Sentirsi per un momento fossile nel sottosuolo

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Impressioni dalla funicolare sotterranea di Palü-Cavaglia
Narrazione, immagini, video e riflessioni di un’escursione che è culminata con la discesa nella mitica Stollenbahn, la galleria sotterranea che rende comunicanti la Centrale idroelettrica di Palü e quella di Cavaglia.

Tutto iniziò da una chiacchierata con Werner Steinmann, responsabile dell’Ufficio Stampa di Repower, nella giornata delle porte aperte della Centrale idroelettrica di Cavaglia (sabato 2 giugno 2013). Egli aveva l’incarico di accompagnare alla visita i giornalisti dei media locali e sulla stradina nella piana soleggiata , spazzata dal vigoroso vento delle alte quote, ci parlò (con me c’era anche Antonio Platz de “Il Grigione Italiano”) della Stollenbahn, la galleria sotterranea che collega la Centrale di Palü con quella più a valle di Cavaglia. Ci disse che c’era la possibilità di provare quell’esperienza inusuale nei mesi estivi. Sinceramente, dopo quella giornata, non ci pensai più a quella proposta, finché il signor Steinmann non contattò la redazione de IL BERNINA per chiedermi se ero disponibile alla gita. Un invito che accettai. Il giorno era fissato, venerdì 19 luglio, bastava presentarsi.

Vista dall’alto: Lago Palue e Centrale idroelettrica

 

Il gentile Steinmann aveva formato un gruppo di sei persone interessate a visitare la Centrale di Palü e a partecipare alla discesa con la funicolare. Da principio salimmo con il treno fino all’Ospizio Bernina, poi ci incamminammo a piedi verso sud passeggiando per le stradine sterrate e le carrarecce. Giunti alla panoramica di Alp Grüm, imboccammo il ripido sentiero fra i larici. Incantevole giro con il turchese specchio del lago Palü che si mostrava a tratti fra le fronde attonito all’ammirazione dei nostri occhi d’escursionisti.

Centrale idroelettrica di Palue

 

Infine arrivammo al cospetto dell’imponente Centrale di Palü. Sembrava starsene seduta, fiera e orgogliosa nel suo aspetto roccioso, in mezzo a un verde bosco selvaggio. Fu una visita interessante; tramite la guida di un tecnico di Repower, vedemmo la sala di controllo, il possente generatore e l’enorme turbina Pelton.

Turbina Pelton alla Centrale di Palue

 

All’imbocco di una scala, una finestra lasciava passare un po’ di luce, gli ultimi raggi che avremmo poi visto solo a Cavaglia. Scalino dopo scalino, entrammo nelle viscere della terra. Quasi fosse il vulcano islandese del Viaggio al centro della terra, e anche con la stessa curiosità della comitiva del dottor Lidenbrock, scendemmo per un pozzo profondo 30 metri, seguendo il gorgo di scale chiuso fra pareti cementate. Arrivammo nella sala dove stava un’altra turbina, la celeberrima turbina Francis, molto più piccola rispetto alla Pelton che avevamo ammirato trenta metri più in alto. Da lassù, attraverso un salto verticale, l’acqua si getta sulle pale della Francis contribuendo al movimento del massiccio perno collegato con la turbina Pelton e con il rotore all’interno del generatore.

La turbina Francis della Centrale di Palue

 

Varcata l’ennesima soglia, finimmo in un altro ampio spazio dove erano disposti due gruppi motore atti a mettere in funzione un impianto di pompaggio idrico. Da qui l’acqua del vicino Lago Palü viene spinta fino al Lago Bianco. Un sistema simile ma ridimensionato rispetto al tanto famigerato Progetto Lagobianco.


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Finalmente toccava alla funicolare. Salimmo a bordo della piccola carrozza con il casco protettivo sul capo. Ci sedemmo. Mi accorsi però che la mia sedia non era molto stabile, comunque in quel momento decisi di non dire nulla a nessuno. Un addetto di Repower ci faceva da Caronte. Partimmo. Il mezzo iniziò a spostarsi sulle rotaie. La luce del tunnel era soffusa e tenue; scendemmo per il cunicolo, dimora dell’ombra; di fianco a noi la condotta dell’acqua che va ad alimentare la turbina Pelton della Centrale di Cavaglia. Fu un’esperienza, non di certo unica, ma particolare, e più che viaggio delle meraviglie, un percorso di riflessioni. Bastò solo una corsa per assaporare la parte primitiva dell’essere e, seppur minima, la sensazione di sentirsi per un momento fossile o pietra franante nel sottosuolo. E pensando a tutti quelli che sotto terra ci lavorano o che ci lavorarono, mi chiesi quanto possa cambiare una persona vivendo parte della propria vita in quei tunnel? E lì sotto come potrebbe mutare la psicologia di un uomo? E quale nuova prospettiva umana potrebbe crearsi rispetto alla normalità del mondo abbagliato dal sole? E se veramente, lì sotto, ci si possa sentire totalmente emarginati dalla natura che vive sopra?

All’interno della galleria sotterranea Palue-Cavaglia

 

“Nell’immaginario culturale i luoghi sotterranei ci svelano mondi inesplorati con regole che esulano dalla normale realtà. Sotto terra la fantasia degli uomini visionari ci mette spaventose popolazioni di mutanti, animali mostruosi, ambienti inverosimili, persone imprigionate o sepolte vive. Luogo quindi dell’incubo e del sogno. Luogo insomma onirico come il cielo dove sogniamo di volare, toccare le stelle o camminare sulla luna. I mondi sotterranei richiamano però aspetti più desolanti e terrificanti rispetto alle altezze dell’etere. Forse anche perché dobbiamo considerare il concetto di smarrimento della coscienza. Mentre nel mondo in cui viviamo, la coscienza è quasi sempre vigile perché sa dove orientarsi, nel sottosuolo viene a sopirsi o a perdere il proprio potere di controllo (considerazione che ai nostri giorni vale relativamente poco se pensiamo agli spazi delle metropolitane). Effettivamente i luoghi sotterranei sono rappresentati come spazi dove viene a mancare la facoltà di orientarsi (si pensi alle labirintiche caverne di certe storie antiche), dove c’è una perdita di cognizione spaziale e temporale vista l’oscurità senza riferimenti celesti, dove la voce difficilmente riesce a indicare la presenza o la posizione esatta. E viaggiare su questo trenino è un po’ come essere anestetizzati dal mondo della vita che si genera sopra di noi”.

 

Scendemmo per alcuni minuti lungo questa tratta e il sedile che sembrava difettato, era invece fatto apposta, semi mobile, e si rivelò consono nel momento in cui incontravamo i cambi di pendenza. Infatti, nei tratti più ripidi, con un semplice sforzo, arretrando il baricentro del corpo, la sedia si inclinava permettendo di stare in una posizione verticale del busto e non pericolosamente a testa in giù puntata verso il vuoto.

Si stava comodi anche se la frescura della galleria sotterranea si faceva sentire. Sembrava proprio la facile discesa all’Averno di memoria virgiliana o – perché no -, seppur automatizzata, la discesa di Dante nei cerchi del cupo inferno (anche qui l’esplorazione di un mondo onirico).

Il nostro traghetto su rotaie arrivò a fine corsa. Compiuto il breve nostro viaggio, alzammo i piedi dalla navicella e uscimmo a rimirar la stella che più s’appressa al giocondo pascolo di Cavaglia.