Mercoledì sera, 5 febbraio, si è tenuto a Poschiavo presso il Vecchio Monastero il penultimo incontro del ciclo “Perfidi giudei, fratelli maggiori” organizzato dal pastore Paolo Tognina e con ospite il teologo Brunetto Salvarani, figura di spicco nell’ambito del dialogo interreligioso e della teologia del pluralismo.
Qual è il rapporto fra cristianesimo e fede ebraica? Che relazione sussiste tra la Chiesa cattolica e tra le altre Chiese cristiane nei confronti dell’ebraismo? L’incontro condotto da Brunetto Salvarani ha proposto un percorso che ha scandito in tre, come piace ai teologi, le fasi corrispondenti a diverse modalità con cui la Chiesa si è rivolta verso l’ebraismo e verso gli ebrei: disprezzo, dialogo, dibattito.
Disprezzo
Il principio del discorso si è costruito su quella che viene chiamata teologia della sostituzione, ossia quel modo di intendere la Chiesa come il vero Israele a partire da Giustino di Nablus, uno fra i primi apologeti. Questa visione ha trovato espressione anche nell’iconografia, come nella raffigurazione medievale di Benedetto Antelami nel Duomo di Parma, dove la Chiesa trionfante si oppone alla Sinagoga sconfitta. È qui, in qualche modo, il luogo in cui intravvedere il radicarsi del disprezzo deciso dalla Chiesa nei confronti di ciò che l’ha preceduta, e che poi si è definito ulteriormente attraverso i concili lateranensi, come il quarto concilio del 1215 in cui è stato imposto lo stigma della stella di Davide perché chi era ebreo venisse in tal modo riconosciuto.
Poi i ghetti, «invenzione dei papi, il primo proprio all’ombra del cupolone di San Pietro, poi Venezia. Una costruzione della città nella città: reclusa la sera, una città di reclusi» ha spiegato Salvarani. E poi i pogrom fino alla Shoah: «Rimane un grande mistero il come sia potuto accadere che nel cuore del continente più cristiano e nel cuore di un paese straordinariamente ricco dal punto di vista culturale sia nato un movimento così disumano. Come è potuto il Vangelo non fungere da controaltare?».
Dialogo
A spezzare questa lunga catena di ostilità è stato, nel 1965, il Concilio Vaticano II con la dichiarazione Nostra Aetate. Un cambio di passo storico che ha segnato anche una presa di distanza dall’antigiudaismo, ma non senza esitazioni. In origine, il documento doveva essere dedicato esclusivamente agli ebrei, ma per timori politici, pressioni interne e per le tensioni geopolitiche come le guerre arabo-israeliane, il testo è stato allargato a tutte le religioni.
«La Chiesa cattolica nulla rigetta di ciò che vi è di vero e di santo nelle altre religioni», così recita il documento. A questo proposito, Paolo Tognina tiene a evidenziare quanto importante sia stato quel momento per tutte le Chiese. Eppure, la Chiesa che un tempo considerava se stessa e si era fondata sull’idea di essere custode della Verità (extra Ecclesiam nulla salus) agli occhi di molti correva il rischio che confrontandosi con l’esterno potesse smarrire se stessa. E da qui le innumerevoli avvisaglie di relativismo.
D’altra parte, ricorda Salvarani, anche il cardinale Carlo Maria Martini ha sottolineato come, senza una relazione autentica con l’ebraismo, il cristianesimo perda una parte essenziale della propria anima e, in altre parole, il dialogo non è un’opzione secondaria, ma un elemento vitale per comprendere e conoscere se stessi.
Dibattito
Il dialogo interreligioso non può essere confinato ai soliti noti, che siano religiosi, accademici e intellettuali. Salvarani fa capire che questo deve essere un affare di tutti. E soprattutto, deve avere il coraggio di affrontare le crisi del presente. Dopo il 7 ottobre 2023, con la tragedia di Gaza e le tensioni che si sono riaccese, il confronto è stato messo duramente alla prova. Nonostante il lavoro del Papa, del cardinale Pizzaballa e del cardinal Ravasi, non sono mancate accuse di antisemitismo che, ha precisato Salvarani, troncano la possibilità di un dialogo.