Ad Auschwitz ho imparato il perdono – Eva Mozes Kor

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2020

“Gli uomini felici non sentono nostalgia della guerra. Perciò continuo a insistere su questo concetto: la rabbia è il seme della violenza e il perdono quello della pace”. Un piccolo estratto da questo meraviglioso libro. Una storia “diversa” di sopravvivenza ad Auschwitz, ma soprattutto di vera libertà, raggiunta 50 anni dopo la liberazione dai campi di concentramento.

È un’autobiografia, sì di come è stato ad Auschwitz, ma soprattutto di come è stata la vita di Eva Mozes Kor dopo questo terribile periodo da cavia da laboratorio. E soprattutto un insegnamento prezioso di cosa significa perdonare per ritrovare la propria libertà.
Auschwitz, maggio 1944: sulla lunga banchina affiancata alle porte dei forni crematori, affollata di migliaia di ebrei appena arrivati dall’Ungheria, un militare osserva due bambine vestite di un identico abitino rosso, strette alle mani della madre. «Sono gemelle?» chiede. Avuta la risposta affermativa, le trascina via. Eva si salva così dalla camera a gas, destinata, con Miriam, a diventare una cavia umana nel laboratorio dove Josef Mengele compie i suoi esperimenti genetici. Ha dieci anni e molta paura. Per sei mesi, insieme ad altre coppie di gemelli, subisce test, trasfusioni, iniezioni di virus e medicinali. Vede i suoi compagni morire a seguito di operazioni e amputazioni. Ma è determinata a tornare a casa e riesce, insieme alla sorella, a sopravvivere fino all’arrivo degli Alleati. A sedici anni è in Israele, a ventisei negli Stati Uniti: gli incubi notturni sono scomparsi, ma non l’odio per gli aguzzini, la costante sensazione di essere indifesa e impotente, la sofferenza causata dai ricordi, che vengono sepolti in un angolo della memoria. Finché l’incontro con un ex nazista fa riemergere il dolore, ma mostra a Eva una nuova strada, il perdono, che libera dal peso del passato non i carnefici, come si crede, ma le vittime, rendendo loro il potere sulla propria vita. L’odio la incatenava agli abusi subiti, il perdono le permette di andare avanti, senza dimenticare quel che è stato. Di guardare quella bambina fotografata dietro il filo spinato del campo di sterminio senza essere sopraffatta dall’angoscia. Di ottenere che due criminali ammettano pubblicamente le proprie colpe.


di Katja / pagina fb