«Dieci anni? Sì, ci son voluti dieci anni. Siamo a buon punto, ma i lavori non sono tutti terminati», così Dario Foppoli ed Evaristo Zanolari hanno voluto fare il punto del tempo intercorso tra il primo passo e l’incontro con il pubblico venerdì 14 giugno presso il Santuario di Tirano.
Per l’occasione il focus dell’incontro è stato il restauro della pala di san Romerio, attualmente ospite nell’altare destro della Basilica di Tirano, che durante l’estate verrà trasferita nella chiesa di Brusio, in attesa di tornare definitivamente nella chiesetta a strapiombo sul lago di Poschiavo.
La tela, raffigurante la “Madonna col Bambino con i santi Romerio e Perpetua”, venne realizzata nel 1817 da Domenico Faletti, camuno, la cui firma è visibile nel cartiglio posto in basso a sinistra.
San Romerio? No, no. Il santo è vestito da vescovo e dunque si tratta senza alcun dubbio di san Remigio. Perché questo scambio di attribuzione? Se ne parlerà, forse, un’altra volta. In ogni caso sul Bernina, a cura di Ivan Falcinella, sono stati riportati i termini della “misteriosa san Romerio”: conferenza tenuta a Brusio dallo storico Alberto Gobetti. Conferenza che verrà ripresa a il 27 giugno a Tirano dallo stesso Gobetti, che lo ha annunciato a margine del suo intervento su alcuni dati storici reperiti relativi all’ancona seicentesca che racchiude oggi il dipinto di Faletti.
Di significativo valore storico e culturale, ma, diciamolo meno dal punto di vista artistico, il dipinto è stata oggetto di di restauro a Chiavenna da Ornella Sterlocchi, con la collaborazione di Savina Gianoli di Tirano e di Domenico Cretti per il telaio ligneo.
Le due restauratrici hanno voluto illustrare in dettaglio il complesso processo di recupero, articolato in diverse fasi e che hanno visto il ripristino della perduta elasticità e planarità della tela, il riadagiamento e la stabilizzazione dei sollevamenti dello strato pittorico ed infine sono state riportate alla luce le tonalità brillanti del cromatismo originale.
Diverse le sorprese emerse. Intanto un foro causato dall’impatto con qualche oggetto non meglio definito, mentre sono state trovate tracce certe di roditori, forse per sopperire alla dieta imposta dai rigidi inverni. Infine il telaio smontato per una precedente operazione di restauro era stato poi mal rimontato. Nei lavori in laboratorio si è provveduto appunto a rimontare correttamente il telaio aggiungendo ulteriori elementi lignei di rinforzo. Per le due facce del dipinto sono state usate tutte le tecniche e i materiali necessari attualmente disponibili. Ha stuzzicato l’uditorio di non esperti, semplificando all’estremo, l’uso, mutuato dall’arte culinaria, dell’addensante agar agar e della tecnica del sottovuoto.
Dalle analisi chimiche sui colori è emerso che è “Blu di Prussia” quello usato diffusamente nelle vesti femminili. Il pigmento fu scoperto nel 1706 da due chimici tedeschi. Questa analisi ha fatto cadere l’ipotesi prospettata da qualcuno di un intervento Seicentesco ad opera di un artista ignoto.
Un ultima curiosità: il dipinto, ben preparato, è uscito da san Romerio ed è stato portato a valle volutamente a mano.
I lavori sono iniziati nell’ottobre 2022 e terminati nel giugno 2023. Bisogna ricordare che l’incarico fu conferito dall’Associazione San Romerio di Tirano che da anni, in convenzione con il Comune di Tirano, si prodiga per la custodia dello edificio sacro e dell’adiacente casa/rifugio. Associazione che come ha ricordato in apertura il tiranese Ugo Mazza è stata voluta venti anni fa, tra gli altri, da padre Camillo De Piaz. Collabora attivamente ai progetti di restauro la Fondazione San Romerio, nata un anno fa, che si prodiga molto nel reperire risorse pubbliche e private: attività ben rappresentate nella loro interezza dalla signora Anna Radaelli e dal signor Gottfried Parrer per conto della Fondazione.
Ma torniamo, in sintesi, alla relazione iniziale dell’ingegner Foppoli e dell’architetto Zanolari.
Il primo restauro è avvenuto negli anni Cinquanta; l’uso del cemento tuttavia, ha creato discontinuità con le antiche tecniche costruttive e arretrato la facciata rispetto alla sua posizione originaria.
Solo nel 2013 è stato possibile riprendere in mano la situazione a partire da un’accurata fase di studio, realizzata in collaborazione con il Politecnico di Milano ed il Servizio Monumenti del Canton Grigioni, per procedere poi con l’uso di tecniche innovative solitamente poco accessibili per i costi. In questa fase è stato tra l’altro evidenziato il gravissimo stato di degrado del contrafforte su cui è stato necessario intervenire immediatamente. La fase successiva dell’intervento è stata sviluppata a partire dal 2020. Questa ha previsto di operare con interventi conservativi attraverso materiali tradizionali nel rispetto dell’aspetto e della consistenza materica originari della chiesa. Sono perciò stati restaurati le superfici esterne, la copertura, il campanile, il castello campanario e la campana. All’interno sono stati effettuati scavi archeologici nella zona absidale. È necessario ora intraprendere il delicato intervento di restauro e conservazione delle superfici interne alla chiesa, degli affreschi, dell’ossario e dell’ipogeo. Le tempistiche dipendono dai fondi che si riusciranno a raccogliere per questi obiettivi.
Come si vede dalle fotografie sul tema “Cosa ci resta da fare”, è stata battezzata per la prima volta come Cappella di sant’Antonio uno dei locali da restaurare. Ben inteso, come ha precisato Foppoli, il santo Antonio non è quello noto come da Padova, bensì quello altrettanto noto come del “purscel”, ovvero l’abate.
Un consiglio per chi può: dopo essere stati nel Santuario di Padova, illuminante e spiazzante sarà giungere nell’Oasi e nel Monastero del santo abate nel deserto egiziano.