Sulle tracce dei contrabbandieri: Il viaggio di Magnus Langset

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documentario CONTRABBANDO

Ormai alla sua terza edizione, sConfini – Festival del contrabbando culturale ha proposto la prima proiezione del breve documentario Contrabbando nella cornice dei Film di Devon House, giovedì 25 aprile alle 20:30, di fronte ad una platea numerosa e molto interessata

Quando ci si approccia ad un periodo storico, ciò che più intriga non è tanto il racconto delle grandi imprese o dei personaggi famosi, quanto piuttosto le piccole storie, quelle che ognuno vive – o subisce – all’interno della grande Storia. 
Questo è ciò che ha colpito e affascinato il giovane regista Magnus Langset quando, ascoltando i racconti materni, ha deciso due anni fa di realizzare il suo primo documentario Contrabbando, incentrato sul tema del contrabbando tra la Valposchiavo e la Valtellina durante il secolo scorso. 
Quale miglior occasione per sConfini, se non quella di proporre due proiezioni di questo breve, ma intenso documentario? 

Il breve film (della durata di circa 30 minuti) presenta il fenomeno del contrabbando tra Svizzera e Italia, focalizzandosi soprattutto sul contrabbando di sigarette e caffé che si faceva nel primissimo dopoguerra fino agli anni ‘50-’60. Grazie alle testimonianze di chi quel periodo storico l’ha vissuto proprio praticando il contrabbando (ex contrabbandieri, uomini e donne oggi anziani, ma ancora lucidi e coinvolgenti nel loro modo di raccontare), o di chi quel fenomeno ha cercato di frenarlo (c’è anche la testimonianza di un ex finanziere, oggi in pensione), lo spettatore si immerge in un mondo fatto di miseria e povertà, in cui il contrabbando appare come la più appetibile delle opzioni per una vita più agiata e dignitosa. Tuttavia anche l’agio e la dignità hanno un prezzo. A fronte di ricavi immensamente più alti, il contrabbando implicava anche fatiche immense: tutti i giorni, almeno due volte al giorno, si doveva percorrere il sentiero che da Viano conduceva in Valtellina, con in spalla 20 o 30 kg di caffé che, molto rapidamente, ingobbivano il contrabbandiere fin dalla giovinezza. Tale pratica infatti, veniva svolta anche da minorenni, poco più che dieci-undicenni. Alla fatica si aggiungevano poi i pericoli: un tratto del sentiero è talmente stretto e a strapiombo (50-60 cm di larghezza) che chi portava i sacchi doveva aggrapparsi ad un cavo d’acciaio fissato alla parete di roccia per non cadere giù; ma il pericolo non riguardava solo il sentiero. Ai finanzieri era consentito anche sparare ai contrabbandieri, ma solo in tre casi: in caso di resistenza al pubblico ufficiale, in caso di difesa, o in caso di contrabbando notturno. È in quest’ultimo il caso che ancora oggi si ricorda l’uccisione della Irma, contrabbandiera uccisa da un finanziere in circostanze mai del tutto chiarite. 

Nonostante l’illegalità del fenomeno, è difficile non percepirlo come qualcosa di romantico, volendo anche con una punta di nostalgia per queste persone che quotidianamente non temevano la fatica del sentiero, che lo facevano sì  per il lauto guadagno, ma anche per il bisogno interiore della quiete e della pace del bosco e della montagna. 

Alla presenza del cineasta, il dibattito seguito alla proiezione è stato vivace e partecipato, così come il confronto durante il rinfresco, offerto successivamente alla proiezione. 

Magnus Langset, classe 1995, nato a Zurigo da madre di origine valtellinese e padre novergese, sentiva il bisogno intimo di raccontare questo fenomeno storico ed è stato entusiasta per la viva e sentita partecipazione del pubblico. 
Giovane solare e molto disponibile, ci ha concesso una breve intervista: 

Qual è stato per te l’elemento più importante nel realizzare questo documentario?

