Massimo Lardi è un avvincente narratore. Si legge d’un fiato la sua prosa fluida e sostanziosa dietro cui si scorgono formazione rigorosa, ricerca metodica, avvincente capacità narrativa. E soprattutto il desiderio di far emergere tutto il possibile della storia e dei personaggi della sua terra, Poschiavo, che nei secoli, pur nel confronto talvolta acceso tra le confessioni, è stata a tratti modello di democrazia, di apertura e libertà per l’Europa. Un vero e proprio crocevia tra nord e sud, con da una parte la volontà e la capacità di confrontarsi e di dialogare mantenendo, dall’altra, la fiducia nelle proprie istituzioni.
L’intrecciarsi di questo binomio variamente percorre l’intera opera di Massimo Lardi (Poschiavo 1936) – dai testi per le scuole ai saggi e alle interviste, dai racconti ai romanzi storici fino all’opera drammaturgica – come emerso con assoluta chiarezza nel romanzo storico Il Barone De Bassus, forse l’opera sua più nota. Anche perché il protagonista, il Barone, ha interpretato e quasi personalizzato questa vocazione di Poschiavo che, grazie a lui, ha visto svilupparsi in pieno Settecento anche una splendida attività editoriale coraggiosa e libera. E sappiamo quanto la libertà di stampa, al tempo rara ed ancor oggi preziosa, costituisca uno dei caratteri distintivi della democrazia.
Se in quel caso Massimo Lardi aveva romanzato su una solidissima base storica, quindi a suon di documenti, il ritratto non solo di un personaggio ma di un’epoca, lo aveva potuto fare in base ad una conoscenza capillare delle vicende poschiavine. Certo di quelle interne, ma anche nei rapporti con terre più o meno vicine (la Valtellina a sud e la Baviera a nord) e delineando le atmosfere di quell’epoca sia sul fronte politico che sociale e culturale.
Il personaggio – La sua attenzione di ricercatore e storiografo si precisa ulteriormente nel recente volume intitolato Don Francesco Rodolfo Mengotti, teologo e poeta (1709-1790), biografia e antologia, stampato dalla tipografia Menghini di Poschiavo.
Intanto l’autore colma una lacuna, vista la caratura del personaggio, che fu storico, poeta, filosofo, promotore ante litteram del pensiero ecumenico in una situazione di confronto anche acceso tra cattolici e protestanti, oltre che per un certo periodo prevosto e a lungo punto di riferimento spirituale. E finalmente raccoglie l’invito di diversi successori di don Mengotti e di letterati come Arnoldo M. Zendralli (sarebbe un grande arricchimento «dell’esile patrimonio letterario del Grigioni Italiano»), procedendo a decifrare, ordinare, trascrivere e in alcuni casi tradurre i testi manoscritti, che più o meno vent’anni fa gli furono affidati dal prevosto Don Leone Lanfranchi. In base a questa vasta documentazione,
Lardi ha prodotto una circostanziata biografia di don Mengotti e riunito nel volume un’antologia della sua opera: poesie in italiano, poesie in latino (oltre 2000 versi) e una scelta degli scritti di teologia.
La storia – Nella parte biografica presenta nei dettagli e con la sua narrazione fa amare don Francesco Rodolfo Mengotti, nato nel 1709 nello storico palazzo Mengotti («al secondo piano, nella camera vicina alla stüa… ») da una famiglia importante nella quale si era destinati ad essere podestà e governatori, militari e religiosi. Non a caso per sessant’anni alla testa della prepositurale di Poschiavo si susseguirono tre prevosti della famiglia Mengotti, don Rodolfo è il terzo. Interessante come Massimo Lardi riesca a delineare la figura di don Rodolfo, mantenendolo sì nell’alveo della famiglia ma al tempo stesso evidenziandone la personalità e i tratti distintivi.
Gradualmente, dalla formazione al Collegio Elvetico di Milano, lo si conosce, lo si segue passo passo nel suo rapporto con l’ambito religioso, civile e culturale. Le prime poesie, l’ordinazione sacerdotale, la cura delle anime, gli studi in teologia, della Bibbia, dei Padri della Chiesa, i primi manoscritti, la funzione di canonico e poi di prevosto e vicario foraneo, il pellegrinaggio a Roma per l’anno santo, gli alti e bassi della salute, la residenza nel palazzo Mengotti, che a quei tempi aveva il più bel giardino della valle, lo studio, le composizioni e le poesie, la graduale scomparsa dei membri della famiglia, la solitudine. E il desiderio di veder pubblicati i suoi scritti: «non ho lettori: cosa giova essere eloquente
grazie alla Musa; la mia Musa è forse abbandonata dai lettori?».
La scrittura – Allora alcuni versi li scrive sui muri, sulle suppellettili e alcuni (splendidi) sonetti enigmistici persino sulle pareti della saletta del gazebo. Straordinario questo annotare, anzi incidere i propri versi all’interno dei propri luoghi e della propria storia facendoli diventare come dei personaggi. Par di cogliere qualcosa di donchisciottesco, come d’un cavaliere errante nel chiuso del proprio spazio, alla fine quasi da recluso. Nemmeno il Barone De Bassus, nipote di don Rodolfo, ne pubblica gli scritti nella sua tipografia di Poschiavo, passata alla storia dell’editoria per essere stata la prima a stampare in italiano, nel 1782, il Werther di Goethe. E mentre qui Massimo Lardi intreccia rapidamente le due figure e, così facendo, si inserisce all’interno della propria storia di ricercatore e scrittore, emerge con forza il contrasto tra il nipote diventato barone di terre tra loro lontane, all’interno di storie anche sconvolgenti, e lo zio che cavalca con la scrittura i territori dell’erudizione, della poesia, della spiritualità. Ed entrambi concorrono, in modo molto diverso e quasi opposto, a scrivere ed a conservare la storia delle medesime terre. Entrambi personaggi di notevole caratura storica che, proprio nelle differenze, meglio evidenziano le rispettive caratteristiche.
L’affresco storico – Tanto più che Massimo Lardi, mentre racconta ed intreccia storie, le sa situare all’interno del clima, della socialità, della religiosità e della cultura di un periodo distintivo per Poschiavo e quasi unico non solo per la Svizzera che si sta completando ma anche per l’Europa di quel tempo. Presto arriverà Napoleone con la sua rivoluzione, che porterà a cambiamenti epocali e radicali anche qui, per cui Poschiavo non sarà più quella di Don Rodolfo e del Barone. Proprio per questo diventa ancor più importante l’ampio affresco storico che, partendo da una figura significativa da più angolazioni, ma praticamente dimenticata come quella del prevosto poeta, Massimo Lardi riesce a proporci in questo libro. Per cui alla fine non abbiamo solo il ritratto di un personaggio ma di un territorio e di un’epoca. Questa è la prerogativa dei grandi scrittori.
Dalmazio Ambrosioni, per gentile concessione de “L’osservatore“