Il popolo nomade dei Penan
Mila Compagnoni, che per anni ha lavorato per la Fondazione Bruno Manser, ha deciso di far visitare la Valposchiavo a due persone di etnia Penan. Guarda la GALLERIA FOTOGRAFICA
Gli obiettivi di Mila Compagnoni e di Volker Königsbüscher
Mila Compagnoni, di professione infermiera, assieme al marito Volker Königsbüscher, stanno creando un’associazione per poter continuare ciò che avevano iniziato alla Fondazione Manser. All’interno del Progetto Medicina, Mila insegnava a un gruppo predetto di Penan come diagnosticare una malattia, come medicare o attuare un primo soccorso in quanto l’assistenza medica a volte dista dai villaggi alcuni giorni di cammino. Purtroppo, per raggiungere la più vicina struttura ospedaliera, in alcuni casi i Penan hanno bisogno dell’aiuto degli stessi operai che stanno distruggendo la loro foresta. Un vero paradosso.

Inoltre, Mila si adoperava per costruire ambienti igienico-sanitari; in totale sono stati portati a termine più di trenta gabinetti. Tuttora, si occupa della loro salute e dell’aspetto nutrizionale.

Bruno Manser
Bruno Manser negli anni ‘80 decise attivamente di occuparsi della deforestazione e della corruzione politica nel Sarawak, una provincia malesiana del Borneo. I Penan sono un popolo nomade del Sarawak che vivono in modo pacifico nella foresta pluviale.
- Per approfondire guarda il servizio della RSI: “Desaparecido delle foreste. L’ecoattivista svizzero Bruno Manser spariva 10 anni fa nel Borneo”
Penan in Valposchiavo
Mila Compagnoni ha deciso di portare due persone di etnia Penan in Valposchiavo, affinché potessero raccontare la loro difficile situazione. Per N. e la moglie W. è stato molto faticoso allontanarsi dalla propria terra di origine per venire in Svizzera, luogo totalmente differente sia dal punto di vista ambientale sia dal punto di vista sociale e civile. Hanno visto i boschi, la neve, la cosiddetta “civilizzazione”, la frenesia dei nostri tempi, e hanno soprattutto risentito del clima con basse temperature, inusuale nella foresta pluviale (in cui c’è molta umidità e le temperature si aggirano sempre sui 30 gradi).

Mila e il marito hanno voluto fare un regalo davvero speciale ai due Penan, in quanto N. ha trascorso molto tempo con i due coniugi svizzeri, prendendoli per mano e guidandoli attraverso i sentieri intricati della giungla in maniera sicura, e li ha aiutati nell’approccio comunicativo con la popolazione.
Mila e Volker si adoperano per dare visibilità e perorare la causa dei Penan nel rispetto della dignità umana e della libertà di scelta per preservare la loro storia e il loro spazio vitale. Tutti noi abbiamo un passato e un luogo in cui scegliamo liberamente di vivere e questo deve essere rispettato.

Il popolo Penan e la distruzione dei loro territori
I Penan non hanno una tradizione scritta ma solo quella orale, non conoscono la loro provenienza ma sentono di appartenere alla regione vicina al fiume Baram (il secondo fiume più lungo del Sarawak). Il fiume rappresenta la loro terra ed è di fondamentale importanza per loro. Oggi il corso d’acqua è minacciato in quanto la deforestazione provoca vaste frane (sistema di erosione) che si immettono nel fiume inquinando l’acqua e soffocando le specie ittiche. Inoltre, c’è in programma un progetto faraonico che comprende la costruzione di 12 dighe sul fiume Baram andando ad inondare almeno venti villaggi e sconvolgendo con enormi bacini il territorio e la sua salubrità. Tutto questo serve per produrre un’enorme quantità di energia idroelettrica a favore della lavorazione di minerali rari, per la produzione di alluminio e di altri tipi di industria con alto fabbisogno di energia elettrica. La cosiddetta energia chiamata “verde”, attraverso cavi sotterranei, verrà venduta ai territori continentali adiacenti l’isola.

Nel Sarawak esistono più di quaranta tribù che vivono nella foresta: gli stessi Penan sono all’incirca dieci-dodici mila. Solo duecento sono rimasti nomadi come da tradizione; gli altri sono diventati semi-nomadi, ossia vanno nella giungla a caccia, a pesca oppure a raccogliere frutti o erbe medicinali solo per tre o quattro mesi all’anno, mentre oramai alcune popolazioni sono completamente stanziali. Per la quotidianità indossano T-shirt e jeans provenienti dall’occidente, mentre per le festività adoperano ancora i loro vestiti tradizionali.

Le popolazioni indigene sono state costrette a diventare stanziali a causa dello sfrenato e illegale disboscamento della giungla: faticano a cacciare, a trovare vegetali e i fiumi sono inquinati. Per sopravvivere hanno bisogno di animali che non ci sono più, di piante medicinali e della palma del sago da cui traggono innumerevoli risorse quotidiane.
I Penan prendono tutto dalla foresta, non fanno l’elemosina. Le compagnie del legno distruggono la foresta pluviale mettendo a repentaglio le popolazioni autoctone e corrompendole per poter avere facile accesso con i bulldozer.

