Italiano: da tratto identitario a opportunità di crescita

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    Immagine da: www.clublab.ch

    Bundì, Grüezi. Morgen, Bonjour, Buongiorno: quanti modi diversi per salutarsi su un sentiero di montagna o tra le vie del borgo; una consuetudine viva in montagna, appena sfumata in collina, praticamente sconosciuta in città.

    Eppure salutare, nella propria lingua, con il proprio dialetto, è un segno antico di apertura, condivisione, reciprocità, affetto e un pizzico di complicità. Condividiamo la medesima strada e in caso di necessità ci siamo, uno per l’altra; sorridiamo e incrociamo gli sguardi, ci riconosciamo anche se non ci siamo mai visti prima. Mi piace ricevere il saluto, mi piace rispondere sorridendo e rimango male quando questa regola non scritta è disattesa, per distrazione o semplicemente perché non la si conosce. Capita che a un saluto segua una breve chiacchierata, quattro parole per esprimere simpatia o fatica, con la sorpresa, talvolta, di trovarsi accanto a chi arriva davvero da molto lontano.

    Le lingue sono un patrimonio umano e culturale di inestimabile valore. A febbraio il World Economic Forum ha pubblicato un articolo di Joe Myers che sintetizza gli studi attuali sulla diffusione degli idiomi nel mondo; quello più diffuso (nelle sue innumerevoli variazioni) è il Cinese, parlato da oltre 1,3 miliardi di persone in 37 diversi paesi, seguito dallo Spagnolo con 437 milioni di persone in 31 paesi e dall’Inglese, diffuso in 106 paesi con 372 milioni. Nella Top Ten attuale (soggetta comunque a variazioni costanti) il quarto posto è dell’Arabo (295 milioni), il quinto dell’Hindi (260 milioni), il sesto del Bengali (242 mil), il settimo del Portoghese (219 mil). Russo, Giapponese e Lahnda completano la classifica, tutti con oltre 100 milioni.

    Ebbene, la nostra lingua madre, l’italiano (pur nelle sue numerose varianti, non tutte dialettali), parlato “solo” da una settantina di milioni di persone, è la quarta lingua al mondo più studiata, dopo inglese, spagnolo e cinese; studiata e amata per i legami profondi con una cultura millenaria, che rappresenta la chiave d’accesso a una dimensione creativa e artistica unica al mondo. Una lingua particolarmente melodiosa che, pur nelle caratterizzazioni locali, conserva musicalità; una lingua inclusiva e avvolgente, in cui le cinque vocali (con i sette suoni) e le sedici consonanti si combinano e abbracciano chi ascolta.

    La lingua madre è per tutti noi un tratto identitario preciso; la scienza ci dice che essere bilingue (o ancor meglio trilingue) ci rende più flessibili, resilienti, intraprendenti; ma la lingua madre è quella che plasma il nostro approccio alla realtà. La Costituzione federale, all’articolo 70, considera l’italiano come il tedesco e il francese, lingua ufficiale della Confederazione. Come ha osservato il Presidente della PGI, Franco Milani, in occasione dell’allocuzione del 1 agosto, Confederazione Svizzera e lingua italiana hanno un legame significativo: sono nate nel medesimo periodo storico e sono il frutto di un approccio pragmatico alla realtà, che ne ha decretato il successo nel mondo, senza essere il prodotto di un’egemonia militare.

    La Confederazione, in quanto Willensnation, costruisce la propria identità in un dialogo incessante tra le sue genti, un dialogo che necessariamente passa per le sue lingue nazionali. Per quanto possa essere faticoso, studiare più lingue, conversare amabilmente utilizzando senza particolare difficoltà le lingue nazionali e ufficiali, rende le comunità resilienti e tenaci, aperte al futuro pur nella consapevolezza della propria identità. Non solo, lo scorso 6 febbraio il portale del World Economic Forum ha pubblicato la sintesi di uno studio interessante dell’Università di Bristol dal titolo “Speaking more than one language can boost economic growth” (di Sophie Hardach); ebbene secondo gli scienziati il 10% del PIL svizzero è strettamente legato al multilinguismo del Paese; per contro la Gran Bretagna perde ogni anno l’equivalente del 3,5% del Pil in opportunità a causa della popolazione sostanzialmente monolingue.

    Accanto alle ragioni del cuore, della storia e della politica, c’è una ragione in più per valorizzare la ricchezza linguistica della Confederazione!


    Chiara Maria Battistoni