Commento di alcuni articoli del Bernina sul COVID-19

3
1865
pixabay

Ho letto con interesse gli articoli della dottoressa Bonetti e la lettera dell`ingegnere Weitnauer «A proposito di questa epidemia da Sars-Cov-2» sul Bernina riguardo COVID-19. Mi permetto quindi di esprimere un commento personale.

Dapprima vorrei però fare tre premesse:

  1. Ringrazio profondamente tutti gli addetti delle istituzioni sanitarie della Valposchiavo (dagli addetti alle pulizie, alle infermiere, ai medici e tutte le altre e gli altri) per il loro grande lavoro, che spesso comporta rischi anche per la loro salute.
  2. Mi limito a commentare gli articoli del Bernina summenzionati e non commento qui quello che sappiamo e non sappiamo finora sul nuovo Coronavirus Sars-CoV-2 dal punto di vista medico-scientifico (sono stati già pubblicati nel 2020 più di 7000 articoli scientifici su varie riviste mediche, tutti consultabili gratis online).
  3. Auguro ai membri della famiglia Weitnauer una rapida e completa guarigione.

Nei suoi due articoli su COVID-19 «Il colore dei numeri» e «Le cifre dell’epidemia: come leggerle» la dottoressa Bonetti fa, per lo stato attuale del mio modesto sapere, delle affermazioni in parte semplificate, ma corrette. Come da lei stessa affermato e messo in pratica, se ci si rivolge a tutti, bisogna parlare in modo concreto, semplice e comprensibile. In questa pandemia è importantissimo che tutta la popolazione comprenda e applichi continuamente le direttive di igiene sociale e personale emanate dalle autorità competenti.

Non dimentichiamo, che stiamo parlando di una nuova malattia identificata «ufficialmente» all’inizio del 2020 e della prima pandemia mondiale dal 1919. Il nuovo virus della famiglia dei Coronavirus e il suo genoma sono stati pubblicati a gennaio 2020. In soltanto tre mesi migliaia di pubblicazioni scientifiche, senza parlare degli innumerevoli interventi giornalieri di centinaia di esperti (o dicentesi tali) su tutti i canali mediatici, hanno ampliato la nostra conoscenza di questa infezione e ci hanno fornito un mare di dati e nozioni, in parte anche contraddittori (e parlo soltanto degli interventi scientifici). Ma siamo solo all`inizio! Inoltre stiamo parlando di dati preliminari e incompleti, rilevati con metodologie diverse e sulla base di conoscenze in continua, velocissima evoluzione. La ricerca scientifica procede a una velocità mai vista prima scoprendo, interpretando, ma anche revisionando fatti, eventi (quindi dati) e teorie relative.

Mi permetto di dissentire in parte solo su due affermazioni dell`ingegnere Weitnauer:

Le autorità politiche federali e cantonali (non parlo delle autorità della nostra valle, che hanno fatto egregiamente il loro dovere) hanno sì in parte reagito con una certa, comprensibile, iniziale confusione e dal punto di vista medico in ritardo, ma non dimentichiamo, che i politici, che non sono degli esperti in infettivologia e epidemiologia, hanno dovuto prendere delle decisioni epocali e difficili in una nuova situazione drammatica e in continua rapida evoluzione. Certo si potevano almeno immagazzinare le riserve di materiale medico-igienico previste e ponderare meglio certi pareri come quelli del dr. Koch sui bambini e sulle mascherine (in società sempre meglio usarle, premesso che si trovino di qualità omologata). Ma col senno di poi è facile esprimere giudizi. Basta guardare le attuali discussioni sulla cosiddetta riapertura o fase 2. Da un lato abbiamo gli esperti, che propongono una continuazione del lockdown («isolamento») e dall’altro quelli, che propendono per una completa libertà, sperando forse di raggiungere l`immunità di gregge. Nel frattempo l`economia sta subendo gravissimi danni e si vorrebbe riaprire il più presto possibile. L`umore della popolazione in uno stato democratico va naturalmente anche preso in considerazione.

I tamponi sulla popolazione asintomatica effettuati a caso («depistaggio») hanno un`importanza clinica relativa, perché permettono di «classificare» una persona come negativa solo il giorno dell`esame. In più per ragioni logistiche e di materiale è possibile effettuare solo un numero limitato di tamponi (in Svizzera comunque in questo campo siamo all`avanguardia). Dal punto di vista epidemiologico ritengo molto più importanti e interessanti i test con anticorpi che ci permetteranno di contare o almeno di stimare la percentuale di persone contagiate (e speriamo immuni).

Per quanto riguarda le curve dell`epidemia in Svizzera non vedo grandi discrepanze fra i pareri dei due. Tanto Bonetti come Weitnauer affermano con altre parole che la curva logaritmica dei casi positivi al tampone cumulati si è appiattita e che il grafico delle nuove infezioni giornaliere ha già raggiunto e superato il (primo?) picco.

