Santo Cielo. Le donne alle Olimpiadi

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C’erano una volta le Olimpiadi. Quelle che si svolgevano in Grecia. Erano feste religiose e popolari che si tenevano nei quattro santuari più prestigiosi: a Delfi, a Nemea, a Corinto, e a Olimpia. Secondo la leggenda, i giochi di Olimpia furono fondati da Eracle, in onore di Giove, nel 776 prima della nostra era. Quella tradizione perdurò per oltre mille anni, fino al 393 dopo Cristo, quando l’imperatore romano Teodosio ordinò l’abbandono dei luoghi di culto pagani.

Giochi sì, donne no

Millecinquecento anni più tardi, il barone francese Pierre de Coubertin si ispirò ai giochi dell’antica Grecia per fondare le moderne Olimpiadi. Con il sostegno di varie istituzioni internazionali, le prime Olimpiadi moderne si tennero ad Atene, nel 1896.

De Coubertin era animato da idee universalistiche: chi non ricorda la sua famosa frase “L’importante non è vincere ma partecipare”? Ma allo stesso tempo, il barone difendeva le opinioni tradizionaliste del suo tempo relative al ruolo delle donne. Di conseguenza, le donne furono bandite dai primi Giochi. Quattro anni dopo ci fu una timida apertura, ma la partecipazione femminile fu limitata al tennis e al golf. Nelle edizioni successive il numero di donne partecipanti aumentò, ma non di molto: nel 1924 esse rappresentavano il 4% degli atleti.

Il barone e l’atleta

Fu a Parigi, nel 1900, che le donne parteciparono per la prima volta alle Olimpiadi moderne: la britannica Charlotte Cooper divenne la prima campionessa olimpionica della storia, aggiudicandosi il singolare femminile di tennis. Il barone de Coubertin, deciso oppositore della partecipazione femminile ai Giochi, ancora nel 1928 affermava: “Per quanto riguarda la partecipazione delle donne ai Giochi, rimango ostile ad essa. È contro la mia volontà che esse siano state ammesse a un numero crescente di eventi”.

Di segno opposto l’impegno dell’atleta francese Alice Milliat, che consentì alle donne di avere una maggiore presenza non solo nelle gare, ma anche negli organismi internazionali. Nel 1922, Milliat creò infatti i Giochi Olimpici femminili, anche se questa denominazione fu rifiutata e l’evento fu ribattezzato Giochi mondiali femminili.

Lungo percorso verso la parità

Ai Giochi Olimpici di Parigi 2024, che si aprono tra pochi giorni, per la prima volta, gareggerà lo stesso numero di donne e uomini. La partecipazione delle donne alle Olimpiadi è cresciuta a un ritmo contenuto. Questa presenza è stata limitata anche dal numero ridotto di gare che, per lungo tempo, sono state aperte alle atlete. Ancora nel 1972, ai Giochi di Monaco, la presenza femminile rappresentava solo il 14% del totale dei partecipanti. Soltanto a partire dagli anni ’90, con i movimenti per l’uguaglianza di genere, la tendenza all’aumento è accelerata, fino a raggiungere l’odierna parità.

Escluse dalla maratona

Basti un esempio per illustrare le difficoltà che le donne hanno dovuto superare per farsi largo nel mondo dello sport. Nel 1967 le donne non erano ancora autorizzate a partecipare a maratone come quella di Boston. Kathrine Virginia Switzer riuscì a iscriversi alla gara indicando solo le iniziali del suo nome. Pochi chilometri dopo la partenza, venne avvistata dal direttore di gara che cercò di fermarla con la forza. La scena, immortalata da un fotoreporter, fece il giro del mondo. Kathrine Switzer, protetta dal suo compagno e dal suo allenatore, riuscì a sfuggire all’aggressione del direttore di gara e divenne una delle prime donne a concludere una gara di maratona. Cinque anni dopo, Boston accolse ufficialmente le donne. La maratona femminile è stata aggiunta al programma olimpionico nel 1984.

Le diseguaglianze persistono

I dati sulla parità in termini di partecipanti non sono del tutto rappresentativi del posto che le donne occupano nello sport. In generale, il numero di donne iscritte a un club sportivo non è paragonabile a quello degli uomini. La copertura mediatica degli eventi sportivi femminili rimane scarsa, nonostante i dati siano in crescita. La mancanza di visibilità si ripercuote sulle condizioni retributive delle sportive professioniste, sia in termini di stipendio che di premi per le vittorie o di contratti pubblicitari. Anche le condizioni di allenamento risentono di strutture e orari spesso inadeguati… Tanta strada è stata fatta, dal 1896 a oggi. Ma il cammino non è ancora concluso.