Albert Einstein ricordava che “La vita è come andare in bicicletta. Per restare in equilibrio devi muoverti.” Che si tratti di ruote strette, grasse o extra larghe la biciletta è sinonimo di equilibrio dinamico e libertà; per molti di noi, in gioventù, è stato il primo (e per molto tempo unico) mezzo di locomozione, con cui esplorare il nostro territorio.
Nel Novecento, in pieno dopoguerra, fu l’unico modo per velocizzare gli spostamenti; in bicicletta si macinavano decine e decine di chilometri per raggiungere la famiglia, il luogo di lavoro, gli amici o le montagne “di casa” su cui allenarsi. Monza, città di pianura ma a due passi dalle Prealpi lecchesi, che diede alla storia dell’alpinismo alpinisti del calibro di Walter Bonatti e Andrea Oggioni (di Villasanta), ha scritto una parte della propria storia sportiva proprio sulla due ruote; là dove il treno non arrivava, c’era sempre una bicicletta adatta per raggiungere gli attacchi delle vie del Resegone o della Grigne. Alpinismo e bicicletta sono sempre andate a braccetto. E quando negli anni Novanta apparve il cosiddetto “Rampichino”, antesignano della moderna Mountain Bike, una bella fetta di appassionati di escursionismo, trekking e alpinismo vi si dedicò con passione, riconoscendo in esso quell’antico legame mai reciso. Ora ci sono le E-bike, che regalano anche ai neofiti l’ebbrezza di itinerari arditi, ma non escludono certo mature capacità di guida, soprattutto nelle delicate fasi della discesa.
La storia contemporanea della bicicletta è anche la storia della mobilità dei Paesi; non si pedala ovunque allo stesso modo, perché ogni Paese ha regole e infrastrutture diverse. Dai passi alpini ai grandi laghi, le nostre terre offrono occasioni quasi infinite per esercitare l’arte della vita in bicicletta. La rete ferroviaria capillare, per esempio, è un supporto unico alle fatiche dei cicloturisti, così come le strutture di accoglienza attrezzate. Una volta lasciate alle spalle le montagne, scesi sull’altopiano svizzero, pedalare si trasforma in un’intensa esperienza sensoriale; per chilometri e chilometri le piste ciclabili corrono a fianco di ferrovia e autostrada, in un susseguirsi di cittadine e aree verdi.
Pedalare nella regione “Ohne Grenze” del Bodensee, per esempio, è un viaggio nella cultura ciclistica elvetica, austriaca e tedesca; la famosa Bodensee Radweg è una delle piste più lunghe in questa zona, con i suoi oltre 270 km del periplo del Lago (di cui 70 in Svizzera e solo 30 in Austria); attraversa campagne e centri abitati che hanno fatto del turista in biciletta una risorsa preziosa e si trasforma in una vera e propria piazza dinamica, in cui ciclisti da tutto il mondo condividono esperienze ed emozioni. Ci sono colonnine per l’assistenza meccanica, aree di sosta attrezzate, locali pubblici in cui rifocillarsi e riposarsi, stazioni ferroviarie quasi sempre nei paraggi. Da queste parti il terreno è particolarmente favorevole a chi non se la sente di faticare troppo: è quasi tutto pianeggiante, con il vantaggio di poter contare pure su una rete di traghetti che permettono di spostarsi tra i centri principali. Il periplo del lago offre poi l’opportunità di riflettere sulle modalità di gestione delle piste ciclabili; in attesa della votazione del 23 settembre la Svizzera, come ben sappiamo, lascia a Comuni e Cantoni la responsabilità.
La Germania, invece, pur affidando ai Laender l’autonomia necessaria, ha un governo federale che nel 2017 ha stanziato 25 milioni di euro per la costruzione delle ciclovie dei pendolari, a scorrimento veloce, per evitare incroci e semafori; stanziamento che si è aggiunto ai cento già allocati per gli investimenti in mobilità ciclistica.
Chiara Maria Battistoni