Sono d`accordo con la dottoressa Bonetti che il numero dei cosiddetti guariti (che in Svizzera fra l`altro non è quantificabile, come dimostra Weitnauer) è attualmente in un contesto statistico di relativo interesse. Per quel poco che sappiamo al momento possiamo assumere, che i contagiati sintomatici e dopo giorni o settimane clinicamente guariti siano anche immuni. Le domande senza risposta sono però ancora molte, troppe : Dopo quanto tempo un ammalato clinicamente guarito non è più contagioso ? Bastano due tamponi negativi (come consigliato in Italia) ? Basta una quarantena supplementare di 2 giorni (come in Svizzera) o addirittura di quattro settimane (come in Lombardia) dalla sparizione dei sintomi ? Gli anticorpi dimostreranno una raggiunta immunità (quindi una non contagiosità) ? Questa immunità per quanto tempo sarà valida ? E non parliamo dei contagiati sempre asintomatici o con sintomi irrilevanti, che sembrano essere la grande maggioranza. Ci sarà ancora molto da fare per i ricercatori e i clinici.

L`alta percentuale di contagiati scoperta in Valposchiavo (che per ovvi motivi non corrisponde al numero effettivo di contagiati) è dovuta, per quanto interpretabile, a mio modesto parere (a parte fattori ancora sconosciuti come eventuali super-diffusori o più focolai ecc.) alle strette relazioni con la vicina Lombardia e al nostro meraviglioso stile di vita con intensi contatti familiari fra le diverse generazioni e contatti sociali nei vari ritrovi pubblici e nelle numerose associazioni. Tutti fattori che è stato possibile controllare solo grazie al lockdown (“isolamento” o “blocco”) e alla chiusura delle frontiere, due misure che potevano essere prese solo dal governo federale.

Finché non si troverà un vaccino o almeno dei medicamenti efficaci non ci resta, almeno per i soggetti a rischio, che applicare le attuali misure comportamentali. E per il vaccino, unica vera soluzione, ci vorranno nella migliore delle ipotesi ancora parecchi mesi. Quindi, cari convalligiani, i prossimi mesi applichiamo tutte le misure aggiornate nei comunicati dell`Ufficio federale della sanità pubblica.

Per concludere vorrei esprimere il mio cordoglio ai parenti delle vittime. Vorrei anche ringraziare e complimentarmi con gli abitanti e i responsabili della sanità della nostra valle, che attenendosi alle raccomandazioni hanno stabilizzato, speriamo non solo per il momento, il numero delle persone positive al nuovo Coronavirus.


Gianfranco Zala

3 COMMENTI

  1. Buongiorno Signor Damiano Gianoli.

    Io mi sforzo di restituire quello ho studiato sul tema. La scienza è il mio pane da anni e, fin dove arrivo con la mia preparazione orizzontale (non sono specialista, ovviamente), faccio il possibile per restituirlo a terzi. Non m’interessano le polemiche, ma solo la divulgazione scientifica.

    Talvolta, per spiegare bisogna usare più parole, per non essere troppo tecnici. Non è comunque obbligatorio leggere. Legge chi è interessato ad approfondire al di là delle news.

    In questo caso i punti di discussione sul tavolo erano diversi. E questo nasce proprio dal fatto che le semplificazioni eccessive, come quelle della Signora Bonetti (che ha comunque espresso tutte le buone intenzioni del caso), portano ad aspettative inadeguate alla situazione e a malintesi.

    Vuole un sunto superstringato? Eccolo, a uso e consumo di chiunque non intenda leggere più di qualche capoverso:

    – I test di depistaggio sono universalmente riconosciuti dagli esperti come fondamentali per tracciare i focolai sul territorio. Chi prima li ha eseguiti prima e con maggiore intensità ha arginato molto meglio i contagi.
    – Il discorso sul “picco” non ha senso, anche se continuamente i media ci propinano questo termine. Il picco riguarda modelli di casi attivi applicati alla realtà che nessuno conosce, non la realtà stessa, così com’è restituita dai dati ufficiali.
    – Per trarre informazioni utili dai dati ufficiali occorrerebbe conoscere le modalità con cui vengono costituite le basi campionarie ed, eventualmente, come le stesse vengano modificate nel tempo. Queste informazioni non sono a noi disponibili e spesso nemmeno ci sono.
    – I casi attivi presenti nella popolazione svizzera, così come riportati da certi siti, non hanno la minima attendibilità. I casi attivi sono però proprio quanto servirebbe per avere il polso della situazione.
    – Per capire l’evoluzione del fenomeno è meglio abbandonare i dati ufficiali sui test e riferirsi all’andamento dei decessi e del grado di ospedalizzazione. Questi numeri sono molto più attendibili e utili.

    Spero che il sunto venga incontro meglio alle sue esigenze, considerato il termine “peccato” che lei ha inserito nel suo commento.

    Buona giornata a lei.

