Genialità dell’uomo e armonia della pietra”: sala piena per la conferenza di Dario Monigatti sui crot

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Non c’è turista che arrivi in Valle e che non si interessi a questa costruzione semplice ma tanto affascinante

La Sagra della Castagna di Brusio è un evento che riveste un notevole rilievo culturale per la Valposchiavo. Anche quest’anno, la sezione valposchiavina della Pro Grigioni Italiano ha contribuito all’iniziativa organizzando, la sera del 10 ottobre nella Casa Besta di Brusio, una conferenza dal titolo “Genialità dell’uomo e armonia della pietra”, tenuta da Dario Monigatti, esperto del patrimonio culturale locale. La serata ha visto anche l’esclusiva proiezione di un filmato registrato nel 2000 dallo stesso Dario Monigatti.

Chissà quante volte ci è capitato di passare a fianco a cose di cui non conosciamo l’origine, magari senza nemmeno farci caso. Oppure, come per Dario Monigatti, il destino dell’aver colto quella cosa particolare, ha acceso una curiosità che è poi diventata via di ricerca.

Durante la conferenza, che ha colmato interamente la sala di partecipanti, Dario Monigatti ha rivelato che la sua ricerca è nata proprio da questa genuina curiosità di spiegarsi che cosa fossero quei ‘cumuli’ di sasso, di cui la Valposchiavo è ricca così come la Media Valtellina, e che però – scoprirà successivamente – in questa peculiare configurazione non sono presenti pressoché da nessun’altra parte. All’inizio della sua ricerca, le fonti scritte sull’origine di queste costruzioni erano esigue, è stata quindi di maggiore efficacia la raccolta di testimonianze orali degli abitanti della Valle. Alla luce delle ricerche si può dire con precisione che cosa siano stati i crot prima di essere stati abbandonati e dimenticati: uno dei modi con cui la popolazione contadina ha saputo trovare soluzioni efficaci per problemi pratici: conservare alimenti, mantenere fresco il latte e, talvolta, offrire riparo temporaneo per persone e animali.

Struttura dei crot
Dario Monigatti ha spiegato che si tratta di costruzioni a secco, di forma circolare, costruiti in pietra più o meno sagomata. Ha poi illustrato le diverse forme che i crot possono assumere. La forma più tipica è quella circolare o ovoidale, talvolta descritta con ironia come un “panettone” per la sua somiglianza con il dolce natalizio. Alcuni crot sono isolati, mentre altri formano gruppi, come quelli visibili a Brusio, che rappresentano un’eccezione in quanto normalmente ogni famiglia ne possedeva uno singolo. Questi spazi, utilizzati normalmente come frigoriferi naturali per conservare cibo e latte, erano costruiti con pietre locali, scelte e impilate in maniera che risultassero aggettanti verso l’esterno per impedire l’ingresso di acqua piovana. 

Datazione e diffusione
I crot sembrano strutture quasi preistoriche, o comunque molto antiche. Proprio pochi giorni fa è stata scoperta una data incisa all’interno di un crot di Brusio, quasi a voler acquietare per noi le suggestioni sulla lontana origine dei crot, e che risulta ora essere la più antica finora trovata in Valle: 1830. È possibile che ne esistano di più antichi non ancora scoperti, ma Dario Monigatti afferma con sicurezza che, per quanto antica sia questa tecnica di costruzione, i crot della Valposchiavo sono tendenzialmente dell’800. Per quanto riguarda la loro diffusione, invece, al mondo esistono strutture simili ma non identiche. La più simile fra tutte, e quasi uguale, è la capanna a thòlos, diffusa in Abruzzo e nelle Marche. Questa capanna era fruita dai pastori dell’Appennino proprio per lo stoccaggio del latte, da qui anche il nome di caciara, dal latino casearia, ossia luogo di produzione di formaggi. Anch’essa, come il crot, veniva realizzata interamente in pietra, senza l’impiego di malte leganti e con una forma finale semisferica o ogivale. I pastori potevano così erigerla senza bisogno di attrezzature complesse o impalcature in legno. Ciò che rende particolare, inoltre, la costruzione dei crot, come delle caciare, è l’autosostegno: la sfericità della forma, infatti, si sviluppa attraverso cerchi concentrici sovrapposti, il cui diametro si riduce leggermente man mano che si procede verso l’alto, in modo che ogni anello sia sorretto da quello inferiore. La tecnica utilizzata prende il nome di ‘arco a mensola’.

L’importanza storica, architettonica e paesaggistica
Dario Monigatti ha posto l’attenzione anche sul fatto che i crot non rappresentano solo un esempio di architettura vernacolare, ma sono anche un’importante testimonianza storica e culturale. Oltre a essere esempi affascinanti di come l’uomo abbia saputo interagire in modo armonioso con l’ambiente naturale, – basti pensare che spesso i crot sono per metà integrati ed interrati nella pendenza dei versanti montuosi – oggi rivestono un ruolo significativo dal punto di vista paesaggistico. Dario Monigatti ha fatto appello quindi alla necessità di preservare queste costruzioni per le future generazioni, e che molte di esse, oggi restaurate, sono diventate oggetto di interesse turistico.

