Intervista a Dino Beti
Da due mesi è uscito il libro al Dino e la Bepina, biografia che segue le tracce della stirpe Isepponi, scritta dalla fervida penna di Dino Beti che ho intervistato a Poschiavo nel mese di agosto.
Non è assolutamente scontato il luogo del nostro colloquio considerando i percorsi della vita del Beti di Panìsc. Infatti egli, oggi, si divide tra Poschiavo e Friburgo, città di sua moglie, e in passato è stato giramondo per lavoro in particolare in Africa e negli Stati Uniti, arrivando anche a ricoprire la carica di referente per le questioni di sviluppo alla Missione della Svizzera presso l’ONU a New York. La sua è una vita consumata e assaporata in città lontane, ma con un debole nel cuore, il richiamo della sua Valle, la Val Poschiavo, luogo originario della sua famiglia e luogo della sua infanzia.
Voce critica coraggiosa e fuori dagli schemi, forse per questo motivo un po’ temuto in Valle, Dino Beti ci ha rilasciato un’intervista sincera che non manca di qualche affondo provocatorio.
Chi sono i protagonisti di questo libro e quali vicende si narrano?
Come dice il titolo, il mio libro è innanzitutto la biografia dei miei nonni Dino e Bepina. Loro sono dunque i principali protagonisti. Altrettanto essenziale è però il terzo protagonista, il mio bisnonno Francesco Antonio Isepponi. È lui che si fece comproprietario del palazzo Mengotti, acquistandone in tutto un terzo dai suoi suoceri Mengotti, allora indebitati fino al collo. È pure lui che, precursore di Dino e Bepina, cominciò a gestire il vecchio ostello Fontana a La Rösa dal 1868 al 1880 per conto dei proprietari Dorizzi. Il libro narra quindi le vicende di questi tre protagonisti, la vita e l’operato di Dino e Bepina a La Rösa: per decenni albergatori al vecchio Fontana, poi imprenditori e costruttori del nuovo Hotel Posta a La Rösa. In seguito creatori del Ristorante Motrice ed osti al B&B Isepponi sulla via da Spultri al ponte di San Giovanni.



Il mio libro, però, narra anche la storia della stirpe Isepponi fin dal 1700. È indispensabile aggiungere ai tre protagonisti il quarto, ossia Francesco Isepponi, nonno di Dino. Francesco Isepponi, personaggio sconcertante, si trovò essere l’unico antenato comune di tutti i discendenti della stirpe Isepponi dal 1817 in poi. Un altro protagonista assai speciale fu inoltre Don Carlo Giuseppe Maria Luigi Isepponi, creatore del Beneficio Isepponi, fatto Canonico, poi anche Confessore delle monache del Convento a Poschiavo.
Com’è nata l’idea di scrivere quest’opera?
È partorita dalla voglia di conoscere, in retrospettiva, i miei più prossimi antenati, i miei nonni Dino e Bepina, che non ho avuto la chance di conoscere personalmente, e nessuno me ne aveva raccontato granché.
Un giorno sorse con Fausto Isepponi, figlio di mio cugino, e sua moglie Ornella l’intenzione di commemorare i cento anni di attività del Motrice e festeggiare la creazione del loro ristorante. Ma in quale anno fissare i festeggiamenti del centesimo anniversario? Non si sapeva. Nessuna data esatta di apertura del ristorante era conosciuta. Si pensava al 1910, in quanto si riteneva che la sua apertura fosse stata collegata con l’inaugurazione del Bernina. Ciò diede adito alla ricerca di questa fatidica data che scoprì leggendo un comunicato de “Il Grigione Italiano”, del gennaio 1912. Cammin facendo, nelle ricerche di documenti grafici, d’immagini e specialmente fotografie, nacque l’idea e si rafforzò l’intenzione di scrivere la biografia dei miei nonni Dino e Bepina.
Dalla lettura del libro mi è sembrato che il lavoro di ricerca sia stato notevole. Cosa ci dice a riguardo?
Ho impiegato due-tre anni di ricerca per esaminare gli scaffali e gli scatoloni degli archivi comunali e ecclesiastici e poi ho anche incontrato parenti e altre persone che potevano possedere nelle loro case materiale molto interessante per i miei scopi. In questa fase è stato molto importante per me il fatto che le persone incontrate abbiano dimostrato un certo interesse nel lavoro che svolgevo, e quindi si sono rivelati ottimi collaboratori consegnandomi la documentazione che intenzionalmente o casualmente trovavano. Un pensiero speciale, in questo senso, va a Antonio Giuliani, allora archivista comunale, e alla responsabile d’archivio della Società Storica Val Poschiavo, Francesca Nussio, ma non posso dimenticare tutti quelli che mi hanno aiutato in questa impresa ponendo davanti ai miei occhi del materiale sorprendente.

