Se guardiamo anche soltanto ai titoli attuali, Sacha Zala è il direttore del centro di ricerca Documenti diplomatici svizzeri (Dodis), il presidente della Società svizzera di storia, professore di storia svizzera e storia moderna all’Università di Berna e, a livello internazionale, segretario generale dell’International Committee of Editors of Diplomatic Documents (ICEDD) e membro del triumvirato che dirige l’International Committee of Historical Sciences (CISH), l’organizzazione mondiale delle storiche e degli storici. Un tuffo nel recente passato, inoltre, parla di lui come già presidente della Pro Grigioni Italiano e membro di comitato o docente di numerose altre istituzioni attive a livello storico e accademico.
Non c’è dunque da stupirsi che talvolta sia difficile trovare un appuntamento con lui, spesso cercato per interviste e commenti anche dai media nazionali. Senza contare l’impegno infaticabile e comunque intenso di diverse pubblicazioni in corso.
L’occasione giunge ora, dopo la presentazione dei Documenti diplomatici svizzeri del 1993, puntualmente pubblicati ad inizio anno, dopo lo scadere del trentennale periodo di protezione legale. Riprendo i temi abbordati con lui durante l’estate, nel corso di un suo breve soggiorno estivo in Valposchiavo. Contrariamente alle mie previsioni, non ci eravamo visti a Campascio, bensì a Poschiavo, a Sussex House, presso sua mamma.
Faccio una battuta sul fatto che conoscevo la gemella più conosciuta di questa casa, Devon House, e Sacha mi corregge subito facendomi notare che tra le due quella di più antiche origini è invece questa. L’accoglienza che ricevo, con succo di mela 100% Valposchiavo e delle buonissime pastefrolle della Val Bedretto, non potrebbe essere migliore, ma da subito mi preparo per un’intervista piacevole ma nella quale i dettagli saranno importanti.
L’intervista sarà proposta in tre puntate vista la densità e la quantità dei temi affrontati.
Esattamente allo scoccare della mezzanotte di Capodanno, il tuo centro di ricerca Documenti diplomatici svizzeri (Dodis) ha messo online i documenti più rappresentativi sulla politica estera svizzera del 1993. Che senso ha questo tempismo?
Beh, intanto se a Capodanno già stappo uno spumante Alpi Retiche per brindare al nuovo anno, ora posso anche brindare ai nuovi documenti desecretati dall’Archivio federale! Più seriamente aggiungo che la legge federale permette appunto l’accesso ai documenti generalmente dopo un periodo di protezione di trent’anni. Grazie alle nuove fonti è possibile far progredire lo stato della ricerca della storia contemporanea. E non solo. Le nuove fonti stimolano e alimentano dozzine di lavori di ricerca di studentesse e studenti. Per così dire, Dodis diventa un possente motore per far avanzare le nostre conoscenze storiche. Effettivamente, siamo l’unico progetto al mondo che riesce a pubblicare proprio sul secondo dello scadere dei trent’anni. I secondi in quanto puntualità sono i tedeschi, che di regola ci riescono verso l’inizio dell’estate. Seguono poi i progetti dei colleghi negli Stati Uniti d’America con un ritardo di quattro o cinque anni, mentre gli altri paesi come il Regno Unito, l’Irlanda, la Francia o l’Italia hanno ritardi ben maggiori.
Da alcuni anni Dodis fa la prima notizia dell’anno…
Effettivamente il glamour di questa tempistica ad inizio anno legata in qualche modo al trentennale anniversario, fa sì che i media nazionali s’interessano alla nostra storia. Ho dovuto sorridere quando il cellulare mi ha dato una notizia push della NZZ proprio sulla pubblicazione dei nostri documenti. Anche quest’anno i telegiornali e le grandi testate nelle tre lingue nazionali hanno riportato l’evento, permettendomi di contestualizzare la nostra politica estera agli inizi degli anni Novanta. Certamente ha giovato anche il grande successo del vernissage che abbiamo organizzato all’Università di Berna con l’allora presidente della Confederazione Adolf Ogi e che si può rivedere su YouTube (https://www.youtube.com/watch?v=YepnRzemF4k).
Ovviamente c’è nel pubblico un grosso interesse per la storia delle nostre relazioni con l’Europa che proprio dopo il fatidico rigetto da parte del popolo e dei cantoni dell’adesione della Svizzera allo Spazio Economico Europeo il 6 dicembre 1992 doveva riorientarsi. Ma ci sono un’infinità di altri temi molto appassionanti che spaziano dalla neutralità alle relazioni con la NATO, dalle questioni economiche a quelle ambientali oppure quelle legate alla migrazione, tra tante altre cose.
E allora qual è l’aspetto più emblematico della politica estera del 1993?
Indubbiamente quella che ho definito come l’offensiva diplomatica di charme del Consiglio federale. In quell’anno, cosa mai avvenuta prima, ci furono moltissime visite all’estero dei consiglieri federali e soprattutto una serie di visite dei maggiori premier europei.
Già all’inizio del 1993, il presidente della Confederazione Ogi si impegnò a spiegare la posizione della Svizzera in occasione dei suoi colloqui con ospiti europei presenti al Forum economico mondiale di Davos (https://dodis.ch/62483). A inizio aprile il primo ministro britannico John Major fu il primo di una serie senza precedenti di politici europei a visitare Berna (https://dodis.ch/62495). Nell’incontro di ottobre, il cancelliere tedesco Kohl riaffermò la sua benevolenza nei confronti della Svizzera, lasciando però intendere come per lui il ritorno sulla via dell’adesione fosse evidente (https://dodis.ch/64059). Anche il presidente francese François Mitterrand si lasciò convincere a venire accolto, nel dicembre del 1993, dal presidente della Confederazione Adolf Ogi nella terra d’origine di quest’ultimo, l’Oberland bernese (https://dodis.ch/64150). Non era mai accaduto che la Svizzera ospitasse un tale susseguirsi di visite diplomatiche tanto importanti. L’offensiva diplomatica di charme del Consiglio federale è stata indubbiamente efficace: alla fine del 1993 è stato superato il primo ostacolo sulla via degli accordi bilaterali con l’UE.