Paese che vai, Carnevale che trovi

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Che sia rito romano o rito ambrosiano, il Carnevale, con le sue tradizioni millenarie, si concentra in una manciata di giornate; lasciati alle spalle gli anni pandemici, le tradizioni sono tornate con tutta la vitalità e la creatività che le contraddistingue, riproponendo regole, usi e costumi che sono l’asse portante di queste giornate. Nella libertà e nella gioia celebrate, infatti, ci sono riti e regole sempre uguali, la cui presenza è garanzia stessa di solidità e affidabilità, regole che danno ordine all’apparente disordine, regole che sono trama del racconto del Carnevale.

Viaggiare in Svizzera nella cosiddetta settimana di Carnevale è scoprire (o riscoprire) la ricchezza di un patrimonio immateriale che contribuisce a costruire l’identità delle genti e dei territori, tradizioni viventi che costellano il calendario di Cantoni e paesi e regalano spensieratezza all’atmosfera delle città elvetiche. Se i riti carnevaleschi delle città più grandi sono ben noti ai turisti, non è altrettanto per i paesi più piccoli. Ogni Carnevale è un tuffo nella storia svizzera, offre una gran quantità di spunti di riflessioni e per i più curiosi è l’occasione per immergersi in dimensioni inedite, spesso semplicemente osservando. Quest’anno ho seguito due giornate del Raebefasnacht Baar, pieno di colori, un Carnevale che ha le sue origini nel Novecento, quando nel 1947 un gruppo di giovani, guidati da Geny Hotz, diede forma e sostanza alla manifestazione, Geny, grafico, disegnò abiti e simboli, il ​​Räbechüng, il Räbegäuggel, il Räbefather.

Ma che relazione c’è tra la rapa bianca e il Carnevale? Innanzitutto il latino, perché la rapa in latino è Brassica rapa. La storia poi racconta come gli abitanti di Baar fossero chiamati “Raebe-Manne” perché gran consumatori di questo ortaggio, usato tanto come foraggio che come alimento soprattutto tra i più poveri. Quando anche le patate scarseggiavano, i contadini mangiavano la “Räbe” tre volte al giorno: Schmätter al mattino, Plätter a pranzo e Abig Mäuch. Così, quando nacque il Carnevale di Baar nel 1947, la Raebe divenne il leit motiv delle giornate di festa, un richiamo solido alla storia e al vissuto della popolazione; insieme allo scettro il Raebenfather riceve anche una rapa. A rendere davvero originale questo Carnevale c’è anche la S. Messa del sabato, in cui tutti (o quasi), dai celebranti ai fedeli, indossano abiti o simboli del Carnevale; si tratta di una cerimonia in cui, accanto al rito, si inseriscono musiche e canti tipiche del Carnevale, che si chiude con la processione sulla via principale, dalla Chiesa di San Martino al Municipio, per la festa dei coriandoli.

Non c’è momento di festa che non sia accompagnata dalle musiche delle Guggen, tanto che per tutto il fine settimana il centro di Baar è un tripudio di musiche e bande, con costumi originali e tanti colori. Al di là della spensieratezza, ciò che colpisce è l’organizzazione, frutto di passione, dedizione e convinzione, pilastri su cui costruire comunità coese e motivate, che hanno a cuore il proprio destino. Un messaggio confortante, in tempi di società sempre più sfilacciate.


Chiara Maria Battistoni