Le multinazionali del legno e la corruzione politica
Da molti anni, purtroppo, le multinazionali del legno minacciano la loro sopravvivenza con la deforestazione e la coltivazione delle palme da olio. Quindi il profitto è doppio. Mediante la vendita del pregiatissimo legname tropicale e tramite le piantagioni alloctone di palma da olio, le multinazionali stanno distruggendo un intero ecosistema decimando delle specie endemiche floristiche e faunistiche. Come afferma N., le due più grandi multinazionali del legno Samling e Interhill, stanno apportando danni ingenti sul territorio e il legno pregiato viene per la maggior parte esportato in Cina, in Europa e anche in Svizzera. Si costruiscono mobili, case e in passato era anche usato per la fabbricazione dei binari ferroviari in quanto è un materiale molto resistente e duro.

Il ruolo di N. e la corruzione del Borneo
Il ruolo di N. nell’associazione è di spiegare alle persone autoctone a non inquinare la foresta per garantire un futuro alle prossime generazioni. Gli indigeni, contaminati dalla globalizzazione, gettano plastica, vetro, batterie e altri rifiuti nella giungla senza nessuna ottica di riciclaggio. In precedenza i Penan prendevano tutto ciò che a loro serviva dalla foresta senza impoverire le risorse. A questo porta la cosiddetta civilizzazione!

Inoltre, il primo ministro del Sarawak, Abdul Taib Mahmud, dopo trent’anni di regime, è stato nuovamente rieletto ad aprile di quest’anno e le popolazioni che abitano la foresta si sentono minacciate e senza alcuna speranza di un cruciale cambiamento. Una legge del governo preserva i loro territori ma la corruzione, l’ignoranza e gli interessi economici mettono in continuo repentaglio la loro sopravvivenza e i diritti di queste popolazioni lasciando campo libero alle multinazionali del legno. Inoltre attualmente è in corso un’azione legale nei confronti della banca Svizzera UBS e di altre tre banche “per aver fatto affari con il clan Taib” come si evince da questo articolo:

I Progetti in atto e le azioni di protesta per la conservazione dei loro diritti
Sono in corso due progetti per le popolazioni Penan: il Mapping, cioè definire la propria area con i confini in quanto una legge malesiana afferma che se un gruppo etnico conferma l’abitazione di quell’area è vietato il disboscamento; l’altro progetto legato sempre al Mapping riguarda la loro storia orale che stanno trascrivendo attraverso interviste ad altri gruppi Penan. Tutto ciò per riuscire a identificare i territori che venivano segnati tramite alberi, pietre o altri elementi naturali. Quindi grazie a questi progetti è possibile che le loro zone vengano contraddistinte legalmente in modo tale da avere una storia e magari maggior protezione.

Marginalizzati dal potere politico
I Penan non si mettono mai sopra qualcuno, sono persone veramente pacifiche. Non hanno mai atteggiamenti di superiorità ma sempre di umiltà e condivisione. Sono un popolo marginalizzato. La gente urbana crede che vivano come le scimmie. Attualmente ci sono Penan che non hanno ancora la carta di identità perché non sanno quando sono nati. Addirittura il governo nelle elezioni di aprile ha respinto a loro la carta di identità per negargli il diritto di voto come si deduce dall’articolo: “Tribù del Borneo: trent’anni di un regime che “ha distrutto tutto“. I Penan protestano per queste ingiustizie e manifestano pacificamente contro il governo che permette il massiccio disboscamento calpestando i loro diritti.

A mio parere è ignobile che tutto ciò venga ancora permesso e soprattutto quando gli interessi economici prevaricano sul diritto alla vita.
Per approfondire l’argomento clicca i link sottostanti:
- Guarda il filmato: “I sentieri del mondo: i Penan della Malesia” – Rai.tv World
- Guarda il video: “Come veleno” – www.survival.it
- Penan: ultime notizie – www.survival.it
- I penan del Sarawak contro la grande diga cinese – www.greenreport.it
- Sarawak – STOP alle continue violazioni di diritti umani contro la popolazione indigena Penan – www.sudestasiatico.com
- Indonesia: Burger King annulla i contratti sull’olio di palma – eco-ecoblog.blogspot.ch
- La corsa verso nuove fonti di energia minaccia 90 milioni di indigeni – www.gfbv.it
- Lotta alla corruzione per salvare le foreste del Borneo – www.swissinfo.ch
- Tribù del Borneo: trent’anni di un regime che “ha distrutto tutto” – www.survival.it
- Borneo: ecosistema a rischio, nuove proteste dei nativi – www.lastampa.it
GUARDA LA GALLERIA FOTOGRAFICA, a cura di Mila Compagnoni
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