Dall’esperienza dei suoi anni ha rivolto lo sguardo nel passato remoto raggruppando diverse storie e portando a termine un libro voluminoso e ambizioso nella documentazione storica e nell’esposizione delle vicende. Oltre alla passione e alla volontà di ricordare i suoi antenati, ci sono altre motivazioni che hanno scatenato la necessità di compiere questa pubblicazione?
Varie motivazioni hanno stuzzicato la mia voglia di compiere questo libro. Mi limito a rilevare quella più provocatoria: nelle più di cento pagine della monografia sul palazzo Mengotti del giugno 2000 (Il palazzo de bassus-mengotti), il nome Isepponi non appare nemmeno una volta, neanche una sola. La constatazione è incontestabile: nei recenti documenti rispetto ai fatti ed edifici collegati al palazzo Mengotti si occulta – intenzionalmente, come io sospetto, o per deplorevole negligenza – l’importante e decisivo contributo della famiglia Isepponi, comproprietaria del palazzo Mengotti per ben 100 anni, contributo anche edile alla sopravvivenza e all’esistenza dello stesso Palazzo. Nel menzionato documento si arriva dunque a tacere la vera presenza e a negare il ruolo determinante svolto fin dal 1876 dalla famiglia comproprietaria dei miei bisnonni e nonni Isepponi, nell’ambito del Palazzo Mengotti, pur esaltando ad nauseam il dubbio ruolo di quell’altro personaggio del paese e sopravvalutando vergognosamente l’effimero contributo della di lui famiglia al palazzo Mengotti. Un’evidente falsificazione storica, uno scandalo!

In questo libro c’è un legame di sangue tra lei e i protagonisti delle storie realmente accadute. Quale impressione Le ha provocato raccontare la vita di chi l’ha preceduta al mondo? Ci sono state delle difficoltà in tal senso?
Non proprio difficoltà, ma esigenze, quali piegarsi totalmente all’imperativo della veridicità, attenersi ai fatti come letti nei documenti e senza abbellire nulla, non cercare di rendere i protagonisti più simpatici, o anche meno dubbi di come appaiano dai documenti. A tal proposito, ho specialmente avuto dei momenti di esitazione scoprendo che il mio trisnonno Francesco Isepponi era rimasto 35 anni e fino alla sua morte sotto tutela; o che la mia bisnonna Costanza Mengotti aveva passato (pure lei) gli ultimi cinque anni di vita sotto tutela e aveva trascorso i suoi ultimi giorni al “Waldhaus”, clinica psichiatrica assai famigerata nella percezione popolare; oppure che il mio nonno Dino si comportava non di rado da azzeccagarbugli.

