Entrare all’Hotel Le Prese, almeno a me, mette sempre un po’ di soggezione. Credo che sia perché è accaduto sempre per lavoro, quindi mi sento come uno che spia dalla finestra di un ricevimento della Belle Époque.
Vengo fatto accomodare da Walter Nadaia e un premuroso cameriere si sincera subito di sapere se desidero qualcosa da bere. Acqua naturale, grazie. Vengo subito annunciato alla signora Irma Sarasin-Imfeld che mi raggiunge una manciata di minuti dopo.
Poco dopo, capisco che si tratterà di un’intervista piuttosto anomala.
Non so quanti anni abbia: potrei calcolarlo dalle informazioni che mi ha dato o da qualche articolo che la menzione, ma l’età è poco importante quando c’è vitalità ed entusiasmo. E la signora Sarasin-Imfeld le ha entrambe. Un’energia vivace ma non rumorosa, che si indovina, ancor prima delle parole, dal modo di impostare la conversazione e dallo sguardo.
Nel mezzo pomeriggio che abbiamo passato insieme si è parlato di banche, di criptovalute e di intelligenza artificiale.
“Quando il nonno di mio marito vide questa valle dall’alto, dopo essere arrivato dal Passo del Bernina, notò che era bellissima, ma che le mancava un po’ di energia”. Power, la parola usata dalla signora, indica anche in inglese tanto l’energia in generale quanto quella elettrica.
E infatti il nonno Albert senior, dopo aver creato con la Banca Sarasin di Basilea la prima centrale, divenne il primo presidente delle Forze Motrici Brusio. Fu proprio allora che la società prese in mano anche l’Hotel Le Prese, che già da tempo era un esperimento turistico basato sullo sfruttamento della fonte di acque sulfuree del villaggio.
Anche il marito della signora Irma, Albert Junior, fu presidente per 27 anni dell’impresa brusiese, prima che questa divenisse parte di Rätia Energie e, successivamente, Repower. Il mutato assetto societario, le fusioni e soprattutto il limite di età imposto dall’azienda allontanarono Albert dalle leve del comando. E anche la signora Sarasin, che da anni passava almeno una settimana nell’albergo, smise di frequentarlo.
“E poi Repower decise che un albergo non sarebbe più stato considerato come un asset strategico per un’azienda che produceva elettricità”.
Il che, probabilmente, era vero e non fu un male la vendita per la grande società che produceva energia elettrica. Si trattò però di un problema per l’albergo stesso, che passò di proprietà in proprietà e di gestione in gestione, fino a diventare una scatola vuota e abbandonata in mano a una compagnia di investimenti italiana.
Nel frattempo, nel 2005, moriva Albert Sarasin Junior, allontanando ancora di più la famiglia dall’albergo.
Va qui premesso che la signora Irma Sarasin-Imfeld non è solo “la vedova dell’ultimo presidente delle Forze Motrici di Brusio”, esponente di una ricca famiglia di banchieri: è anche una professionista, oggi in pensione, del mondo del brokeraggio finanziario e una vera e propria formatrice di broker di successo.
“E poi un giorno, stavo leggendo un giornale di Zurigo in cui si parlava di un albergo abbandonato. Ho riconosciuto subito il dipinto su carta in cima alla prima rampa dello scalone e, di conseguenza l’Hotel Le Prese. Era in vendita. Preso il telefono, sentii subito la mia amica Susan, che mi disse che la situazione era un po’ triste e che era un peccato per tutta la valle: qualcuno avrebbe dovuto comprarlo e occuparsene. Decisi che lo avrei comprato io”.
La signora Sarasin-Imfeld, tuttavia, non parlava italiano e decise perciò di incaricare Karl Heiz. Voleva tenere al di fuori la sua famiglia: dopotutto si trattava di una questione personale. Dopo alcuni mesi di trattative, si raggiunse un accordo e nel 2011 iniziarono i lavori.
Il ricordo di qualche problema burocratico, che attraversa come un’ombra il discorso, soccombe subito rispetto alla consapevolezza di avercela fatta e alla soddisfazione di aver aperto i battenti nel 2013, a volte imponendosi agli stessi progettisti.
