamo tradurre con “il tuo arretramento, la tua sconfitta, la tua morte sono quelle che mi fanno avanzare, che mi fanno vincere, che mi fanno vivere”.

Le stesse fratellanze politiche – necessarie e rese possibili da interessi comuni – rivelano sovente la loro fragilità quando urtano con gli interessi del singolo, con la sua volontà di ascesa, di potere più che di servizio.

Anche nel cristianesimo, quando la religione è intesa solo come un fatto individuale, come un puro rapporto verticale con Dio invocato a benedire e a fare prosperare i propri piccoli o grandi interessi, la dimensione dei rapporti con il prossimo è atrofizzata, assente, o avviene a temperature glaciali, per cui a fatica si può parlare di fraternità, di sororità, di solidarietà, di crescita comune, di gioia nel vivere assieme.

E allora? Allora è necessaria una riscoperta dell’evangelo, cioè della prospettiva di Gesù, il quale ha realizzato se stesso come “essere per gli altri”. È necessario credere, accettare e seguire la via indicata da Gesù, per far nascere un’umanità rinnovata, composta da uomini e donne che si riconoscono fratelli e sorelle nell’amore e riconoscono, negli uomini e nelle donne che hanno accanto, e in particolare negli svantaggiati, nei deboli e nei minimi, delle sorelle e dei fratelli.

Pastore Paolo Tognina