“Un premio che arriva inaspettato”: Begoña Feijo Fariña e il riconoscimento del Governo grigionese

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La settimana scorsa il Governo ha conferito il Premio grigionese per la cultura al musicista Walter Lietha. Un Premio di riconoscimento è stato attribuito, fra gli altri, anche alla valposchiavina Begoña Feijo Fariña, alla quale sono state dedicate queste parole: “Proveniente dalla Galizia, è arrivata in Valposchiavo, dove scrive romanzi, si dedica al teatro e offre alla sua valle una festa che unisce teatro e letteratura”. Begoña ha finora scritto cinque romanzi: “Maraya” (2013), “Potere e P-ossesso dello Zahir e altre storie” (2015), “Abigail Dupont” (2016), “Per una mela secca” (2020) e “Come onde di passaggio” (2024). Attualmente si sta dedicando alla poesia. Recentemente, Pro Helvetia le ha riconosciuto una borsa di creazione letteraria. Il Bernina l’ha raggiunta per un’intervista.

Ciao Begoña e complimenti per il tuo ultimo riconoscimento. Cosa significa per te ricevere questo premio da parte del Governo grigionese? Te lo aspettavi?
No, non così presto. Sono consapevole del valore del lavoro che sto svolgendo, ma questo da solo non è garanzia di poter ricevere un giorno questo riconoscimento. Nel Cantone dei Grigioni siamo in molti che ci impegniamo per offrire alle nostre comunità di riferimento eventi di qualità e siamo sempre molte quelle che producono opere artistiche (che siano letterarie, performative, plastiche, musicali o altro). Per cui diciamo che ci speravo, ma non me l’aspettavo nel 2025.
Questo premio, proprio perché comprende la parola “riconoscimento”, per me è come ricevere una pacca sulla spalla, un messaggio che dice “brava, continua così, stai facendo bene”. Rincuora, perché è ciò che avevo comunque intenzione di fare: continuare.

Il riconoscimento sottolinea il tuo contributo alla cultura della Valposchiavo. In che modo il legame con questa valle ha influenzato la tua scrittura e il suo percorso artistico?
Ho pubblicato il mio primo romanzo pochi mesi dopo essermi trasferita a Brusio; qui ho mosso i miei primi passi da professionista nel teatro e da organizzatrice eventi. Non so se avrei fatto qualcosa di ciò che faccio oggi se non abitassi in Valposchiavo.
La Valposchiavo è stata il terreno giusto per realizzare chi già ero, ma che ho scoperto e accettato anche grazie agli spazi e ai silenzi che caratterizzano questo territorio.
Brusio, e poi Poschiavo, hanno rappresentato per me una geografia accogliente, curiosa e aperta alle attività che man mano andavo sviluppando. Certo, probabilmente avrei scritto comunque, ma tutto il resto… non so!

Il tuo ultimo libro, “Come onde di passaggio”, uscirà il 24 marzo di quest’anno. Che sensazioni ti sta dando quest’opera? Che obiettivi ti poni?
“Come onde di passaggio” ha avuto una genesi diversa da ogni mio testo precedente. È rimasto a lungo solo nella testa. Negli anni ne ho immaginate forme diverse, ma senza scrivere quasi nulla. Dal momento in cui ho iniziato a lavorarci è cresciuto velocemente, sorprendendomi per la rapidità con cui si sviluppava. È un testo molto diverso sia da “Per una fetta di mela secca” che da tutto ciò che ho scritto prima, ma porta avanti il mio desiderio di mettere in luce l’importanza di ogni vita.
Porsi degli obiettivi è molto pericoloso, certo ho dei sogni e delle speranze che la scaramanzia mi porta a tacere, ma non obiettivi, se non quello di arrivare al cuore di chi lo leggerà.

Attualmente ti stai dedicando anche alla poesia. C’è un filo conduttore tra la tua narrativa e la poesia?
Il mio modo di scrivere narrativa “cade” a volte nella prosa poetica o nella “poesia in prosa”. Credo dipenda dal fatto che, prima ancora del significato e della narrazione stessa, per me è molto importante il suono di ciò che scrivo. Ogni volta che metto mano a un testo, per rielaborarlo o nelle tante correzioni che si fanno prima di una pubblicazione, lo leggo ad alta voce. Senza il suono non sono in grado di cogliere cosa “non funziona”. Ed è il suono che vince su tutto, caratteristica questa forse più della poesia.
Certo, da poco ho fatto la mia prima pubblicazione (su una rivista online) di poesia. Ma non credo la poesia sia la mia strada. Non mi ritengo all’altezza. La svizzera italiana ha una tradizione di poesia molto forte e dei poeti contemporanei straordinari.
Anche quando scrivo poesia, la mia poesia è soprattutto narrativa: un’altra forma di dare vita a una storia. La poesia preferisco lasciarla a chi è davvero bravo, io sono altro.

Il teatro ha influenzato il tuo modo di scrivere romanzi? E viceversa?
Credo di sì. Non so però chi abbia influenzato chi. Negli ultimi anni la mia attività teatrale si è ridotta a quella di assistente alla regia o di produzione. Le attività da portare avanti sono improvvisamente diventate troppe e ho dovuto fare delle scelte. La narrativa ha vinto sul teatro, ma il teatro ci resta dentro. Mi è stato detto più volte che i miei romanzi creano immagini molto precise; questo nonostante io non ami scrivere dettagliate descrizioni di luoghi o oggetti. Probabilmente questa caratteristica dei miei testi è in qualche modo legata al teatro. Ma la mia scrittura è un segreto persino per me, non so perché abbia la forma che ha.

C’è qualcuno che vorresti ringraziare per il Premio di riconoscimento?
Ritengo che non si realizzi nulla da soli. Nonostante quello dello scrivere sia un mestiere intimo e solitario, senza un libro stampato (quindi senza un editore) non si arriva ai lettori. Senza un pubblico non serve a nulla proporre uno spettacolo o realizzare un festival. Certo, questo premio è mio, ma cosa avrei fatto senza gli altri? Senza le occasioni che mi sono state date, senza il sostegno, senza l’aiuto di amici e colleghi?

Marco Travaglia
Caporedattore e membro della Direzione