Domenica 16 febbraio, la Chiesa Riformata di Poschiavo si è trasformata in un palcoscenico di cultura e musica, accogliendo tra le sue navate Miriam Camerini e la formazione Cidnewski Kapelye con lo spettacolo-concerto Di tantse mishpokhe. L’evento ha offerto un percorso attraverso la tradizione ebraica, ponendo al centro il tema della famiglia – intesa non solo nel senso tradizionale, ma anche come simbolo di un legame profondo e comunitario fatto di amori, matrimoni, ribellioni, appartenenze, desideri e timori.
Il progetto Di tantse mishpokhe rappresenta il culmine di un percorso fatto di diversi incontri sull’ebraismo, sul rapporto tra quest’ultimo e il cristianesimo e sull’antisemitismo organizzati nelle scorse settimane dalla Chiesa Evangelica Valposchiavina. In questo contesto più ampio, le parole del pastore Paolo Tognina hanno sottolineato l’impegno e l’intento di provare a «capire quanta ricchezza ci sia nell’incontro con queste tradizioni». Un messaggio che ha trovato eco nel messaggio portato da Miriam Camerini, che con il suo nuovo spettacolo ha offerto un viaggio musicale attraverso la tradizione ebraica e le sue molteplici sfumature, valorizzando le diverse espressioni musicali della diaspora ebraica. Al centro di Di tantse mishpokhe – titolo dal duplice significato, che gioca sulle parole yiddish tants, la danza, e gantse mishpokhe, ovvero “l’intera famiglia”, in un tono ironico – è il tema della famiglia, intesa non solo nel senso tradizionale, ma anche come simbolo comunitario, rappresentante un legame profondo e poliedrico, il quale ha permesso di raccontare storie antiche e attuali al tempo stesso.
Milanese, ma nata a Gerusalemme, Miriam Camerini è regista teatrale, attrice, cantante e studiosa di ebraismo. Con il suo spettacolo ha saputo fondere l’arte teatrale e la musica, dando vita a un progetto che interroga le radici ebraiche – bibliche, letterarie e umane – dell’«l’istituzione più antica, complessa, multiforme, flessibile e, forse per questo, longeva dell’umanità»: la famiglia. Al suo fianco, la Cidnewski Kapelye – composta da Angelo Baselli (clarinetto), Oksana Ivasyul (violino), Davide Bonetti (fisarmonica) e Andrea Bugna (contrabbasso) – ha arricchito il percorso con sonorità che spaziano dalle liturgie in yiddish ai brani sefarditi, cantati in giudeo-spagnolo.
Partendo dal racconto della Genesi dove, una volta presentata all’uomo la donna, figura l’idea di incollarsi (dall’ebraico dābaq) l’uno con l’altro – termine che, seppur nella sua traduzione letterale possa simboleggiare un connubio fisico, comprende anche, e soprattutto, la sfera spirituale ed emozionale. Quasi come una colla, appunto, che rende inseparabili due pezzi, sottolineando la solidità e l’intimità del legame tra uomo e donna che rende possibile l’istituzione familiare. Ed è proprio di questa unione e dei legami familiari che Camerini canta e racconta, esplorando il tema da svariati punti di vista e prospettive: attraverso la ricchissima tradizione musicale della diaspora ebraica, così come con la letteratura ebraica del Novecento, recitando le parole e i racconti di Giorgio Bassani, Natalia Ginzburg e Primo Levi.
Il pubblico è stato così trasportato in un viaggio che ha unito musica, parola e riflessione, lasciando dietro di sé la sensazione di aver visitato un territorio ricco di storia e di identità, che sa parlare tanto del passato quanto delle sfide contemporanee. Sfide come quella del conflitto ancora in corso tra Israele e Hamas, sul quale non è mancata l’attenzione.
Se da un lato la musica e la danza, con i loro ritmi vivaci e festosi, hanno saputo coinvolgere e intrattenere, dall’altro lo spettacolo si è distinto per momenti di intensa riflessione. Particolarmente toccante è stata la lettura di una lettera indirizzata a un ostaggio israeliano, catturato da Hamas e poi tragicamente scomparso. Un frammento doloroso che ha testimoniato il male di cui l’uomo è capace e la devastazione di un nucleo familiare, ma che ha anche sottolineato la forza del legame comunitario. Un valore che trascende la sfera intima e che la famiglia, in senso ampio, può incarnare.
Attraverso le sue note, il concerto ha raccontato storie di famiglie che si scontrano, si frammentano e poi si riconciliano, proprio come nei grandi racconti letterari italiani, nei passaggi biblici, ma anche nella tradizione popolare ebraica, così ricca e sfaccettata. Di tantse mishpokhe si conferma così non solo come un concerto, ma come una finestra sulla cultura e sulle emozioni di un popolo, capace di farci riscoprire la bellezza e la complessità delle nostre radici, e di invitare tutti noi – famiglia, clan, tribù – a ritrovarci in un abbraccio universale.