Ecco l’uomo

0
46

(Giovanni 19, 1-6)
Sermone del 17.04.2025

Allora Pilato prese Gesù e lo fece flagellare. I soldati, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, e gli misero addosso un manto di porpora; e s’accostavano a lui e dicevano: «Salve, re dei Giudei!» E lo schiaffeggiavano. Pilato uscì di nuovo e disse loro: «Ecco, ve lo conduco fuori, affinché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa». Gesù dunque uscì, portando la corona di spine e il manto di porpora. Pilato disse loro: «Ecco l’uomo!» Come, dunque, i capi dei sacerdoti e le guardie lo ebbero visto, gridarono: «Crocifiggilo, crocifiggilo!» (Giovanni 19, 1-6)

“Ecco l’uomo!”, dice il prefetto romano Pilato presentando Gesù ai capi sacerdoti e alle guardie. Pilato ha visto bene: quel prigioniero frustato a sangue, sulla cui testa è stata posta una corona di rami spinosi e sulle cui spalle è stato gettato un mantello dell’esercito romano, era un uomo.
E cos’è mai un uomo, un semplice essere umano?

Un uomo vale poco, o forse anche nulla, agli occhi di chi segue la logica secondo cui una persona indesiderata, pericolosa o scomoda può essere eliminata in nome di interessi “superiori”. Male che vada ci si può sempre giustificare dicendo di avere “eseguito gli ordini impartiti da altri”.
Pilato, prefetto romano con possibilità di brillante carriera, non ha nessuna voglia di intervenire in favore di un provinciale proveniente dalla lontana Galilea, strano e discutibile, contestato dalle supreme autorità religiose.
Un certo timore nasce in Pilato solo quando gli viene riferito che quell’uomo avrebbe detto di essere “Figlio di Dio”. Per Giove! Se fosse veramente figlio di Dio sarebbe un brutto affare: con gli dèi conviene sempre cercare di mantenere dei buoni rapporti. Come si dice: “Scherza coi fanti, ma lascia stare i santi!”
Uomo, dunque, chi sei? Parla! Ma il timore di Cesare, il timore di dispiacere all’imperatore, conta più del timore di abbandonare al patibolo un “ipotetico” figlio di Dio. Da qui la conclusione: “Ecco l’uomo”, ve lo consegno, fatene quello che volete.

È una storia antica, questa, ma allo stesso tempo anche tragicamente attuale. Storia che era iniziata con l’omicidio compiuto da Caino, il quale si era difeso davanti a Dio sostenendo di non essere il “guardiano” di suo fratello; storia di Auschwitz e di un popolo, quello ebraico, abbandonato alla distruzione; storia di innumerevoli stragi dimenticate, o di fronte alle quali tanti hanno girato la testa dall’altra parte, per non vedere, non sapere, non sentire.
Johann Wolfgang von Goethe constatava, con amara ironia: “L’umanità progredisce incessantemente, ma l’uomo rimane sempre lo stesso”.

Dunque, Gesù è un uomo. Ma di che uomo si tratta? Anche Pilato è un uomo, anche le guardie sono uomini, anche i capi sacerdoti sono uomini. Anche quelli che, inferociti, gridano: “A morte, toglilo di mezzo, crocifiggilo”, sono uomini. Ma che uomini erano? Erano disumani, prigionieri di sé stessi, servi del potere politico o un’ideologia religiosa, menti o cuori rinsecchiti da dogmatismi, uomini che feriscono, che trafiggono, che vogliono togliere di mezzo chi annuncia una fede diversa, chi prospetta nuovi orizzonti.

Nello squallore di questa scena disumana c’è solo, forse, un timido palpito di umanità: il fremito di una donna, la moglie di Pilato, che aveva mandato a dire al marito: “Non avere nulla a che fare con quel giusto” (Matteo 27, 19). Ma, forse, anche questo non era un sussulto di umanità, quanto piuttosto il brivido di una paura nata da un sogno.

