Marco 4,35-41
Sermone del 3 luglio 2022
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Gesù disse loro: «Passiamo all’altra riva». (…) Ed ecco levarsi una gran bufera di vento che gettava le onde nella barca (…) Egli, svegliatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!» Il vento cessò e si fece gran bonaccia (…). (Marco 4,35-41)
Qual è il messaggio di questo episodio? Per cominciare possiamo dire che si tratta di un racconto altamente simbolico, che racchiude almeno quattro spunti di riflessione.
Il primo è una semplice constatazione: nell’esperienza umana c’è anche la tempesta. Non c’è solo il cielo sereno e il mare calmo, c’è anche il cielo scuro e il mare in tempesta. Ci sono tempeste nella natura, nella storia collettiva, nella storia individuale e familiare, ce ne sono nella chiesa e nella società. Ce ne sono nella vita di ciascuno di noi, di ogni vivente.
La tempesta viene in tanti modi – esteriori e interiori -, aggredisce il corpo o l’anima, o la psiche, o gli affetti e i sentimenti. Non la si può evitare, si può solo imparare a fronteggiarla. Nessuna vita ne è esente. La tempesta fa parte di questo mondo e di questa vita. Se accettiamo questa vita dobbiamo sapere che con ogni probabilità ci troveremo anche noi in qualche tempesta.
Il secondo nasce da una serie di domande. Da dove viene la tempesta? Chi la manda? Chi la provoca? Chi è colpevole? E perché viene?
Per quanto concerne la tempesta sul lago di Galilea, non si capisce né da dove viene, né perché. Non viene dai discepoli, non da Gesù, non dalla folla delusa perché Gesù se ne è andato.
Alcuni sostengono che la tempesta venga da Dio, il quale manderebbe delle calamità per far rinsavire un’umanità che sembra non capire altri discorsi. Ma non è affatto così. Per far rinsavire l’umanità Dio non manda dei castighi, ma ha mandato Gesù. In ogni tempo e in ogni situazione manda sempre e solo lui.
Ricordiamoci che non tutto ciò che accade è semplicemente “volontà di Dio”: il Male non è volontà di Dio, la disperazione e la morte non sono volontà di Dio. Dio vuole il Bene, essendone l’origine, e non il Male, che è ciò che egli ha sempre e radicalmente cacciato dal suo orizzonte. Dio è fonte di vita, non di morte.
Inoltre, in ogni avvenimento, anche il più infelice, non dobbiamo tanto chiederci: “Da dove viene?”, bensì: “Dove mi può portare?”. In ogni avvenimento c’è un sentiero – a volte molto nascosto, eppure c’è – che porta a Dio, e la volontà di Dio è proprio questa: che attraverso quello che accade, noi andiamo a lui.
Il terzo spunto: Gesù è nella barca e quando si scatena la tempesta anche lui è nella tempesta. In questo episodio, Gesù rivela – ancora una volta – che Dio è con noi. Ritroviamo un’eco dell’annuncio fatto dall’angelo a Giuseppe: ti nascerà un figlio e sarà chiamato “Emmanuele”, che tradotto vuol dire “Dio con noi” (Matteo 1,23). Questo è Gesù: Dio con noi, nella nostra barca, e se la barca è nella tempesta, anche lui è nella tempesta. Non fuori, non accanto, non lontano, non altrove.
Gesù – il Dio con noi – è nella barca e nella tempesta, ma dorme. Perché dorme? Per disinteresse? Per negligenza? Per incoscienza? No, dorme perché non ha paura, a differenza dei discepoli che invece hanno paura. Chi ha paura non può dormire. Chi non ha paura, può invece anche dormire. Gesù dunque dorme perché non ha paura, e non ha paura perché è sicuro di Dio. È sicuro che Dio, che ha creato il mare e il vento, può anche placare entrambi.
Il quarto ed ultimo spunto è questo: nella tempesta i discepoli hanno paura. Tutti hanno paura. Non ce n’è nemmeno uno – neppure il solito Pietro, sempre in prima fila – che non abbia paura.
I discepoli rappresentano la chiesa. È la chiesa che crede poco: la tempesta rivela la sua piccola fede. Balbetta, non sa che cosa dire, non riesce a interpretare quello che sta succedendo.
Nella tempesta bisognerebbe credere di più, e invece proprio la tempesta rivela la nostra piccola fede. Può sembrare grande quando il mare è calmo ma, in realtà, è piccola anche allora. La gente “di poca fede” è quella che crede in Dio quando il mare è calmo, ma comincia a dubitare quando il mare è agitato. Crediamo sempre troppo poco, questa è la verità. Perciò, concludendo, possiamo fare nostra la supplica dei discepoli a Gesù che dorme, dicendo: “Signore, salvaci, siamo perduti!”, salvaci dalla tempesta, ma salva anche la nostra piccola fede, l’unica di cui siamo capaci.
Pastore Paolo Tognina