Il seme e il frutto

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Luca 8, 4-8
Sermone del 23 febbraio 2025

Il seme e il frutto

[Gesù] disse in parabola: «Il seminatore uscì a seminare; e, mentre seminava, una parte del seme cadde lungo la strada: fu calpestato e gli uccelli del cielo lo mangiarono. Un’altra cadde sulla roccia: appena fu germogliato seccò, perché non aveva umidità. Un’altra cadde in mezzo alle spine: le spine, crescendo insieme con esso, lo soffocarono. Un’altra parte cadde in un buon terreno: quando fu germogliato, produsse il cento per uno». Dicendo queste cose, [Gesù] esclamava: «Chi ha orecchi per udire oda!» (Luca 8, 4-8)

Ricorre, con una certa insistenza, una cruda analisi dei risultati prodotti da quasi duemila anni di cristianesimo: il cristianesimo non avrebbe dato frutti, non sarebbe stato capace di incidere positivamente sulla storia; quindi, esso può e deve scomparire ed essere sostituito da altri sistemi capaci di orientare l’umanità verso il progresso e la felicità.

Si potrebbe rispondere, e non sarebbe difficile, mettendo a nudo i fallimenti, le contraddizioni, gli errori di quei sistemi che hanno preteso e pretendono di garantire all’umanità il benessere, la stabilità, la felicità.

Ma diffamare e mettere in ridicolo non sono mai stati tra i metodi usati da Gesù. Inoltre, il cristianesimo non si difende a parole, ma deve essere vissuto e praticato rendendo cento volte ciò che abbiamo ricevuto. “I semi germogliarono e produssero il cento per uno”, come dice la parabola.

Da più parti si aggiunge che il cristianesimo ha prodotto solo frutti scadenti, o cattivi o, nel migliore dei casi, nessun frutto duraturo.

Provate tuttavia a pensare che cosa rimarrebbe se cominciassimo a smantellare tutto ciò che il cristianesimo, accanto a tanti innegabili errori, ha prodotto di significativo: demoliamo cattedrali e chiese, leviamo dai musei e distruggiamo nelle collezioni tutte le opere d’arte d’ispirazione biblica, da Michelangelo, a Dürer, a Rembrandt, a Chagall, a infiniti altri; bruciamo le opere letterarie che traggono linfa e sostanza dalla parola di Dio, da Dante, a Goethe, a Thomas Mann, a Ignazio Silone, a moltissimi altri; non eseguiamo più la musica di Buxtehude, Palestrina, Johann Sebastian Bach, Händel, per non citare che alcuni nomi; sopprimiamo Agostino, Lutero, Blaise Pascal, Sören Kierkegaard; abbattiamo ospedali, scuole, biblioteche, orfanotrofi di creazione cristiana; stralciamo dai libri di storia Valdo di Lione, Francesco d’Assisi, i pacifisti anglosassoni dissidenti del Seicento e del Settecento promotori della tolleranza, Henri Dunant, David Livingstone, Albert Schweitzer, Martin Luther King, Nelson Mandela; eliminiamo dalla storia della pedagogia Heinrich Pestalozzi e Jeremias Gotthelf; cancelliamo dalla terra tutte le tracce di Gesù di Nazareth; bruciamo le spighe nate dal seme che Gesù ha gettato nel campo del Signore…

Rimarrebbe un grande e triste vuoto. A ragione Gesù ha potuto dire che il seme che cade nella buona terra produce il cento per uno.

Ma questi sono tutti, o quasi, esempi del passato, un passato anche limpido e luminoso, ma pur sempre passato. Oggi occorre purtroppo ascoltare con attenzione le voci critiche che si levano contro il cristianesimo, perché esse contengono spesso più verità di quella contenuta nelle parole di lode e di elogio: il cristianesimo ha perso la sua carica creativa, è come bloccato, è divenuto sterile, si trova in una situazione simile a quella descritta nella prima parte della parabola: non produce frutto.

C’è bisogno di uomini e donne che vivono in modo coerente con l’evangelo di Gesù Cristo e con il messaggio del sermone sul monte: su questo punto siamo deboli. Emerge qui quell’altra parte della parabola di Gesù, quella in cui si parla del seme caduto lungo la strada, o sul terreno pietroso o tra le spine.

Il nostro stile di vita, le ambizioni che abbiamo per i nostri figli, l’ideale di uomo e di donna che traspare dai nostri volti, dalle nostre case e dalle nostre automobili sono lontani da Cristo. Molte volte siamo istruiti, attivi, presenti nel mondo, spesso onesti e perfino scrupolosi. Ma raramente la nostra anima respira quell’amore per la libertà e la povertà che ci è comunicato da ogni pagina dell’evangelo.

Siamo una comunità seria, ma non siamo una comunità che predica. Abbiamo incaricato i pastori di parlare dai pulpiti, alla radio e alla televisione: a volte esce forse anche una predicazione di livello discreto. Ma quando una predicazione non ha alle spalle una comunità di testimoni, non è più predicazione: è buona e onesta propaganda, informazione culturale, difesa di un’istituzione.

Bisogna ridiventare, o diventare, una comunità di persone la cui preoccupazione centrale è la comunicazione dell’evangelo. Vale più una parola detta in in ufficio o nella ditta o nel treno o al supermercato o all’ospedale che il miglior sermone ascoltato dai 15’000 ascoltatori della meditazione alla radio o alla televisione; o per meglio dire il discorso rivolto ai 15’000 è autentico se dietro il predicatore non c’è semplicemente un’istituzione, ma ci sono uomini e donne, ragazzi e anziani, che fanno fruttificare la parola di Dio nell’incontro con il loro prossimo, dando come unica garanzia la propria persona, piccola, debole, indifesa e contraddittoria, ma reale: perché le persone ricevono l’evangelo solo da altre persone, mai dalle cose, o dalle istituzioni.

Infine, siamo una comunità seria, ma non siamo una comunità che prega. Ma dove prendere il coraggio di parlare di Gesù Cristo al nostro prossimo, se oltre al sermone sul monte non apriamo anche il libro dei Salmi? Che cosa, se non la preghiera, riscoperta nel rumore e nella confusione della società attuale, rivissuta malgrado la superficialità e la stanchezza che afferra la nostra mente e il nostro cuore, che cosa se non la preghiera, il dialogo con Dio e l’ascolto di Dio, può ridarci il respiro necessario, lo slancio per produrre il cento per uno?

Predicare l’evangelo; modificare il nostro stile di vita secondo il sermone sul monte; rinnovare cuori e menti sulla base del libro dei Salmi: chi ha orecchi, dice Gesù nelle parole conclusive della parabola, cerchi di capire.

Pastore Paolo Tognina