La verità è Gesù

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Giovanni 16,12-14
Sermone del 24 settembre 2023

Molte cose ho ancora da dirvi, ma non sono per ora alla vostra portata, però quando sarà venuto lui, lo Spirito della verità, egli vi guiderà in tutta la verità, perché non parlerà di suo, ma dirà tutto quello che avrà udito e vi annuncerà le cose a venire. Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve l’annuncerà. (Giovanni 16,12-14)

Gesù fu condotto nel pretorio. […] Pilato uscì fuori […] e domandò: “Quale accusa portate contro quest’uomo?”. Essi risposero e gli dissero: “Se costui non fosse un malfattore, non te lo avremmo dato nelle mani”. Pilato quindi disse loro: “Prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra legge”. I Giudei gli dissero: “A noi non è lecito far morire nessuno”. E ciò affinché si adempisse la parola che Gesù aveva detta, indicando di quale morte doveva morire.

Pilato dunque rientrò nel pretorio, chiamò Gesù e gli disse: “Sei tu il Re dei Giudei?” Gesù gli rispose: “Dici questo di tuo, oppure altri te l’hanno detto di me?” Pilato gli rispose: “Sono io forse giudeo? La tua nazione e i capi sacerdoti t’hanno messo nelle mie mani; che hai fatto?”. Gesù rispose: “Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori combatterebbero perché io non fossi dato nelle mani dei Giudei, ma ora il mio regno non è di qui”. Allora Pilato gli disse: “Ma, dunque, tu sei re?”. Gesù rispose: “Tu lo dici, io sono re; sono nato per questo e per questo sono venuto nel mondo, per testimoniare della verità. Chiunque è per la verità ascolta la mia voce”. Pilato gli disse: “Che cos’è verità?”. (Giovanni 18,28-38)

Tutte le religioni affermano di dire la verità. Anzi, è proprio in questa pretesa di dire la verità che risiede la loro ragion d’essere. Anche il cristianesimo afferma di dire la verità e riconosce nella verità il motivo della propria esistenza.

Oggi tuttavia non possiamo parlare alla leggera di verità. Perché abbiamo constatato che la verità può essere violenta. E abbiamo dovuto riconoscere che anche il cristianesimo ha utilizzato, nel corso della storia, una nozione violenta e autoritaria di verità: le chiese hanno condannato quelli che consideravano eretici nelle proprie fila, hanno condannato e combattuto chi aveva un’opinione diversa dalla loro, hanno cercato in molti modi – e a volte ancora cercano – di imporre la propria verità a discapito delle verità di altri. E si sono spinte fino a identificarsi con la verità: “extra ecclesia nulla salus”, al di fuori della chiesa non c’è salvezza… perché è la verità che salva, e se la verità ce l’ho io, non ti puoi salvare senza di me.

Se le cose stanno in questo modo, che cosa dobbiamo fare? Dobbiamo rinunciare all’idea stessa di verità, come da più parti si propone?

Nel corso del processo, il governatore romano Ponzio Pilato ha rivolto a Gesù una domanda sulla verità. Ma l’interrogativo di Pilato, “che cos’è la verità?”, non è una vera domanda. Sembra una domanda, ma non lo è. È invece un modo per eludere la questione: Pilato non vuole sapere che cos’è la verità, vuole che non se ne parli. Di nulla il potere ha tanta paura come della verità. Quando si conosce la verità, i troni vacillano. Pilato non sa che cos’è verità, e più ancora non vuole saperlo.

Pilato afferma che la verità non esiste perché ognuno ha la propria. E dato che la verità non esiste perché ce ne sono in circolazione tante ed è impossibile stabilire qual è la verità vera, allora prevale di fatto il punto di vista del potere.

In altre parole, Pilato dice: “Nel dubbio, comando io, decido io”. Chiusa la faccenda. La rinuncia a una nozione forte di verità, anche quando intende promuovere un dialogo aperto, si rivela nel migliore dei casi una resa all’uso della forza.

La sfida per la chiesa cristiana consiste oggi in un ripensamento della nozione di verità. Si tratta di evitare di ripetere gli errori del passato – dunque di usare in modo autoritario la verità – e si tratta nel contempo anche di non accettare la soluzione di Pilato, il quale propone di rinunciare alla nozione stessa di verità.

Il punto di partenza di questo ripensamento consiste nel riconoscere che la verità non risiede nel cristianesimo, ma fuori di esso. La verità sta nella persona di Gesù di Nazaret, il quale non è stato un violento, ma un violentato.

La tragedia del cristianesimo è simboleggiata dalla vicenda di quello che è divenuto assai presto il suo simbolo ecumenico, la croce. La croce è uno strumento di tortura, che serve per uccidere Gesù – non per niente l’apostolo Paolo può caratterizzare l’evangelo stesso come “parola della croce” – ma la stessa croce diventa, nel giro di pochi decenni, un simbolo usato sugli stendardi imperiali, sulle bandiere degli eserciti romani. Lo strumento di tortura del grande sconfitto è diventato un simbolo di vittoria, ma non della vittoria pasquale di Dio, bensì di quella militare dell’imperatore Costantino – il quale in sogno sente una voce che dice: “Sub hoc signo vinces”, in questo segno, abbracciando questo segno, vincerai.

Occorre che il cristianesimo oggi impari a riformulare – con l’aiuto dello “spirito di verità” di cui parla il Vangelo di Giovanni – la nozione di verità a partire dalla persona di Gesù, riscoprendo – o forse scoprendo per la prima volta – una nozione non aggressiva, ma accogliente di verità, la verità della grazia, la verità del servizio, la vera umanità apparsa in Gesù.

Allora potremo imparare a riconoscere l’uomo o la donna che potremmo essere, che potremmo diventare, l’essere umano che ama Dio con tutto il cuore e il prossimo come se stesso, l’uomo e la donna che fa del bene, perdona e benedice chi gli sta accanto.

È vero che quasi nessuno, nella tradizione cristiana, ha mai detto che la croce non sia centrale. Resta tuttavia il fatto che spesso non è stata riconosciuta la differenza tra la croce di Gesù e quella dell’imperatore Costantino, e perciò non si sono prodotti i frutti che sarebbero dovuti maturare da quella consapevolezza.

E questo mi pare un motivo sufficiente per credere che l’evangelo, lungi dall’avere esaurito la sua forza, attenda piuttosto sempre ancora di essere compreso, annunciato e vissuto in modo autentico.

Pastore Paolo Tognina