L’intervista a Fides Bontognali, che per tantissimi anni ha gestito l’albergo Cambrena in cima al passo del Bernina. Fides ha visto inverni che, ai giorni nostri, sono difficili anche solo da immaginare.
Fides Bontognali ci racconta degli inverni passati sul Passo del Bernina
Fino ad allora le stagioni erano ben scandite: in autunno, con l’arrivo della coltre bianca, si scendeva a valle, per risalire poi in primavera, quando la neve cominciava a sciogliersi e la strada riapriva. Nel 1965, con la prima apertura invernale del passo del Bernina, Fides Bontognali gestiva il ristorante Sfazù. E già le sembrava di essere in alto, a monte, lontano dalle luci della valle.
Poi nel 1978 Fides si stabilisce su in cima al passo del Bernina, all’albergo Cambrena. “Il mio timore iniziale più grande era che d’inverno gelasse l’acqua” ricorda Fides. “Ma poi, passato il primo inverno mi resi conto che non correvo pericolo e cominciai a starci bene davvero lassù, in cima alle montagne”.
La prima neve
“D’autunno mi svegliavo ogni mattina temendo di trovare un manto bianco. Mi faceva paura, l’idea della prima neve. C’era poi il lago, che ogni giorno all’alba osservavo, per vedere se fosse gelato o meno, per vedere se l’inverno fosse giunto o ancora no. Ogni mattina stavo col fiato sospeso, finché un bel giorno la neve arrivava e allora mi rassegnavo. Un lungo inverno era tornato e se ne sarebbe andato solo a giugno. Sì, l’arrivo dell’inverno era brutto lassù, perché sapevi che sarebbe stato lungo, molto lungo, e intenso”.
Fides, una o due volte la settimana doveva scendere a valle per fare la spesa: “Ah, ricordo che non ero tranquilla quando dovevo scendere sulla strada innevata. Avevo un prototipo di catene, degli ingranaggi di metallo che mettevi alle ruote e che facevano un baccano quando viaggiavi. Andavi pianissimo, ma andavi”.
“Ricordo l’inverno del 68, quando io ancora ero a Sfazù – continua Fides socchiudendo gli occhi, quasi per far apparire più nitide le immagini dei ricordi – era giunta una bufera, come oggi non ce ne sono più, e c’erano gli uomini di Battaglia che erano restati a secco, là, vicino al Baracon. La bufera era terribile e da Poschiavo avevano dovuto mandare su la benzina con il treno. E quei poveretti dovettero scendere fino alla stazione a piedi, in mezzo alla neve, a prenderla. Ricordo poi che il passo rimase chiuso per giorni…. me ne ricordo perché mia madre morì proprio in quel periodo, mentre io ero bloccata lassù.
Fides mi racconta della neve e delle bufere che imperversavano sul passo 30 anni fa, temendo che io non riesca a immaginarmele. “Oggi non è più la stessa cosa, non si vede più la neve di una volta.”
Notti in bianco
Fides sorride raccontandomi di quante volte, di notte, fu svegliata da gente che era restata bloccata con la macchina ad Arlas o lungo la strada. “Arrivavano al Cambrena a piedi, trafelati. Io suggerivo loro di andare a dormire, ma temevano che così non avrebbero sentito l’arrivo dello spazzaneve all’alba e che questo avrebbe schiacciato le loro macchine. Quindi si restava in ristorante, loro ed io, ad attendere. Col passare del tempo cominciai a lasciare le chiavi delle macchine fuori, in una cassetta per Battaglia, accompagnate da un biglietto”.
Le notti durante le quali Fides non veniva svegliata da un qualche sventurato, erano comunque brevi. All’alba, non appena sentiva lo spazzaneve di Battaglia, scendeva in ristorante in pigiama a dare il caffè a questi paladini del passo. “Gli uomini di Battaglia conoscevano la strada come le loro tasche”.
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C’è un lume sul passo
“Una sera cominciava ad esserci tormenta. Verso le 19 un poschiavino che rientrava da Coira entrò in ristorante chiedendomi di poter cenare, lui e il suo amico che era appena uscito dall’ospedale di Coira, con entrambe le gambe rotte. Vedendo il tempo gli sconsigliai di fermarsi troppo a lungo, diedi loro un caffè e si avviarono subito, per precedere la bufera che incalzava. Verso le undici di sera, quando stavo per coricarmi e avevo già chiuso il ristorante, mi sembrò di sentire delle urla. Fuori dalla porta c’era un uomo, mezzo assiderato, coperto di neve. Era lui, il poschiavino di tre ore prima”. Fides mi racconta come l’uomo, pensando di aver passato il pezzo più critico della strada, si fosse fatto sorprendere dalla bufera e avesse perso il controllo del veicolo. Non riuscendo più ad avanzare, aveva abbandonato l’auto, intenzionato a tornare al Cambrena a chiedere aiuto. “Con il vento e la neve però si perse e vagò per tre ore, fino a intravedere il lume che, io, tutte le notti lasciavo acceso all’entrata. Quel lume salvò la vita a lui e al suo compagno, ritrovato poi in macchina.”
Un fiore
Cadeva la prima neve, in una mattina d’autunno. Fides mi racconta di quel valtellinese che, ogni giorno, andava e veniva, trasportando un carico di legname. “Quella mattina io gli servii il caffè e gli chiesi di aspettare che si schiarisse, che il tempo migliorasse. Ma lui volle partire lo stesso, doveva rientrare. Non dimenticherò mai quando, più tardi, venni a conoscenza del suo incidente, fatale. Da quel giorno, ogni anno gli porto un fiore, lassù sul passo, dove se ne è andato.
Foto: Archivio Renzo e Laura Battaglia (in alto), Fides Bontognali
Elisa Bontognali