Credo che la cosa più importante sia stata quella di raccontare la storia della valle e delle persone che ci vivono, l’esperienza estrema che hanno sperimentato sulla propria pelle, ma anche la dimensione e la portata di ciò che il fenomeno ha significato, fisicamente, ma anche finanziariamente. Non me ne ero reso conto prima di iniziare le ricerche. E nel corso delle ricerche o della realizzazione del film, mi sono reso conto che le persone si sono liberate dalla povertà e che la Svizzera ne ha tratto grandi benefici. Sono queste tensioni, su entrambi i lati del confine, che volevo raccontare. 

Stasera ci hai raccontato anche delle tue origini (tua madre, e tuo nonno specialmente, provengono dalla Valtellina) e che sei cresciuto con queste storie. Hai percepito qualcosa di intimo, di familiare nel realizzare questo film? 

Sì, naturalmente. Mia madre è valtellinese. Impieghiamo da Zurigo solo tre ore e mezza per arrivare qui. Inoltre ho trascorso gran parte della mia infanzia in Ticino perché la mia famiglia e la nonna hanno vissuto anche  lì. E naturalmente questo è un film molto personale, perché in qualche modo la Valtellina è un po’ come la mia casa, ed è una componente importante di questa storia. Soprattutto per me ha significato molto essere “a casa” e fare questo film, per le origini di mio nonno. Purtroppo i miei nonni non sono più in vita, ma credo che sarebbero molto orgogliosi. Del resto, anche mia madre, ovviamente, è molto contenta.

Hai provato a percorrere il sentiero dei contrabbandieri tra Viano e Tirano?

Sì, sì! L’ho fatto quando sono venuto al Festival due anni fa, con Luca Crameri e alcuni amici. È stato allora che è iniziato tutto. Abbiamo camminato per sette-otto ore. Quella prima volta eravamo proprio entusiasti, ma anche esausti perché non eravamo abituati a fare escursioni così alte e così faticose, venendo da Zurigo…! [ride]

Proprio durante l’escursione abbiamo incontrato una donna che all’epoca faceva contrabbando. È stato allora che ho preso la decisione di fare il film. Poi ho rifatto il sentiero per le riprese. Ovviamente eravamo sempre in movimento con la telecamera e tutto è stato relativamente faticoso,  ma non quanto si immagina rispetto a cosa significhi portare sulle spalle dai 20 ai 35 kg: estremamente pesante e difficile. 

Hai già in mente progetti futuri dopo Contrabbando?

Sì, sto lavorando a diversi altri progetti con altre persone, ma con questo film in particolare stiamo pensando di ampliarlo e raddoppiarlo, cercando, con il sostegno finanziario di fondazioni o della televisione, di portarlo a 52 minuti in un formato televisivo. E questa sarebbe l’idea per portarlo avanti invece di lasciarlo in forma di cortometraggio. 

Infatti era così coinvolgente che quando è terminato  mi sono detta: “Nooo! È già finito?!”

Grazie! Sì, sì, è proprio così. Lo abbiamo sentito dire spesso. E mi rendo anche conto che c’è interesse. Le persone vogliono saperne di più. Questo mi motiva molto. Ci sono innumerevoli storie che si possono ancora raccontare.

Hai mai pensato di trarne una storia di finzione, un film vero e proprio e non un documentario?

Su questo argomento, su questo tema? Sì, potrebbe essere. Però non so se sono un buon scrittore. Credo che il documentario mi si addica di più. Ma ci ho già pensato. C’è anche una piccola parte che abbiamo interpretato, in cui una contrabbandiera è nella foresta di notte. E posso già immaginare che ci saranno delle rievocazioni su questo tema. In altre parole: nuovi elementi da aggiungere all’opera, perché c’è molto materiale d’archivio, ma a un certo punto bisogna essere inventivi su come illustrare ciò che si sta raccontando, le scene di finzione non sono da escludere.

Ti ringrazio per il tempo che ci hai concesso. Ancora congratulazioni e in bocca al lupo per tutto!

Grazie a te! 

La seconda proiezione del film si è tenuta venerdì 26 aprile alle 20:30 presso la Sala Frazionale a Campocologno, sicuramente con altrettanti (e forse ancora maggiori) partecipazione ed interesse.