Inizialmente la gestione fu della famiglia Gervasi, “ma erano dei gestori e io non avevo molta voce in capitolo. E credo proprio che a un certo punto volessero qualcosa di loro… E così una volta risolto il rapporto, non ho più preso un altro gestore, ma un direttore. Walter [Nadaia, Ndr] è una persona con cui mi trovo davvero bene. E mi coinvolge”.
“Ma l’albergo appartiene a lei o a una fondazione, come mi pare di aver letto in un articolo di qualche anno fa?” azzardo.
“Avevo pensato a una fondazione, ma poi servono un consiglio e si devono coinvolgere altre persone, perciò ho deciso che era meglio che io facessi da sola” – afferma sicura con lo sguardo diventato in un lampo più giovane.
Mi racconta poi di come abbia deciso di laccare di scuro il legno del bar e di costruire i bungalow nella zona dove un tempo vi era la piscina all’aperto. E dell’origine di diversi degli oggetti e delle opere d’arte presenti.
La signora Irma ha deciso di non trarre un guadagno personale dall’albergo, reinvestendo di volta in volta nella struttura il proprio dividendo. Una donna benestante, che non desidera fare soldi con questa struttura, ma che ha molto ben chiaro in testa che la struttura deve funzionare e i soldi non debbano essere sprecati o regalati.
“Il problema non è spendere, è farlo quando vale la pena e quando vengono i risultati. Non sono certo il tipo di persona che si fa raggirare o convincere a gettare del denaro in cambio di vaghe promesse”.
Tra le opere spiccano alcune di David Pflugi, artista svizzero recentemente impegnato anche a produrre delle opere per i Mondiali di calcio in Qatar. La particolarità è che da un lato o dall’altro, vista la superficie quasi lamellare, il soggetto cambia: mi colpisce particolarmente quello nella nuova ala della sala da pranzo, che si trasforma da un lato nel villaggio di Le Prese e dall’altro nelle Demoiselles d’Avignon di Picasso.
Ci sono poi i curiosi occhiali realizzati da Cyrus Kabiru: “Ne avrei voluti diversi, ma me ne ha potuto vendere soltanto un paio, perché gli altri erano destinati a una mostra: gli altri, allora, me li ha disegnati”.
Tra le altre firme i funghi delle piante, disegnati dall’artista Alfred Blattner e opere del basilese Afred Heinrich Pellegrini e ancora altre di Samuel Buri. L’albergo è uno scrigno d’arte, ma l’opera alla quale Irma Sarasin-Imfeld appare più affezionata è sempre il dipinto su carta in cima alla prima rampa delle scale, forse di origine francese e forse già più che centenaria.
Ma sono gli oggetti a stupire: un vecchio portabottiglie che prevedeva di poter chiudere a chiavi i liquori e i lampadari, uno proveniente da una sede della Banca Sarasin e uno niente meno che da una villa della famiglia Thomi, quella delle salse, che la signora Irma si è comprata ad un’asta.
E poi, infine, ci sono le opere all’esterno, nei pressi della darsena e della bellissima terrazza, il cui autore non è sempre conosciuto, tra cui le curiose sculture di animali.
Quando rientriamo dal giardino, la signora Irma Sarasin-Imfeld guarda un piccolo zerbino con aria insoddisfatta. “Questo non è del colore giusto”. Sono pronto a giurare che lo zerbino non si trovi più là.
“La mia famiglia dice che questo luogo mi porta via troppe energie”, sospira la signora. Ma non è forse quello che si dice di tutte le passioni? Per trovare la traccia della sua, di passione, è sufficiente osservarla mentre percorre i grandi album di fotografie che ha ricevuto dalla gestione di oltre vent’anni fa, mischiate alle lettere degli ospiti sulle carte intestate di mezza Europa e non solo.
Lascio l’albergo con la certezza che l’Hotel Le Prese sia oggi in ottime mani e che, come detto della signora Sarasin Imfeld, “in futuro, quando sarà ora, farò in modo che resti in buone mani”.