Sabato sera, nell’ambito della rassegna “i monologanti” 2019/20, sul palcoscenico di Casa Besta è andato in scena un efficace adattamento teatrale del romanzo «Cuore di cane» dello scrittore russo Michail Bulgakov, con l’attrice, regista e drammaturga Licia Lanera, accompagnata dal vivo alle tastiere e con svariati strumenti di audio-amplificazione da Qzerty (alias Tommaso Danisi).
Partiamo dal romanzo, scritto da Bulgakov negli anni Venti del secolo scorso. È la storia di un cane rimasto vittima di un incidente che, divenuto randagio, viene adottato dal professor Filip Filipovič, uno scienziato impegnato in ricerche volte a trovare una cura per ringiovanire gli esseri umani. Il cane, Pallino, convive in una prima fase nello studio e appartamento del professore e assiste passivamente alle visite del professore di pittoreschi pazienti, che ridanno uno spaccato della società sovietica postrivoluzionaria; sarà però ben presto vittima delle mire scientifiche del professore tramite un delicato intervento chirurgico nel quale subirà il trapianto dei testicoli e dell’ipofisi (o ghiandola pituitaria), prelevati ad un fisarmonicista di strada appena morto. Il cane si trasformerà quindi in un omuncolo e poi in un uomo dal forte credo comunista, e questa trasformazione sarà protocollata dall’assistente del professore dal nome Bormental. Quando Pallino raggiungerà le sembianze di un essere umano e sarà sempre più autonomo, esigerà di essere registrato all’anagrafe con il nome di Poligraf Poligrafovič Pallinov. Il professore, accortosi di non avere raggiunta alcuna finalità con la sperimentazione, deciderà quindi di togliere di mezzo la sua creatura avvelenandola.
Usando questa potentissima metafora, Bulgakov intendeva sicuramente denunciare i paradossi della nascente politica sovietica, ma il racconto sprigiona una forza espressiva che si presta a numerose altre interpretazioni. Non mancano infatti elementi di satira relativi ai costumi della società moderna o al primato della scienza. Nella metamorfosi di un cane in un uomo sono inoltre ravvisabili riferimenti a testi legati alla figura ebraica del golem, a quella dell’homunculus degli alchimisti, o al burattino di legno di Collodi. Dei testi che alimentano la fantasia di svariate e sempre attuali interpretazioni sul senso e il destino dell’umanità.
E veniamo ora all’adattamento teatrale di Licia Lanera. Un monologo tratto dall’attrice e regista pugliese dal romanzo di Bulgakov dal forte impatto emozionale, in cui la sua voce, o meglio le sue voci eccellentemente interpretate, arrivano al pubblico tramite l’amplificazione di un microfono. L’attrice è in continuo dialogo con la performance musicale in sottofondo, quasi come in una colonna sonora, di Qzerty. Quest’ultimo si avvale di un congegno elettronico composto da vari strumenti e oggetti, in parte da lui inventati, per creare la giusta ambientazione e in cui sfoggia un uso magistrale della loop station.
La Lanera riesce invece a dare un’incredibile colorazione ai vari personaggi utilizzando alcune calate regionali italiane e imitando alla perfezione il latrato del cane. Molto ben curata anche la gestualità, indissolubilmente legata a voce e personaggi interpretati. L’eloquio avviene con enorme cognizione di causa e la satira di Bulgakov è ulteriormente messa in risalto da una mise completamente bianca e da una maschera con il volto di una donna anziana, che donano al pezzo un’aura di classicità. Il climax è raggiunto nella parte in cui viene descritto il trapianto d’organi. Complice la suggestione musicale, l’attrice riesce ad imprimere una tale forza espressiva e una dovizia di particolari nella descrizione del taglio della scatola cranica con ablazione dell’ipofisi, poi del trapianto della ghiandola, della ricucitura del cranio e dell’iniezione di adrenalina nel cuore del cane per farlo rinvenire, che l’animo dello spettatore viene vivamente sollecitato.
Chi già da un po’ di tempo a questa parte frequenta i monologhi portati davanti a un pubblico ristretto come quello di Casa Besta, a Brusio, grazie al coraggio e alla tenacia di Begoña Feijoó Fariña, già si aspettava uno spettacolo di qualità. L’asticella della rassegna è infatti stata posta molto in alto. Non si può però negare che sia per la loro bravura, che per la sorprendente componente tecnologica, la monologante e il suo assistente musicale provenienti da Bari, sabato scorso hanno fatto nuovamente breccia fra gli amanti del teatro di Valposchiavo e dintorni.
Achille Pola
Grazie Achille …adesso ho capito meglio.Alla fine io avevo capito che era meglio avere un cuore di cane….che di uomo.
Bravo Achille,
il tuo commento mi ha aiutato a capiire meglio Cuore di Cane, che mi è entrato nel mio cuore d’uomo.
Nando Nussio.