Pur avendo scritto vicenda per vicenda adottando una scrupolosa metodologia da storico, risalta in alcuni tratti uno spirito partecipativo, come se lei avesse direttamente visto quelle situazioni. Quanto del suo sentimento affettivo è stato trasposto in questo lavoro?
Ho conosciuto si può dire intimamente quasi tutti i luoghi dove si sono svolte le situazioni evocate nel mio libro. Ho conosciuto questi luoghi quando erano ancora nello stato come li avevano lasciati i miei nonni: il palazzo Mengotti, il Motrice, l’hotel Posta a La Rösa, e via dicendo. Da ragazzo ho vissuto sovente in condizioni locali e materiali perfettamente simili a quelle dei miei nonni e della loro famiglia. Queste esperienze mi hanno reso assai facile l’immedesimarmi nelle situazioni vissute dai vari protagonisti del mio libro. E mi permetto un altro accenno: parenti e amici, che vedono il ritratto di mio nonno Dino quand’era alla mia età, trovano che ci sia un’evidente somiglianza fisionomica con me. Attraverso i documenti letti ed analizzati, mi sono poi accorto della profonda somiglianza di indole e di carattere con il mio nonno, fino nei suoi tratti meno piacevoli.

La storia di Bernardino Isepponi e di Giuseppina Zanetti è al centro del libro, ma ci sono all’interno del volume le vicende di altri antenati, alberi genealogici delle famiglie coinvolte, descrizione di avvenimenti privati o di accadimenti pubblici che hanno fatto la storia della Val Poschiavo. al Dino e la Bepina è quindi diventato un libro ricchissimo di approfondimenti, tuttavia ordinati in una struttura a sezioni. Come mai questa decisione?
Quando ho iniziato a stendere il racconto della vera biografia, mi sono trovato davanti a una trentina di racconti, più o meno brevi, racconti pure della mia penna, raccolti nel corso delle ricerche di tre anni. Ho dovuto decidere se evocarli soltanto e alluderci semplicemente nello svolgimento della narrazione, oppure integrarli tali e quali nella biografia della stirpe Isepponi e della famiglia dei miei nonni. Ho optato per la seconda soluzione, con la conseguenza di aver dovuto strutturare chiaramente l’opera per renderla maneggevole e facilmente leggibile per chiunque. Un’altra conseguenza consiste ovviamente nel fatto che a lavoro compiuto il libro è risultato, come si suol dire, un “bel mattone”.

Il sottotitolo Biografia intessuta in duecento anni di storia delle loro famiglie e della Val Poschiavo mi fa pensare a un paragone azzardato, ossia che la stesura di questo libro sia simile alla lavorazione degli antichi arazzi. Forse lo è: la trama è rappresentata dalle vicende personali e familiari, l’ordito invece dalla Storia ricavata dalla cronaca de “Il Grigione Italiano”, dai comunicati degli organi comunali, dai documenti legali privati e pubblici. Inoltre in molti arazzi, come nel suo libro, vi sono rappresentati storie di personaggi e famiglie. Cosa ne pensa di questa similitudine?
Il paragone con un arazzo è interessante. Anche nel mio libro le azioni si svolgono su vari livelli. Sullo sfondo c’è la realtà della vita nel fondovalle e lungo il Bernina. Poi ci sono le vicende che si svolgono indipendentemente dalla vita dei protagonisti, come nella vicenda del Belvedere, in quelle dei Benefici e Legati ecclesiastici, o ancora in quella delle relazioni tra il podere di Somoti ed il Palazzo Mengotti. La trama centrale però è costituita dalla vera biografia dei protagonisti, con momenti ed aspetti più specifici come: l’elenco delle nascite e battesimi a La Rösa; l’evocazione dei casi di emigrazione nelle due famiglie di Dino e di Bepina; il ritratto di Maria Caterina Zanetti, moglie del capostipite tutelato Francesco Isepponi nonché “salvaguardia del patrimonio degli Isepponi”; la carriera del fratello del mio nonno, Erminio Isepponi, dottor veterinario, dottore honoris causa dell’Università di Zurigo, e, un caso raro, veterinario cantonale per 45 anni.
E dicendo questo mi rimane un po’ d’amarezza in bocca pensando al mio prozio Erminio che ha rivestito una carica cantonale tanto importante quanto, per inverso – un altro strano caso -, è stato quasi trascurato dalla memoria collettiva locale delle generazioni che sono seguite.