Sequestrati sale, polvere e tabacco: accadeva due secoli fa

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Dall’autunno del 1824 a quello del 1829, 152 operazioni di vigilanza finanziaria portarono al sequestro di merce di contrabbando in Valtellina e Valchiavenna. Nel nostro quadrante (Tiranese – Valposchiavo) furono oltre cinquanta. Naturalmente se queste “missioni” andarono storte, altre, molte di più, arrivarono a buon fine.

L’Imperial Regio Governo austriaco faceva sequestrare, venivano istruiti processi (a cui nessuno si presentava, o quasi), venivano comminate sanzioni, anche pesanti, ma per lo più rivolte ad ignoti e che quindi non venivano pagate.

Di tutto questo tratta un breve saggio comparso sul numero 75 del Bollettino della Società Storica Valtellinese appena uscito. “Il contrabbando nella Valtellina del primo Ottocento” è il titolo scelto dall’autore, il professor Enrico Fuselli, perugino.Le sette pagine introduttive divise in tre capitoletti: Una tradizione secolare; La legislazione del Lombardo – Veneto; Contrabbando in pillole.

Molto interessante l’appendice che riporta i 152 editti, riguardanti i sequestri di merce di contrabbando, pubblicati sulla ufficiale “Gazzetta di Milano”. I burocrati registrano: Data; Merce; Multa in lire (a volte italiane, a volta austriache); Località del sequestro; Ricevitoria (Monte Spluga, Villa di Chiavenna, Chiavenna, Morbegno, Sondrio, Tirano, Bormio). Infine sono indicati i “Curatori”, ovvero gli avvocati, quasi sempre d’ufficio, che patrocinavano gli “ignoti”; avvocati espressione di famiglie prominenti: Rossi, Stoppani, Parravicini, Romegialli.

Dunque sale, bene primario. Da un primo conto si arriva, si supera, la tonnellata complessiva sequestrata in cinque anni: da mezzo chilo scarso, sino a poco meno di un quintale.

Grosso modo l’importo della multa, a libra contrabbandata, tra tabacco, sale e polvere “ardente” si equivaleva (circa 290 lire e non era poco), mentre mano leggera per formaggio e carne salata (da 2 a 7 lire).

Sequestrati sale, tanto, polvere e tabacco, anche quello amato da Giacomo Leopardi

pubblico dominio

Tabacco Caradà? Ma sì, Giacomo Leopardi!
E polvere ardente? Gabriele D’Annunzio!
Ma soprattutto sale, tanto sale. Questi i tre generi più presenti nel catalogo delle merci di contrabbando sequestrate, a cui si aggiunge pochissimo caffè e zucchero, e poi carne salata, formaggio, posate, tela per lo più di scarso valore, un po’ di cotone, pelli.
Oggi? Proprio no, chiaramente.

D’Annunzio

Si diceva della polvere “ardente” dannunziana. Ecco quanto “l’immaginifico” scrive nel suo “Notturno”: “O El-Nar, folgore docile della mia fantasia, portatore della mia felicità solitaria, non sei più altro che polvere? polvere ardente e tenue come quella che tùrbina nel soffio del Khamsin?”.
Evidente il qui pro quo: nessun esplosivo, ma sabbia del deserto sahariano.

Leopardi

Amerei di sapere come si chiamava quel tabacco che avevate preso a Bologna”, scriveva Leopardi all’amica Adelaide Maestri nel novembre del 1827. “Caradà fino di lusso”, ecco il nome del tabacco da fiuto. E lei, dal Ducato di Parma, gliene inviò una certa quantità sicuramente nel febbraio del 1828. Dove? A Pisa, Granducato di Toscana. Ma i doganieri, poeta o non poeta, non vollero sentire ragioni: sequestrato. Ma per altre vie (Via Emilia, in particolare da Bologna) le forniture ripresero. Ce lo conferma il poeta con una lettera del dicembre 1828: “Io vengo godendo il tabacco donatomi da voi: gl’intendenti di qui lo giudicano eccellente e prelibato, e questa è una delle poche cose in cui convenghiamo insieme i miei cittadini ed io”. Giova ricordare il disprezzo di Leopardi per i suoi concittadini ignoranti e infatti “natio borgo selvaggio” definiva la sua Recanati.

Già nel 1823 (vedi lo Zibaldone) il recanatese aveva affermato: “Il vino (ed anche il tabacco e simili cose) e tutto ciò che produce uno straordinario vigore o del corpo tutto o della testa, non pur giova all’immaginazione, ma eziandio all’intelletto, ed all’ingegno naturalmente, alla facoltà di ragionare, di pensare, e di trovar delle verità ragionando (come ho provato più volte per esperienza), all’inventiva ec.” . Però poi finiva per ammettere: ”una certa debolezza di corpo, di nervi ec. una rilasciatezza non ordinaria ec. come ho pure osservato in me stesso più volte”.

E nel 1826 (sempre sullo Zibaldone) si esprime definitivamente: “Tabacco. Sua utilità. Suoi piaceri: più innocenti di tutti gli altri del corpo e dell’animo; meno vergognosi a confessarsi, immuni dal lato dell’opinione; più facili a conseguirsi, di poco prezzo e adattati a tutte le fortune; più durevoli, più replicabili”.

Possiamo, purtroppo, affiancare al tabacco e al vino altre pericolose sostanze di facile approvvigionamento e consumo.