Santo Cielo. Vincitori e perdenti

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I Giochi olimpici: immagini ed emozioni, gare decise sul filo dei centesimi di secondo, vinte o perse per pochi centimetri o addirittura millimetri, il pubblico coinvolto dall’agonismo degli atleti, gli spettatori che si sentono perdenti, se il proprio beniamino viene sconfitto, o vincitori, se l’atleta per il quale tifano si impone.

Le Olimpiadi sono anche e soprattutto questo: un grande spettacolo, fatto per divertire e per appassionare.

Modelli vincenti
Riflettendo sulle Olimpiadi, non si può fare a meno di constatare come nella nostra società si stia diffondendo sempre più l’immagine dello sportivo di punta come modello a cui ispirarsi. Agli atleti più forti sono dedicate le copertine e i servizi dei giornali, i campioni sono ospiti di trasmissioni televisive e radiofoniche, vengono invitati ai seminari organizzati dalle aziende per motivare il personale, o alle cerimonie di prestigiose istituzioni accademiche – come accaduto recentemente a Roger Federer, che ha tenuto il discorso di laurea al Dartmouth College, negli Stati Uniti, davanti ad oltre 11.000 persone – per spiegare il segreto del loro successo: si chiede agli atleti di spiegare la loro filosofia di vita, le loro motivazioni, lo spirito con cui affrontano le competizioni, e come applicare tutto questo alla vita di ogni giorno.

Presenti e assenti
Alle Olimpiadi partecipano migliaia di atleti: quelli che abbiamo visto sfilare, a bordo delle imbarcazioni, nel corso della cerimonia inaugurale a Parigi. Ma quanti di loro saranno vincitori, e quanti perdenti? A ben guardare, saranno molto più numerosi i perdenti che i vincitori. E lo stesso accade nella vita quotidiana. Dare valore e importanza solo ai vincitori, esaltare lo spirito della competizione, significa allo stesso tempo svalutare la massa delle donne e degli uomini che non eccellono, che conducono una vita normale, che hanno un lavoro normale, o che magari il lavoro nemmeno ce l’hanno: persone che vivono una vita piena di ostacoli, difficile per certi versi, che richiede un certo coraggio, e alla quale non si riconosce alcun valore, addirittura nessun senso. Quelle persone che, malgrado la dichiarata intenzione di inclusività, erano assenti nel grande spettacolo inaugurale.

Il senso delle gare
E a proposito di senso: che senso ha la competizione? Per quale motivo competono gli atleti? Gli atleti competono per vincere. Ma per vincere che cosa? Per vincere, e basta. Che dire allora di una società che propone ai propri cittadini di partecipare a una continua competizione, faticosa, che non ha, in fondo, nessun senso? Le imprese badano sempre meno al prodotto o al servizio che offrono, e sono invece attente alla competizione, alla concorrenza. Vogliono essere le migliori sulla piazza, vincere, conquistare il primato, allargare la propria presenza sul mercato a scapito dei concorrenti, aumentare la cifra d’affari. Gli stati sono in competizione tra di loro a colpi di prestazioni economiche e indici di crescita. I partiti non sono più in grado di elaborare programmi elettorali, ma concentrano i propri sforzi nelle campagne per vincere le elezioni… Siamo alla competizione per la competizione. In questo senso allora non è sorprendente che il modello, il mito, uno degli idoli del nostro tempo, sia lo sportivo di punta, quello che vince – tra l’altro, a costo di drogarsi.

Virtuale e reale
Malgrado il fascino che promana dalle Olimpiadi, non varrebbe forse la pena cercare la magia nascosta nei volteggi dei ragazzi, nelle partite di pallone giocate per divertimento sui campetti di periferia, nelle piscine tra gli spruzzi d’acqua, nelle palestre delle scuole, e non quella illuminata dai riflettori olimpici, dove tutto si riduce a spettacolo sofisticato, virtuale, unicamente centrato sulla vittoria e la sconfitta, e non sulla vita e l’umanità?

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