Matteo 4,1-11
Sermone del 16 marzo 2025
Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto, per essere tentato dal diavolo. E, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame. E il tentatore, avvicinatosi, gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, ordina che queste pietre diventino pani». Ma egli rispose: «Sta scritto: “Non di pane soltanto vivrà l’uomo, ma di ogni parola che proviene dalla bocca di Dio”».
Allora il diavolo lo portò con sé nella città santa, lo pose sul pinnacolo del tempio, e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù; poiché sta scritto: “Egli darà ordini ai suoi angeli a tuo riguardo, ed essi ti porteranno sulle loro mani, perché tu non urti con il piede contro una pietra”». Gesù gli rispose: «È altresì scritto: “Non tentare il Signore Dio tuo”».
Di nuovo il diavolo lo portò con sé sopra un monte altissimo e gli mostrò tutti i regni del mondo e la loro gloria, dicendogli: «Tutte queste cose ti darò, se tu ti prostri e mi adori». Allora Gesù gli disse: «Vattene, Satana, poiché sta scritto: “Adora il Signore Dio tuo e a lui solo rendi il culto”».
Allora il diavolo lo lasciò, ed ecco degli angeli si avvicinarono a lui e lo servivano. (Matteo 4,1-11)
Domenica scorsa ci siamo soffermati sulla prima delle tre tentazioni, quella riguardante il pane. Il diavolo – cioè, l’avversario, colui che introduce divisione – propone a Gesù di fare un miracolo per aiutare sé stesso, per sfamare sé stesso. Gesù rifiuta quella proposta. Non perché ritenga inutile preoccuparsi per il cibo, ma perché non vuole pensare solo a sé stesso, solo alla propria fame.
È una tentazione che conosciamo anche noi, un pensiero che incontriamo spesso. Quante volte prevale in noi l’impulso a curare solo i nostri affari, ignorando le necessità di chi ci sta intorno. “Basta che io me la cavo”, diciamo. “Gli altri, si arrangino”.
Gesù non condivide questo atteggiamento e, rifiutando la proposta del tentatore, ribadisce la necessità di considerare sempre anche il benessere generale. Gesù non è venuto a trasformare pietre in pani, bensì a trasformare cuori di pietra in cuori intelligenti e solidali.
Esaminiamo ora le altre due tentazioni di cui parla l’evangelista Marco. Se la prima la possiamo chiamare “la tentazione del pane”, la seconda possiamo definirla “la tentazione del potere”, e la terza “la tentazione della religione”.
La tentazione del potere, il potere come tentazione. Il diavolo porta Gesù in un punto elevato, dal quale è possibile vedere tutti i regni della terra. Lassù gli propone un accordo: a te il potere sul mondo, a me il potere su di te. Tu diventi il re del mondo, io divento il tuo re. In che cosa consiste, in questo caso, la tentazione? Possiamo individuare almeno tre aspetti.
Il primo aspetto consiste nell’accettare un accordo di qualunque tipo col diavolo. Accettare di trattare col diavolo è già in sé una sconfitta, a prescindere da quello che trattando potremmo ottenere. Ma Gesù rifiuta di trattare. Non si tratta con il diavolo, non si tratta con il male. Il male lo si combatte, senza se e senza ma. Pensiamo al percorso di un drogato: all’inizio, ribadisce di poter smettere quando vuole… e quando si accorge di essere incapace di recuperare la propria libertà, è spesso troppo tardi.
Ecco, dunque, il primo aspetto: avviare una trattativa di qualunque tipo con il male, invece di combatterlo radicalmente.
Il secondo aspetto è riconoscere il diavolo come legittimo padrone del mondo. Diciamolo chiaramente: Gesù non è un ingenuo, sa che il diavolo è “il principe di questo mondo” e che ferisce, e semina divisione, violenza, dolore e lutti come vuole, potendo contare su molti complici e seguaci. Ma non per questo Gesù si rassegna, o ritiene che il male sia il legittimo padrone della Terra. No, Gesù ha negato che il mondo sia del diavolo e ha affermato che il mondo è di Dio.
Si sentono spesso, anche in ambienti cristiani, discorsi più o meno disperati sul mondo che sarebbe in balìa del male – le guerre, la distruzione dell’ambiente, la voracità dei ricchi a detrimento dei poveri – e perciò sarebbe irrimediabilmente perduto. No, dice Gesù, il mondo perduto è salvato: è in balia del male, ma non appartiene al male, bensì a Dio. Questa è la fede di Gesù, questa è la fede che siamo chiamati ad avere anche noi.
