È ormai sera quando entro su Facebook, e ‘sfogliando’ la schermata principale noto mille riferimenti a Barcellona. Che è successo? Con un click provo ad informarmi.
Un camion investe la folla sulla rambla.
Momenti di smarrimento. Ancora una volta.
Forse un tema simile su un giornale valligiano, soprattutto scritto da una diciottenne non ha molta credibilità, ma ci provo lo stesso.
In una realtà così piccola, così protetta come la nostra, mai mi sono sentita in pericolo. Tutte le notizie che passano a volte sembrano così lontane da noi. Eppure questo ennesimo attacco terroristico mi ha svegliata.
Tra quei passanti avrebbe potuto esserci un qualsiasi conoscente in vacanza. Ragazzi, famiglie, anziani. È un ragionamento così banale che quasi me ne vergogno.
D’improvviso la nostra valle, la nostra vita di periferia mi sembra un mondo fatato. Le montagne ci parano gli occhi dall’orrore che si sta svolgendo al di fuori di essa. O forse non è la valle, è lo stato rossocrociato, neutrale e pacifico, forse sono io ancora troppo piccola per capire appieno queste dinamiche… o forse, forse niente di tutto ciò, semplicemente finché questa realtà non ti tocca non ti riguarda. Non voglio nemmeno pensare alla possibilità, concreta, che questi avvenimenti stiano invece diventando quasi un abitudine, un fatto di cronaca quotidiana, non voglio accettarlo.
L’attacco di oggi, come tutti i precedenti, ha ferito delle persone, messo fine a delle vite. Assieme ai coinvolti ha però provato a distruggere, ancora una volta, ognuno noi. Oriana Fallaci, grandissima donna, scrisse “I terroristi, i kamikaze, non ci ammazzano soltanto per il gusto d’ammazzarci. Ci ammazzano per piegarci. Per intimidirci, stancarci, scoraggiarci, ricattarci. Il loro scopo non è riempire i cimiteri. Non è distruggere i nostri grattacieli, le nostre Torri di Pisa, le nostre Tour Eiffel, le nostre cattedrali, i nostri David di Michelangelo. È distruggere la nostra anima, le nostre idee, i nostri sentimenti, i nostri sogni.”
Sentimenti e sogni che momentaneamente non possono che essere turbati. Come posso, a diciott’anni, immaginare il mio futuro, idealmente pieno di viaggi e nuove scoperte, quando appena ci si espone a nuove realtà si rischia di finire nel mirino? Come devono sentirsi le persone toccate dal terrorismo in prima persona, quando io, che sto a migliaia di km, oggi, ne sono atterrita?
Non ho le risposte a niente di tutto questo, ma comprendo, ancora una volta quanto sono fortunata ad essere cresciuta a Poschiavo, d’improvviso mi mangio la lingua per tutte le volte in cui mi lamento della sua tranquillità, e, in momenti di sconforto come questi, non vedo l’ora di essere riabbracciata dalle sue montagne.
Matilde Bontognali