La botanica sociale e l’orto inclusivo: al Festival delle erbe riflessioni sul legame tra natura e società

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Questo è il primo dei due contributi che pubblicheremo sul Festival delle erbe spontanee di Poschiavo, che si è tenuto lo scorso fine settimana. In una conferenza, Mauro Ferrari e Pierluigi Zanchi hanno esplorato le connessioni tra botanica e dinamiche sociali, proponendo un nuovo modo di intendere inclusione e sostenibilità attraverso l’analogia delle erbacce e un innovativo progetto di coltivazione urbana.

Venerdì 24 maggio si è aperto al Crott di Poschiavo il festival delle erbe spontanee con una conferenza sul mondo dell’inclusione tenuta da Mauro Ferrari, sociologo della SUPSI, e Pierluigi Zanchi, docente e iniziatore del progetto “Orto inclusivo”.

Noi siamo erbacce. Cos’è la botanica sociale.

Mauro Ferrari ha presentato il suo nuovo libro con questo titolo. Che cosa avvicina la botanica alle dinamiche sociali, come possono essere paragonate e perché parlare di ‘erbacce’? Mauro Ferrari lo spiega partendo dal fenomeno delle sagre. Negli ultimi tempi si nota un aumento di questi fenomeni di aggregazione sociale: in tempi in cui prevale l’individualismo, la performance e la produttività, le sagre esprimono l’esigenza fondamentale di una forma di aggregazione sociale senza competizione, piuttosto con attenzione e valorizzazione delle differenze. Le ‘erbacce’ possono, alla stregua delle dinamiche sociali, essere viste come esigenze collettive che nascono spontaneamente dove il contesto lo permette. Entrambi, nell’ottica prevalente moderna, paiono fenomeni che non hanno a che vedere con l’utilità e sembrano anzi marginali. Entrambi sono aggregazioni impreviste che semplicemente accadono, ma, come sottolinea Mauro Ferrari, la vita è ciò che risulta da una serie di accadimenti non previsti e ineluttabili. ‘Erbacce’, inoltre, è un termine che ha una connotazione negativa: attraverso questo nome si può giustificarne la disinfestazione. Questa pratica accade anche a livello sociale: spesso si dà un nome a ciò che non si conosce per far credere che porti con sé una qualità negativa. Non a caso Zygmunt Bauman ha utilizzato, nei confronti dell’Olocausto, l’espressione ‘diserbo sociale’ e, nei confronti di chi l’ha operato, ‘zelanti giardinieri’.

L’orto inclusivo

L’iniziativa di Pierluigi Zanchi, raccontata attraverso il suo libro, è stata quella di coltivare un piccolo appezzamento definito tecnicamente ‘incoltivabile’, posto a Locarno, tra un parcheggio di auto e un muretto di cemento. Insieme ad altri volontari, ha prima di tutto ricoperto il terreno con scarti vegetali e più tardi ha iniziato a coltivarlo. La terra, soprattutto se assecondata, ha dalla sua parte miliardi di microrganismi che la lavorano e le permettono di rigenerarsi e di essere coltivabile. Questo processo di rigenerazione progredisce naturalmente e, a questo proposito, bisogna ricordare che il rispetto per la biodiversità non deve essere soltanto nei confronti della varietà delle piante che sappiamo esserci utili ma anche di tutti gli organismi e delle condizioni che rendono possibile tutto ciò. Pier Zanchi ha dimostrato, inoltre, che una coltivazione di questo tipo non ha bisogno di fattori di correzione: dopo tre anni, l’analisi della terra di questo appezzamento è risultata perfettamente equilibrata, senza che sia necessaria alcuna integrazione di minerali.

Entrambi i relatori hanno anche discusso l’importanza, per l’uomo, di rapportarsi direttamente con il proprio ambiente naturale. Questo sia per conoscere meglio gli elementi di cui ci si nutre, comprenderli, evitare lo spreco di parti di essi che vengono spesso scartate per la grande distribuzione, ma che sarebbero invece da utilizzare; sia per non perdere le capacità di vivere il proprio ambiente: gli studi dicono che anche le capacità motorie vengono perse se non se ne usufruisce. Lo stile di vita sano, però, non significa solamente tenersi in forma, ma avere un rapporto sostenibile con l’ambiente: l’approccio di sfruttamento feroce della terra ci pone di fronte a una realtà dalle risorse in esaurimento. Un’ottica sostenibile è invece di consapevolezza e di rispetto nei confronti della natura con cui possiamo cooperare.