Che cosa significa essere salvati?

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Romani 1,16
Sermone del 14 agosto 2022

“Non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede” (Romani 1,16)

Il tema della “salvezza” occupa un posto centrale nel cristianesimo. Esso costituisce, possiamo dire, il cuore del Nuovo Testamento, il quale ci presenta Gesù come “salvatore” e non si stanca di ripetere che l’evangelo è una potenza di salvezza. Da venti secoli ormai, il tema della salvezza domina la predicazione e il pensiero cristiani.

Sebbene questo tema occupi un posto tanto importante, credo che si possa affermare che il significato della salvezza non sia spesso per nulla chiaro. In che cosa consiste la salvezza? E da che cosa siamo salvati?

Possiamo provare a indicare tre risposte. La prima risposta – quella più frequente, più classica -, è che Gesù ci salva dal peccato e dalle sue conseguenze. La salvezza, in questo caso, è il perdono che ci libera dalla colpa.

Per molto tempo, nel corso dei secoli, il senso della colpa è stato vivo e presente. Sul finire del medioevo, ad esempio, molta gente era letteralmente terrorizzata a causa dei propri peccati e dalla paura nei confronti della punizione che ne sarebbe derivata. Il giudizio finale e l’inferno costituivano una minaccia concreta, espressa da straordinarie e allucinanti raffigurazioni pittoriche che si possono ammirare ancora oggi in molte chiese – per non parlare di quella incredibile rappresentazione dell’aldilà contenuta nella Divina Commedia di Dante Alighieri.

Quelle persone, spinte dalla paura, si imponevano una vita di rinunce, moltiplicavano le pratiche devozionali e le buone opere nella speranza che ciò potesse fruttare loro l’indulgenza divina necessaria a mitigare la pena.

Di fronte a questa angoscia, la Riforma protestante ha proclamato che la salvezza è un dono di Dio, e non la ricompensa per le azioni compiute dagli esseri umani. L’affermazione secondo cui Gesù salva, significa che in lui il nostro peccato è perdonato, che lui cancella i nostri errori e dunque non abbiamo più  nulla da temere.

Nel 16. secolo questo messaggio ha rappresentato un’autentica e profonda liberazione, per moltissime persone. A cominciare dal monaco Martino Lutero, il quale a lungo aveva cercato di raggiungere la certezza della salvezza mediante rinunce, digiuni e sacrifici.

È evidente che questo modo di intendere la salvezza lascia piuttosto perplesso l’uomo moderno, per il quale la stessa nozione di peccato non è molto chiara e che tende a non sentirsi colpevole. Ciò non significa che questo modo di intendere la salvezza sia superato o inutilizzabile, ma che esso corrisponde solo in parte alla nostra sensibilità attuale.

La seconda risposta è che noi siamo salvati dalla morte. La salvezza, in questo caso, consiste nella vita eterna. L’essere umano è sempre stato consapevole del proprio carattere fragile ed effimero – c’è chi sostiene che la differenza tra l’animale e l’uomo consista nel fatto che quest’ultimo sa di dover morire, mentre il primo non lo saprebbe. Inoltre, oggi, sappiamo che l’umanità, nel suo insieme, è minacciata dall’esaurimento delle risorse naturali della Terra, dall’aumento dell’inquinamento, dal cambiamento climatico. Le nostre attività cosiddette pacifiche si rivelano altrettanto pericolose delle nostre attività militari, tanto che i timori di una vera e propria catastrofe – di cui la scomparsa di migliaia di specie animali potrebbe essere solo il preludio – sembrano potersi avverare nel giro di poche generazioni.

Di fronte a queste minacce e all’angoscia crescente ad esse connessa, l’affermazione che Gesù ha sconfitto la morte costituisce nel contempo una speranza e un appello alla lotta contro tutte le potenze micidiali e distruttrici. L’evangelo ci dice che noi non siamo destinati a scomparire, ad essere cancellati, ma che abbiamo davanti a noi un futuro che ci è stato promesso.

Infine, la terza risposta insiste sulla luce contenuta nell’evangelo. Esso ci salva offrendoci un senso, liberandoci da un mondo assurdo e incomprensibile.

Questa terza risposta affronta uno dei più grandi problemi della nostra epoca: i valori e le regole tradizionali affondano, uno dopo l’altro – in molti casi, bisogna ammetterlo, ciò non è del tutto un male, perché alcuni erano oppressivi e falsi – e non vengono sostituiti da nuovi valori. Ciò che ne risulta è un senso di vuoto: ci sembra di condurre una vita da pazzi in un mondo divenuto assurdo.

Questa assenza di significato del nostro mondo, della nostra vita sociale, delle nostre esistenze personali, è alla radice della rivolta a cui si abbandonano molti giovani, del malessere in cui sprofondano molti adulti, della voglia che alcuni hanno di distruggere tutto – a cominciare da sé stessi -, della rassegnazione e indifferenza di altri.

Di fronte a questa minaccia costituita dall’assurdo, la fede cristiana ci rende attenti a una presenza – quella di Dio -, in cui crediamo, anche se non la vediamo chiaramente, o costantemente. In Dio, afferma questa terza risposta, è possibile trovare il senso ultimo di tutte le cose e di ogni essere.

Queste sono le tre concezioni della salvezza che troviamo nel Nuovo Testamento e nel pensiero cristiano. Si tratta di concezioni che richiedono due precisazioni.

In primo luogo, mi pare necessario sottolineare la diversità di queste tre risposte. Tale diversità ci mostra, in modo eloquente, come ci siano modi differenti di ricevere, capire e attualizzare il messaggio dell’evangelo. Il significato della salvezza può essere compreso a partire da esperienze tanto diverse tra loro come la colpevolezza, la fragilità o l’assurdità. E questo ci spinge a dire che non è da escludere che la salvezza possa essere capita anche a partire da altre esperienze, da altri punti di vista, da altri vissuti.

Sarebbe perciò un errore voler imporre a tutti i credenti una medesima comprensione, un medesimo cammino spirituale, uno stesso schema teologico. Ad esempio, sarebbe sbagliato imporre a tutti di capire il significato della salvezza a partire dal senso di colpa degli uomini e delle donne del 16. secolo.

L’evangelo si radica nella nostra esistenza in funzione della nostra sensibilità, della nostra situazione specifica e dei problemi che stiamo affrontando. E quindi un certo pluralismo delle interpretazioni e delle espressioni è inevitabile e comprensibile.

In secondo luogo, contro tutto ciò che minaccia il nostro essere, la nostra esistenza e rischia di frantumarci sul piano fisico, morale e spirituale, l’evangelo afferma che il perdono, la vita e il senso non ci saranno tolti, non ci mancheranno. E dona una risposta ai problemi più profondi dell’umanità.

Ma non è una risposta del tutto facile: seguendo la strada dell’evangelo non ci vengono risparmiati né la possibilità di sbagliare né i dubbi. La fede non porta alla sparizione dei problemi, ma dona il coraggio di affrontarli, di non gettare la spugna, di continuare a lottare.

Lungo un cammino a volte aspro e non facile, avanziamo verso quella salvezza che ci è stata promessa, di cui intuiamo i contorni e pregustiamo i frutti, ma che non possediamo pienamente.

Pastore Paolo Tognina