“Ecco l’uomo!” Con questa indicazione Pilato aveva inconsapevolmente affermato una grande verità: “Ecco l’uomo” che io non sono, ecco l’uomo che voi non siete. La stessa affermazione potremmo farla noi come individui e come chiese, se ci confrontassimo con l’uomo Gesù, con la pienezza della sua umanità. Sì, perché Gesù è l’uomo nuovo in cui risplende una ricchezza di umanità a noi sconosciuta.
È nell’umanità di Gesù che un mondo nuovo si è avvicinato a noi, per aprirci a nuovi orizzonti e per fare di noi degli esseri adatti al futuro.
È nell’umanità di Gesù che un seme ricco di promesse è stato deposto fra le nostre zolle (Marco 4, 1-9), che un tesoro è stato nascosto nella nostra terra (Matteo 13, 44).
È nell’umanità di colui che è andato attorno insegnando, predicando, guarendo (Matteo 9, 35), che dobbiamo affondare le nostre radici per diventare degli alberi che danno frutti nuovi (Luca 6, 44).

Ma come incontrare Gesù, l’uomo nuovo con la sua potenza liberatrice? È necessario rileggere i testi che ci parlano di lui. Non si tratta di pagine infallibili, bensì di testimonianze, riflessioni, rielaborazioni di credenti antichi. Da quei testi emergono indicazioni, sollecitazioni, novità di vita, se lo Spirito le muove per noi.

Pensiamo agli incontri conviviali di Gesù: in casa di Levi il pubblicano (Matteo 9, 9-13), dove, a tavola con pubblicani e peccatori, annuncia l’amore di Dio; in casa di Simone il lebbroso, a tavola con lui (Marco 14, 3); nella casa di Marta e Maria (Luca 10, 38-41); sulle pendici di un monte assieme a zoppi, ciechi, muti, storpi e altri malati (Matteo 15, 29-39).
Pensiamo agli incontri di Gesù con persone emarginate per vari motivi: un malato giudicato intoccabile (Luca 5, 12-13); un malato psichico di Gerasa (Marco 5, 19); un’adultera che stava per essere lapidata (Giovanni 8, 3-11); una prostituta che gli dona lacrime (Luca 7, 36-50).
Pensiamo al suo atteggiamento verso gli stranieri: la dolcezza e la delicatezza mostrate nell’incontro con la donna di Samaria (Giovanni 4, 14); alle parole rivolte al centurione romano del quale dice: “In nessuno in Israele ho trovato tanta fede” (Matteo 8, 10); alle parole dette a una donna sirofenicia: “Donna, grande è la tua fede” (Matteo 15, 28).
Non dimentichiamo la posizione della donna al seguito di Gesù (notevolmente ridimensionata, sembra, dagli stessi redattori finali dei Vangeli). Basti accennare alla donna di Betania che per il suo gesto sarà ricordata ovunque l’evangelo sarà annunciato (Matteo 26, 13) e alle due donne che saranno le prime testimoni della risurrezione (Matteo 28, 1-10).
E da ultimo pensiamo al fatto che dove Gesù avanza nasce la condivisione (Giovanni 6, 9). E, fatto incredibile, dove Gesù avanza il nemico cessa di essere considerato nemico.

“Ecco l’uomo”, dice Pilato. È l’uomo Gesù, del quale l’apostolo Paolo ha detto, nella lettera ai Filippesi: “Abbassò sé stesso, fu obbediente fino alla morte, alla morte di croce” (Filippesi 2, 8). Questo uomo ci dona gli strumenti necessari per diventare “adulti nella fede”, persone che cercano di raggiungere la statura di piena e perfetta umanità di Gesù, persone in grado di mettersi al servizio dell’evangelo e gli uni degli altri, componenti di una famiglia di fratelli e sorelle con un solo padre.
Camminando sulle tracce di quell’uomo, come dice il profeta Isaia: “Delle acque sgorgheranno nel deserto, dei torrenti nella solitudine, il miraggio diventerà un lago”.

Pastore Paolo Tognina