A fine conferenza, tra il pubblico ha preso parola Sandro Nussio, con un intervento volto a chiarire il motivo per cui queste costruzioni fossero capaci di raffreddare così tanto l’aria al proprio interno: si tratta del fenomeno del raffreddamento per evaporazione. Notando che i crot venivano costruiti su terreno particolarmente umido e considerando che la stessa costruzione permetteva il passaggio dell’aria, l’evaporazione delle particelle d’acqua tramite la ventilazione produceva freddo.

Uomo e pietra
Dario Monigatti ha citato un’espressione di Riccardo Rinaldi: «Per costruire un crot, le pietre si devono amare, si devono abbracciare e si devono persino baciare». A ben vedere, questa tecnica di pietre che si incontrano – dice ancora Monigatti – «è una tecnica di pietre che si abbracciano», poste a incastro l’una sull’altra. Pietre prima di scarto, tolte d’intralcio dai campi, residui e frammenti di grandi monumenti scolpiti dal vento e dal tempo, e poi utensili, strumenti, strutture di riparo. Non più residuali ma, attraverso la tecnica (il saper fare) dell’uomo, nuovamente in una forma e con una ‘logica’ compiuta. Credo si imponga da sé il pensiero su quanto artificiosi siano, certe volte, i discorsi su circolarità, ecologia, sostenibilità, emissioni, impatto ambientale e chi più ne ha…

2 COMMENTI

  1. Il lavoro di ricerca e divulgazione su questi manufatti da parte di Dario Monigatti merita grande rispetto e riconoscenza. Tuttavia anch’io sarei più possibilista riguardo a una possibile retrodatazione di queste costruzioni a cupola falsa, che a un primo colpo d’occhio sembrerebbero almeno essere coeve ai numerosi cascinali sparsi su maggesi e alpeggi della nostra zona, e a cui spesso si affiancano in modo particolarmente armonioso. In un contributo apparso nel 2019 sul “Notiziario” n. 17 dell’Istituto archeologico valtellinese, Dario Foppoli afferma che l’utilizzo del termine “baitèl” – equivalente di “cròt” per l’area del Tiranese – è attestato già nel 1681 in una relazione del parroco di Sernio in occasione della visita pastorale del vescovo di Como (pp. 131-132). Yolanda Sereina Alther, nella sua tesi di master in archeologia, afferma inoltre che manufatti a cupola falsa, databili dall’età del bronzo fino all’epoca moderna, si ritrovano in molti siti archeologici dei Grigioni e aree limitrofe. Ciò costituisce a mio avviso perlomeno una conoscenza di questa tecnica costruttiva a livello di popolazione dell’arco alpino che potrebbe essere stata tramandata fino al XIX secolo agli abitanti di Valtellina e Valposchiavo. A conferma di questo fatto, a pag. 69-70 di “Lingua e cultura della Valle di Poschivo”, Riccardo Tognina cita due ponticelli in pietra costruiti a cupola falsa presso la “Val da Gùli” e la “Val d’Ursé”, che vennero distrutti dall’alluvione del 17 settembre 1961. Partendo comunque dalle testimonianze scritte di Nicolin Sererhard e da quella del parroco di Sernio citata da Foppoli, possiamo come minimo retrodatare al XVII secolo la presenza di questi manufatti sul nostro territorio. Sul fatto che un numero così elevato di costruzioni a forma di “tholos” si concentri soprattutto in un’area sostanzialmente circoscritta fra media Valtellina e Valposchiavo si potrebbero invece formulare ipotesi legate a un forte incremento demografico in epoca moderna, con conseguente dissodamento di vaste aree incolte per ricavarne prati e pascoli a media e alta quota, vigneti e castagneti più in basso, nonché all’abbondante presenza di pietrame come risultato degli stessi dissodamenti o di franamenti rocciosi nelle loro vicinanze. Ciò vale per “cròt” o “baitèi” che servivano sia ad attività agro-pastorali, sia come depositi per attrezzi o per la conservazione di frutti e prodotti della terra, come ad esempio sul fondovalle brusiese.

  2. Grazie di cuore a Dario per l’interessante conferenza e l’impegno culturale che perdura da decenni. Grazie anche al signor Kuhn per questa sintesi.

    In merito alla datazione dei crot: se ho ben capito le incisioni riguardanti le date sino ad ora trovate nei crot del Comune di Brusio sono appena una mezza dozzina su un totale di ca. 200 crot. Se 5 o 6 crot su ca. 200 datano nell’Ottocento è tutt’altro che escluso che quelli non datati siano in parte ben più vecchi, sebbene la tecnica e il risultato siano molto vicini.

    Sono andata a rileggere cosa scriveva Nicolin Serherard, pastore riformato che aveva soggiornato a Brusio ad inizio Settecento nel suo “Einfalte Delineation aller Gemeinden gemeiner dreyen Bünden”. Serherard parla testualmente di “crot” e descrive dei crot insoliti situati in zona Borgo, dando per scontato che il lettore sappia cosa sia un crot “normale”. La questione datazione è dunque tutt’altro che chiusa…