Il Dio che non capisco

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Giobbe 23
Sermone del 3 settembre 2023

Giobbe rispose e disse: «Anche oggi il mio lamento è una rivolta, per quanto io cerchi di contenere il mio gemito. Oh, sapessi dove trovarlo! Potessi arrivare fino al suo trono! Esporrei la mia causa davanti a lui, riempirei d’argomenti la mia bocca. Saprei quel che mi risponderebbe, capirei quello che avrebbe da dirmi. Impiegherebbe tutta la sua forza per combattermi? No, egli mi ascolterebbe! Là troverebbe un uomo retto a discutere con lui, e sarei dal mio giudice assolto per sempre. Ma, ecco, se vado a oriente, egli non c’è; se a occidente non lo trovo; se a settentrione, quando vi opera, io non lo vedo; si nasconde egli a sud, io non lo scorgo. Ma la via che io batto egli la conosce; se mi mettesse alla prova, ne uscirei come l’oro. Il mio piede ha seguito fedelmente le sue orme, mi sono tenuto sulla sua via senza deviare; non mi sono scostato dai comandamenti delle sue labbra, ho custodito nel mio cuore le parole della sua bocca. Ma la sua decisione è una; chi lo farà mutare? Quello che desidera, lo fa; egli eseguirà quel che di me ha decretato; di cose come queste ne ha molte in mente. Perciò davanti a lui io sono atterrito; quando ci penso, ho paura di lui. Dio mi ha tolto il coraggio, l’Onnipotente mi ha spaventato. Questo mi annienta; non le tenebre, non la fitta oscurità che mi ricopre. (Giobbe 23)

Da alcune settimane, a Poschiavo, nel corso degli incontri di studio biblico, leggiamo il libro di Giobbe. Un libro affascinante e nel contempo inquietante, che si interroga sul male, la sua origine, la sua esistenza. E sul perché Dio lo permetta. E su dove sia Dio, mentre il male imperversa sulla Terra.

Il libro di Giobbe, e in particolare il capitolo 23, contiene alcune delle pagine più buie della Bibbia. Alla fine del capitolo, Giobbe dice infatti: «Dio mi ha tolto il coraggio, l’Onnipotente mi ha spaventato» (v. 16).

Quello che Giobbe incontra è un Dio che fa il contrario di quello che dovrebbe fare: ci aspettiamo infatti che Dio ci dia coraggio, non che ce lo tolga, che ci consoli e ci infonda fiducia, non che ci spaventi.

Il Dio che secondo il Salmo «illumina le mie tenebre» (Salmo 18,28), in Giobbe diventa colui che «mi annienta», più delle «tenebre nelle quali sono precipitato!».

A pensarci bene, questo testo è però molto attuale. È stato scritto oltre 2200 anni fa, da uno sconosciuto autore ebreo, ma potrebbe essere stato scritto da una donna o un uomo europeo moderno che, come Giobbe, si lamenta di Dio, e protesta contro di lui (se ancora protesta contro Dio, perché molti europei oggi non si lamentano neanche più, non si rivoltano più, e semplicemente lasciano perdere Dio).

In un certo senso, il capitolo 23 di Giobbe esprime il pensiero dell’Europa moderna. Di questo nostro continente che dopo essere stato pressoché completamente cristianizzato, è diventato la patria della critica della religione, cominciando proprio da quella cristiana. «Anche oggi il mio lamento è una rivolta» dice Giobbe (v. 1); la stessa cosa dice l’Europa secolarizzata moderna.

Sì, le parole di questo capitolo forse ci fanno star male, ci feriscono, ma dobbiamo ammettere che anche ci interpretano, e comunque ci interpellano. E soprattutto, non possiamo far finta che non ci riguardino.

Tra Giobbe e l’Europa secolarizzata moderna c’è però una prima grande differenza: Giobbe era integro, giusto, innocente. Com’egli stesso dice: «Non mi sono mai scostato dai comandamenti di Dio; ho custodito nel mio cuore le parole della sua bocca» (vv. 11-12). Invece l’Europa moderna ha trasgredito in maniera sistematica i comandamenti di Dio, si è allontanata dalle sue vie, non è affatto innocente, al contrario è colpevole.