Il terzo aspetto è che accettando di governare il mondo attraverso la via del potere, Gesù avrebbe snaturato la sua missione. Lui stesso aveva detto: “Il figlio dell’uomo non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita come prezzo di riscatto per molti”. Se avesse accettato di impadronirsi del mondo ricorrendo alla forza, alla prevaricazione, alla violenza, si sarebbe allontanato da quella strada.
Il diavolo propone a Gesù la via del potere politico, ma Gesù è venuto per servire, non per comandare. Gesù è il re, ma il suo Regno non è di questo mondo. Questo non significa che il Regno stia sulle nuvole, ma che è totalmente diverso da quello di Pilato e di tutti i re della terra. Gesù è sì il Signore, ma manifesta la sua signoria lavando i piedi ai suoi discepoli. E chi lo vuole seguire, non deve dimenticare le sue parole: “Chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore”.
Veniamo alla terza tentazione, quella del tempio. Il tempio è il luogo sacro per eccellenza, e proprio lì si svolge la tentazione più difficile. Per tentare Gesù, il diavolo si serve della Bibbia, cioè dell’arma con la quale Gesù ha finora respinto le tentazioni. È come se il diavolo dicesse: “Guarda che ho in mano la tua stessa arma, la parola di Dio, che serve a te per difenderti, e serve a me per attaccarti”.
Che cosa fa il diavolo? Porta Gesù sulla punta più alta del tempio di Gerusalemme e gli dice di buttarsi giù, perché sta scritto: “Dio manderà i suoi angeli a sorreggerti in modo che il tuo piede non urti in alcuna pietra”.
In che cosa consiste la tentazione? Consiste in questo: se Gesù si buttasse giù si sfracellerebbe al suolo, se non si buttasse giù vorrebbe dire che non crede alla promessa di Dio e dimostrerebbe così che lui, figlio di Dio, non crede in Dio.
Si tratta di una tentazione insidiosa, alla quale Gesù si oppone citando a sua volta la Bibbia: “Non tenterete il vostro Dio”.
Come si può tentare Dio? Lo si può tentare mettendolo alla prova: non è più lui che mette alla prova noi, siamo noi che mettiamo alla prova lui.
Tentare Dio vuol dire obbligarlo a esibirsi, a dimostrare che effettivamente è Dio, che funziona come Dio. La chiesa comanda, Dio obbedisce. Non è più la chiesa in mano a Dio, ma Dio in mano alla chiesa.
Ecco perché la terza tentazione è quella più subdola, più insidiosa: è la tentazione di dimostrare Dio attraverso un miracolo, che però non corrisponde a un reale bisogno umano, a una sofferenza fisica o morale o spirituale, ma solo al desiderio di dimostrare Dio. Ma Dio non si dimostra, si testimonia. È la tentazione di rendere Dio visibile, ma Dio è invisibile, come lo Spirito Santo, come la sua parola. “Dio è nel segreto”, dice Gesù.
Viviamo nell’epoca della visibilità: se non appari non sei. Ma Dio non appare, piuttosto si nasconde, come dice il profeta Isaia: “Tu sei un Dio che ti nascondi”. Nasconde la sua divinità nell’umanità di Gesù, la sua forza nella nostra debolezza, la sua giustizia nella nostra iniquità, la sua vita eterna nella nostra mortalità.
Viviamo nell’epoca dello spettacolo e allora vorremmo avere un Dio spettacolare e trasformiamo la religione in spettacolo e Dio nell’oggetto dello spettacolo, ma noi non crediamo in un Dio spettacolare, crediamo in un Dio giusto e misericordioso.
Dio non ci ha chiamati per dimostrarlo, ma per amarlo e servirlo, amando e servendo il prossimo.
Non chiediamo di vedere Dio: ci basta sapere che egli vede noi e ci accompagna con pazienza e bontà. Non chiediamo miracoli e prodigi, ma che Dio aumenti la nostra fede grazie alla quale vediamo ogni giorno tanti miracoli intorno a noi e anche dentro di noi. Gesù ha fatto molti miracoli, ma non per dimostrare Dio, bensì per aiutare chi stava soffrendo.
Dio, che non è spettacolare, ci salvi da una religione che diventa spettacolo e da una chiesa che diventa teatro.
Pastore Paolo Tognina