Maggio, il mese delle erbe: una visita da Simona Vitali del negozio “Palo Santo”

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Normalmente, quando si parla di linguaggio ci si riferisce a quello verbale e a quello non verbale, ossia ciò che concerne la comunicazione corporea attraverso forme gestuali e reazioni involontarie. Poi, in altri contesti, si parla di linguaggio nei confronti dell’arte: la poesia, ma anche la musica e l’arte figurativa. Le parole che udiamo sono onde sonore che traduciamo in significati; le parole che leggiamo, segni a cui attribuiamo un senso. I gesti, le pennellate, i suoni, tutto ci parla – ma in modi non sempre decifrabili.

Esiste però un altro linguaggio, più sottile e insieme più concreto. Un messaggio che si diffonde non con l’urgenza della parola, ma – potremmo dire – con la costanza della presenza. Se ci si avvicina alla soglia della saponeria Palo Santo di Simona Vitali, a Poschiavo, lo si percepisce subito: è l’odore. Quello delle erbe essiccate, raccolte nei mesi luminosi dell’anno, custodite in vasi di vetro, infuse in oli che ne trattengono la memoria vegetale.

Maggio è il mese delle erbe, secondo il calendario Un anno insieme alla mia terra. Non è un caso. È il mese in cui la montagna si risveglia con decisione, e nel quale il verde torna a dominare. Il tarassaco sboccia come piccola fiamma gialla nei prati; l’ortica si offre ruvida tra i sentieri. E se è vero che il linguaggio delle erbe è fatto di odori, è altrettanto vero che ciascuna di esse porta in sé un sapere dimenticato, una sua proprietà individuale.

Simona, nel suo laboratorio artigianale, lo sa bene. Ogni sapone è una sintesi di elementi: l’acqua, l’olio, la soda, sì. Ma anche ciò che non si vede: un’infusione di tarassaco e calendula, magari, che agisce sulla pelle come un balsamo antico. La produzione del sapone segue un processo preciso e misurato. Il procedimento inizia con la saponificazione, la reazione chimica tra grassi e soda caustica, appunto, che trasforma gli oli in sapone e glicerina. Gli elementi grassi utilizzati – come quelli di oliva, mandorle o cocco – vengono riscaldati e mescolati con una soluzione di soda caustica, mantenendo temperature controllate per garantire una reazione uniforme.

Durante la fase “a nastro”, che si ha quando la miscela raggiunge una consistenza più viscosa, si aggiungono gli ingredienti botanici o quelli che producano dei maggiori benefici nell’utilizzo del sapone: come fiori infusi di tarassaco e calendula, in questo caso, oleoliti ottenuti da macerazioni prolungate in olio, e oli essenziali. Questi elementi, in particolare, trasmettono al sapone alcune proprietà come quella lenitiva ed emolliente. L’uso di fiori secchi raccolti la scorsa stagione è in ogni caso da preferire per motivi tecnici, perché i fiori freschi contengono umidità che può compromettere la qualità del sapone.

Una volta versato negli stampi, il sapone viene lasciato riposare per 48 ore, in modo che questo possa solidificarsi. Poi il sapone viene estratto e posto in un ambiente asciutto per almeno due mesi. Questo periodo di maturazione è necessario perché la saponetta raggiunga la durezza e la delicatezza desiderate.

Il processo, tecnico, ha un che di rituale. Ogni fase richiede attenzione e pazienza, qualità che si rispecchiano nel prodotto finale: un sapone che non è solo un detergente, ma una sintesi di natura, sapere e cura artigianale. Il rispetto dei cicli naturali è prima di tutto un esercizio di misura. Non si tratta solo di seguire le stagioni, ma di riconoscere il tempo proprio di ogni elemento e ogni fretta può rompere l’equilibrio.

Abbiamo parlato di linguaggio all’inizio. Ma il profumo, oltre che ad essere un capolavoro della natura, diversamente da parola, suono e gesto, esso porta con sé qualcosa di reale. L’odore non è solo immagine o evocazione: è sostanza. Molecole leggere viaggiano nell’aria che respiriamo, penetrano il corpo, si depositano, trasformano l’umore, la memoria, la disposizione interiore.

Il profumo non attraversa il pensiero: lo aggira. Non descrive, non dimostra, ma dischiude. Basta un’ombra d’aroma perché si apra un varco nella memoria – non quella delle date e degli impegni, ma quella più profonda. E ci si ritrova improvvisamente in un altro mondo, in un pomeriggio lontano, o immersi in una luce che non sappiamo più dire se reale o sognata. Forse è ‘semplicemente’ un ricordo collettivo a cui l’evoluzione ci ha abituato. E per farci caso basta qualche fiore secco, in un sapone fatto a mano.