Sto leggendo un libro, «I cannoni d’agosto», che parla della prima guerra mondiale: è il racconto, documentatissimo, dei meticolosi, scientifici, brutali e spietati preparativi fatti da quasi tutti i paesi d’Europa per uccidere, massacrare, eliminare milioni di soldati e civili. Ancora, nelle sale cinematografiche si proietta «Oppenheimer», la storia del padre della bomba atomica, altro progetto promosso con l’intento di costruire un ordigno capace di uccidere quante più persone possibile. E possiamo continuare, con lo schiavismo, il colonialismo, gli orrori dei lager e dei gulag, di cui l’Europa è stata teatro e protagonista.

Eppure l’Europa, che non è innocente come Giobbe, ma è colpevole, parla oggi come l’innocente Giobbe. E si lamenta.

Perché si lamenta, Giobbe? Se leggiamo attentamente, vediamo che non si lamenta delle sue sventure. Non dice: «Perché proprio io?». E non dice neppure (come spesso diciamo, o pensiamo, noi): «Che cosa ho fatto di male perché mi capitino tutte queste disgrazie?». No, Giobbe si lamenta di Dio. Si lamenta perché lui è stato pio, ma Dio non ha avuto pietà di lui. Lui è stato integro, ma Dio non lo ha ripagato secondo la sua giustizia. Lui è stato afflitto, ma Dio non lo ha soccorso. Lui è sprofondato nell’oscurità, ma Dio non ha illuminato le sue tenebre.

Giobbe si lamenta perché Dio non è come dovrebbe essere. Nel mondo, che noi crediamo essere creato e governato da Dio, succedono ogni giorno tante tragedie di ogni tipo piccole e grandi, individuali e collettive, che suscitano innumerevoli sofferenze.

Certo, molte di queste tragedie sono solo opera nostra, e non ha senso chiederne conto a Dio: i campi di sterminio non li ha creati Dio, li abbiamo creati noi; e se lasciamo affogare nel Mediterraneo tanti migranti che fanno naufragio, mentre potremmo salvarli, la colpa della loro morte non è di Dio, ma è nostra. Non dobbiamo lamentarci con Dio, ma solo con noi stessi.

Certo, ci sono ingiustizie, sventure e sofferenze che non dipendono da noi, ma da un destino avverso che all’improvviso si abbatte su di noi come si è abbattuto su Giobbe: calamità naturali, terremoti, uragani, malattie inesorabili. L’elenco di simili eventi che non si spiegano e non si possono accettare, potrebbe allungarsi ancora.

Di fronte a queste tragedie il lamento ci sta, sia da parte di Giobbe, sia da parte dell’Europa moderna, sia da parte dell’umanità intera: perché in un mondo governato da Dio ci dovrebbe essere meno dolore, meno sofferenza, meno infelicità, meno sciagure, meno angosce, meno cose che non si capiscono e ci fanno dubitare dell’esistenza di Dio.

In quei momenti il lamento ci sta, e ci sta pure che il lamento diventi rivolta, non solo da parte di Giobbe, ma anche da parte dell’Europa moderna.

Ecco però un’altra grande differenza tra Giobbe e l’Europa moderna: il nostro continente è passato dal lamento alla rivolta e dalla rivolta all’abbandono di Dio. Giobbe invece, che a sua volta è passato dal lamento alla rivolta, non ha fatto il passo dalla rivolta all’abbandono di Dio.

Dio ha abbandonato Giobbe, ma Giobbe non ha abbandonato Dio. Così come Dio ha abbandonato Gesù sulla croce, ma Gesù non ha abbandonato Dio. Giobbe è dunque come Gesù; e Gesù è come Giobbe. E Gesù e Giobbe sono come il popolo ebraico che non ha abbandonato Dio neppure dopo Auschwitz.

Siamo di fronte al primo messaggio che possiamo ricavare da questo capitolo buio del libro di Giobbe: ci si può lamentare di Dio, il lamento può diventare rivolta, ma il lamento e la rivolta non diventano, in Giobbe, abbandono di Dio. Da Giobbe impariamo che contro Dio ci si può rivoltare, è legittimo farlo, ma ciò non porta necessariamente ad abbandonarlo. È come se in questo capitolo 23 ci fosse una preghiera segreta che possiamo leggere tra le sue righe e che potrebbe essere riassunta così: «O Dio, non ti capisco, ma ti amo!».

Pastore Paolo Tognina