Bhutan-Svizzera: due Paesi di montagna impegnati a costruire felicità e benessere

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Qualche mese fa, per la prima volta, ho sentito raccontare il Bhutan da chi non solo lo ha visitato più volte ma abita a duemila chilometri da questo Paese, adagiato tra le vette dell’Himalaya, a soli cinquanta minuti di volo da Katmandu. Una collega di Bangalore mi ha raccontato il Paese del Drago in un’ora di chiacchiere entusiasmanti, raccomandandomi, se mai decidessi di visitarlo, di raggiungerlo in auto dall’India, per attraversare Parchi e riserve naturali che ne annunciano i confini sul lato indiano. Conoscevo il Bhutan perché molti anni fa questo Paese diede vita a ciò che oggi chiamiamo Gross National Happiness Index, un indice ben conosciuto nel mondo che misura il livello di “felicità” dei paesi, misurando parametri che aiutano a vedere lo sviluppo con un occhio ben diverso dal più tradizionale Pil. Avevo seguito su YouTube gli straordinari atterraggi dei piloti di Airbus A319 delle due compagnie aeree nazionali che collegano l’aeroporto di Paro ad alcuni Paesi asiatici, osservando a bocca aperta gli ottomila himalayani ripresi dalle cabine di pilotaggio e le manovre di avvicinamento tra vette e valli impervie; mai però avrei immaginato di conoscere davvero qualcuno che mi parlasse di Bhutan per esperienza diretta. Sono le sorprese della vita, come se letture e ricerche in apparenza casuali diventino dei catalizzatori di novità. Dalla curiosità allo studio più strutturato il passo è stato breve.

Con un territorio interamente montuoso, abitato da poco più di ottocentomila persone, il Bhutan ha aperto i confini al turismo nel 1974 applicando una politica di ingressi molto rigorosa, che di fatto ha preservato il Paese dal turismo di massa. Non più inserito dall’Onu nell’elenco dei Paesi meno avanzati, a giugno una delegazione commerciale svizzera lo raggiungerà per la prima volta, esplorando così nuove relazioni economiche. Al tempo stesso la delegazione del Bhutan ha visitato la Confederazione a fine maggio, per approfondire gli aspetti di pianificazione sostenibile del territorio, in un Paese che con il Bhutan ha in comune la dimensione (38,9 kmq il Bhutan, 41, 2 la Svizzera), la natura della geomorfologia e (forse) le sfide climatiche che coinvolgono tutte le montagne. Non è un caso che proprio a metà maggio Thimphu, la capitale del Bhutan, abbia ospitato la Conferenza Internazionale sullo sviluppo urbano e il benessere, dedicata a città felici, eque e sostenibili. Unica nazione al mondo, il Bhutan ha un’impronta di carbonio negativa, grazie anche al 70% di territorio coperto da foreste; dal 2008, con il passaggio da monarchia assoluta a monarchia costituzionale, il regno bhutanese ha imboccato la strada della modernizzazione, costruendo un interessante equilibrio dinamico tra modernità e tradizione, nel rispetto dei principi del buddhismo lamaista, gli stessi che hanno ispirato lo sviluppo del primo indice della felicità, costruito su quattro pilastri: sviluppo socio – economico equo, promozione e rispetto del patrimonio culturale e spirituale, conservazione dell’ambiente, governance saggia ed efficace.

Il Gross National Happiness, in una nuova veste, è ora adottato dalle Nazioni Unite e da molti Paesi nel mondo, utilizzato per misurare politiche capaci di un approccio davvero olistico allo sviluppo. Il GNH Index esamina nove domini specifici: benessere psicologico, salute, educazione, utilizzo del tempo, resilienza e specificità culturali, buona governance, vitalità delle comunità, biodiversità, standard di vita. La versione più recente è del 2011 e prende in considerazione ben 33 indicatori. Dal 2012 le Nazioni Unite sono impegnate nello sviluppo di un nuovo paradigma economico che contempli felicità e benessere, da cui è nato il World Happiness Report, giunto quest’anno alle settima edizione, reso pubblico a inizio maggio. Nella top ten pubblicata dal World Economic Forum, Finlandia, Danimarca e Norvegia sono rispettivamente al primo, secondo e terzo posto, seguite da Islanda, Olanda e Svizzera, sesta. In netta progressione però ci sono anche gli Emirati Arabi Uniti che nel 2015 hanno creato il Ministero della Felicità trasformandolo in Ministero della Felicità e del Benessere nel 2017. Comunità e ambiente diventano sempre più spesso i nuovi parametri su cui misurare crescita e progresso.


Chiara Maria Battistoni