Artemisia Gentileschi, la “Pittora”

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Ho chiesto ad un amico un nome di donna con una vita che valesse la pena di esser raccontata; avrei voluto farlo per l’8 marzo. Mi ha risposto senza esitazione: “Artemisia Gentileschi!” Artemisia Gentileschi? Ma che razza di nome è?!
Tanto mi ha stupito questa risposta inaspettata che subito sono andata a leggere di lei: davvero non poteva esserci suggerimento migliore per il mio racconto di oggi.

Artemisia nasce a Roma nel 1593, unica femmina tra quattro figli. Il padre, Orazio Gentileschi, pittore di una certa fama, era amico e frequentatore di Caravaggio.
Sin da bambina Artemisia dimostra passione e talento per la pittura, un’arte a quei tempi rigorosamente riservata ai soli uomini. Non avendo dunque accesso a nessuna scuola di pittura, sarà il padre a farle da maestro, ad insegnarle come impastare colori, come giocare con la luce e a trasmetterle un profondo interesse per l’opera di Caravaggio. Così Artemisia diventa brava, e riesce a farsi notare in un mondo artistico dominato dagli uomini. Tanto brava che negli anni a seguito bisognerà addirittura inventare una parola per descriverla, ancora non esisteva il termine pittrice (una donna, pensate, non poteva neppure firmare una sua opera) e Artemisia verrà allora chiamata “la pittora”!

Non fu facile la sua vita: appena diciassettenne subì uno stupro da parte dell’artista Agostino Tassi, che regolarmente frequentava casa Gentileschi. La cosa inizialmente fu messa a tacere in quanto il Tassi promise ad Artemisia di sposarla, come gesto “riparatore”. Quando però la ragazza scoprì che il matrimonio non sarebbe mai avvenuto poiché il Tassi era già sposato, decise di denunciarlo!
Rendiamoci conto: era il 1611, rarissimo che una donna finisse in tribunale per una simile denuncia. Il processo si trasformò in strumento di diffamazione, la difesa corruppe testimoni e Artemisia subì la tortura dello schiacciamento dei pollici perché confessasse di esser stata consenziente! Non cambiò però mai la sua deposizione. Queste le sue parole al processo:
Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto, mi mise un ginocchio fra le cosce ch’io non potessi serrarle et alzatomi li panni, che ci fece tantissima fatiga per alzarmeli, mi mise una mano con un fazzoletto alla gola et alla bocca acciò non gridassi e le mani quali prima mi teneva con l’altra mano mi le lasciò, havendo esso prima messo tutti doi li ginocchi tra le mie gambe et appuntendomi il membro alla natura cominciò a spingere e lo mise dentro. E li sgraffignai il viso e li strappai li capelli et avanti che lo mettesse dentro anco gli detti una stretta al membro che gli ne levai anco un pezzo di carne.

Non cedette la Pittora e vinse il processo: 1612, forse il primo della storia!!! Agostino Tassi fu riconosciuto colpevole e condannato.

Anche Artemisia però pagò il suo prezzo: dopo il processo dovette comunque accettare un matrimonio riparatore, impostole dal padre, con un altro artista ed emigrare a Firenze. Continuò a dipingere con successo e fu la prima donna ad essere accettata quale membro dell’Accademia fiorentina delle arti e del disegno.
Morì a Napoli nel 1653.

Oggi, insieme alla sua biografia, ancora parlano per lei i suoi dipinti.
Nel 2011 Milano le dedicò una mostra, all’entrata una scenografia particolare e simbolica accoglieva il visitatore: un letto sfatto e dal soffitto gli atti processuali che vi cadevano sopra…

Artemisia, questo 8 marzo è per te!


Serena Bonetti

3 COMMENTI

    • Cara Roberta,
      putroppo no, la storia non ci insegna niente. Ho letto da poco il libro ” Io, Nojoud, dieci anni, divorziata”, anche se la storia è un po’ datata sempre, purtroppo, di attualità.
      Grazie Serena per questi tuoi racconti interessanti e vivi.
      Ciao Fabio