L’incontro dei cristiani

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Giovanni 20,19-24
Sermone del 12 novembre 2023

La sera di quello stesso giorno, il primo della settimana, mentre le porte del luogo dove erano radunati i discepoli erano serrate per paura dei Giudei, Gesù venne e si presentò là in mezzo, e disse loro: «Pace a voi!». E, detto questo, mostrò loro le sue mani e il costato. I discepoli dunque, vedendo il Signore, si rallegrarono. Poi Gesù di nuovo disse loro: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, così io mando voi». E, detto questo, soffiò su di loro e disse: «Ricevete lo Spirito Santo. A chi perdonerete i peccati, saranno perdonati, e a chi li riterrete, saranno ritenuti». Ora Tommaso, detto Dìdimo, uno dei dodici, non era con loro quando venne Gesù. (Giovanni 20,19-24)

In questo breve testo, l’evangelista Giovanni ci parla della riunione di una comunità cristiana, all’alba della nostra era. Proviamo a individuare alcune caratteristiche di quella riunione. E cerchiamo di capire se da quelle possiamo ricavare delle indicazioni per noi, oggi.

In primo luogo, notiamo che Giovanni non perde tempo a descrivere il carattere della riunione, né il luogo dove essa si svolge. Ne deduciamo che si tratta di una riunione modesta e sobria, in un luogo che non merita nessuna menzione particolare. È probabile che quell’antica comunità si sia riunita nella piccola sala di una casa privata. Il numero dei partecipanti non è grande: non è sempre stato così e non è sempre così, ma il carattere di minoranza è spesso presente. La comunità è ciò che conta – e non l’edificio che li ospita (senza nulla togliere alla necessità di avere cura del patrimonio artistico conservato in molte delle nostre chiese); le persone che hanno risposto alla chiamata sono importanti – e non il loro numero (fermo restando che è bello essere in tanti, ma appunto, non necessario, né decisivo). Spesso quando diciamo “chiesa” pensiamo all’edificio, ma in origine la parola “chiesa” significava “assemblea dei chiamati”, e dunque l’accento era sulle persone. E non dimentichiamo che è a un piccolo gruppo di persone, in una lontana e sperduta regione dell’Impero, che Gesù dice “voi siete la luce del mondo, il sale della terra”.

Secondariamente, la riunione si svolge in un luogo che ha delle porte. E Giovanni precisa che le porte erano “chiuse”, per paura dei Giudei. I primi cristiani sono stati confrontati da subito con manifestazioni di ostilità. Dopotutto appartenevano a un movimento il cui fondatore era stato messo a morte con l’accusa di essere un rivoltoso, sul piano religioso come su quello politico. E che i discepoli temessero possibili rappresaglie lo dimostra l’episodio del rinnegamento di Pietro: scoperto e identificato come uno di quelli che seguiva il Maestro galileo, Pietro nega e afferma di non conoscerlo. Dunque, per prudenza le porte rimangono chiuse.

Possiamo tuttavia leggere quel particolare anche come un appello a tenere fuori idee e visioni contrarie allo spirito cristiano. Quante volte, nel corso della storia, nella chiesa cristiana si sono infiltrate idee e convinzioni che con il messaggio di Gesù avevano ben poco a che fare? O addirittura erano in contrasto con quelle? Ieri abbiamo visitato, a Milano, il Memoriale della Shoah: sotto la Stazione centrale, un binario sotterraneo, destinato alle operazioni postali e al carico e scarico delle merci, è stato utilizzato, negli anni della Seconda guerra mondiale, per caricare centinaia di ebrei – donne, uomini e bambini – sui vagoni bestiame diretti verso i campi di sterminio. E quanti di quelli che hanno organizzato lo sterminio degli ebrei erano, almeno a parole, cristiani… Dunque, bisogna stare in guardia perché non entrino correnti di pensiero estranee all’evangelo. Insieme al razzismo, bisogna opporsi al conformismo, allo spirito di competizione, a ogni forma di violenza.

Nel contempo, bisogna anche saperle aprire, le porte, per essere accoglienti, per fare posto a manifestazioni di solidarietà, di aiuto, di integrazione. Sembra una cosa da poco, ma il giusto utilizzo delle porte è decisivo per la testimonianza di una chiesa.

La terza caratteristica che notiamo nel testo di Giovanni è che si tratta di una riunione di persone che hanno idee diverse. Alcuni hanno creduto, altri hanno dubitato, alcuni sono spaventati, altri sono sicuri di sé e della propria fede. Alcuni hanno creduto nella resurrezione, altri sono scettici. Come è dunque possibile che quelle persone si ritrovino insieme? Ebbene, dipende dal fatto di riuscire a superare le divisioni mettendo al centro Gesù. Se il centro fosse un’idea, o un programma religioso, o un programma politico, o la preferenza per questo o quello, o un’autorità religiosa, o un sistema gerarchico, la riunione non sarebbe possibile. Essa riesce perché al centro c’è Gesù. Valeva per quell’antica comunità, vale anche per noi, oggi.

La quarta caratteristica, strettamente legata a quella precedente, è questa: si tratta di una riunione visitata da Gesù, il quale porta la sua pace. Porta pace ai delusi, agli increduli, ai traditori, a Pietro che ha rinnegato, a Tommaso, Filippo e Andrea che erano increduli. La presenza di Gesù, e oggi del suo Spirito, mette in grado di capire le Scritture e di coglierne, sempre di nuovo, il significato. Più ancora, mette in grado di agire, per mettere in pratica le parole del Maestro. Il soffio dello Spirito non porta la pace di chi vuole starsene in pace, non ci fa dire “lasciatemi in pace”, non spinge a ritirarsi in pace. Quel soffio mette in movimento, spinge all’azione, invita a prendere sul serio l’appello a essere “luce del mondo, sale della terra, città posta sopra il monte”. Lo Spirito fa diventare missionari – parola di cui oggi tutti hanno paura, dalla quale tutti si tengono alla larga, perché evoca proselitismo, prevaricazione, indottrinamento. E invece diventare missionari significa essere donne e uomini che, dopo avere ricevuto da Gesù la sua pace, si mettono all’opera per diffondere la pace in ogni ambito della vita quotidiana. Si tratta dunque di andare a raccontare la pace ricevuta e a costruire pace.

Un’ultima caratteristica, la quinta, è appena accennata, nel resoconto di Giovanni. Quella riunione, a tutti gli effetti, e malgrado tutto, è caratterizzata da una certa allegria, da una certa gioia. Basta questo accenno per affermare che le facce tristi, l’atmosfera cupa, non sono sinonimo di culto cristiano. Dove soffia lo Spirito del vivente, l’allegria e la gioia non possono mancare.

Pastore Paolo Tognina