  2. Gentile Gianfranco Zala,

    innanzitutto grazie per il commento e per gli auguri. Mi unisco subito a lei nei ringraziamenti sentiti al personale infermieristico e medico dell’ospedale di Poschiavo che svolge un egregio lavoro, rischiando in proprio, anche in occasione del ricovero di mia mamma. Ringrazio anche le assistenti Spitex che hanno seguito con professionalità e cuore mia mamma. Meno contento sono ovviamente della poca competenza evidenziata dai loro vertici, a fronte delle mie lamentele e della mia insistenza per iscritto a questo stesso giornale sull’uso delle mascherine. Le conseguenze potevano essere tragiche.

    Relativamente ai punti da lei dibattutti, credo che occorrano dei chiarimenti.

    Iniziamo dai test di depistaggio (tamponi random a largo spettro) che sono sono cruciali, altro che. Infatti, risalendo per loro tramite la catena dei contatti, si possono tracciare le coordinate dei focolai e intervenire in modo mirato con la prevenzione sul territorio. Questo è quanto ha fatto, ad esempio, la Corea del Sud, abituata alle zoonosi di quella regione di mondo (come anche Singapore e Hong-Kong). Proprio questa strategia di supervisione ha consentito di contenere le infezioni, senza ricorrere a lockdown opprimenti, se non per zone specifiche e ridotte.
    In Europa l’unico paese che ha con successo seguito questo approccio è la Germania; anche perché ha avuto il tempo e la lungimiranza di farlo fin dal principio, cioè con infezioni ancora molto poco diffuse (non si dimentichi che tra le varie nazione esiste una sfasatura temporale nel fenomeno epidemiologico). In Italia il depistaggio è partito dal Veneto, seguito da Emilia e Toscana. La Lombardia non l’ha invece messo in opera. In Svizzera è iniziato piuttosto tardi; è avvenuto a Lucerna con test spontanei effettuati in un drive-in.
    I test sierologici sono il prossimo livello del controllo territoriale, anche perché segnano la storia passata dei contagi, ma non aspettiamoci miracoli subito. Anche in quel caso possono esserci falsi negativi. I test dovrebbero avere un’affidabilità minima del 95% per essere utili. Non siamo lontanti, comunque.

    Le curve dei casi positivi rilevati non hanno in generale molto senso, anche se è su quello che tutti i media si focalizzano. Esse dipendono da quanti test si fanno, da quando si fanno e dalle persone cui si fanno. Per fare un esempio semplice, in Italia i malati Covid-19 devono fare tre tamponi: uno per accertare la positività e due per verificare la negatività dopo l’isolamento; se poi la verifica fallisce viene richiesta ulteriore quarantena e ulteriori tamponi. Questo significa che a un singolo cittadino possono corrispondere più tamponi positivi. In altri casi, ci sono invece malati non registrati. La Svizzera, a quanto pare, è particolarmente affetta da queste evenienze: casi Covid-19 sintomatici, cioè cui non corrisponde alcun tampone, né all’ingresso della malattia, né in uscita. Si tratta per lo più di giovani, ma non solo.

    L’importanza della curva dei positivi cumulati nel tempo non risiede tanto nel plateau, come ho già scritto, bensì nel punto di flesso, anche se non è facile individuarlo su un tracciato reale. Esso è un segnale importante che riflette un calo di contagiosità sotto la soglia critica che demarca la crescita fuori controllo. Il plateau è piuttosto un’astrazione che lascia il tempo che trova. Torno comunque a ripetere che stiamo pur sempre parlando di positività rilevate nella popolazione con modalità ben poco controllabili in termini campionari. In quanto ai nuovi casi registrati, questi non danno mai luogo a una curva morbida, bensì a una spezzata altamente irregolare. Non ha alcun senso parlare qui di scollinamenti, apici o picchi. I picchi sono tanti, come le cuspidi verso il basso.

    Torno a ripetere che il cosiddetto “picco” di cui tutti parlano in realtà non esiste come tale, è anch’esso un’astrazione. Non va considerato come un fattore discriminante che da solo ci faccia capire se possiamo tirare un sospiro di sollievo oppure no. L’ha spiegato molto bene anche Pierluigi Lopalco (uno dei consulenti per le emergenze epidemiologiche in Italia) che insiste sulla necessità di monitorare diversi parametri di sorveglianza.
    Il picco è infatti il punto culminante di un tracciato ideale di “casi attivi” nella popolazione che viene evidenziato in un certo modello, non nella realtà. I casi attivi sono i positivi (clinicamente malati e non) che ad ogni data sono presenti nella popolazione. Si tratta del filmato del contagio presente nei cittadini. A ogni data corrisponde un fotogramma ideale.
    Di questi modelli ce ne possono essere diversi (esponenziali, logistici, Sir, ecc). Inoltre, spesso questi modelli si tarano continuamente sulla realtà rilevata a ciclo chiuso e, anche qui, il modo in cui ciò avviene può variare da caso a caso. Sono ragionevolmente certo che quasi nessuno tra i normali cittadini abbia mai visto un modello di questo tipo, tarato sulla sua realtà nazionale, regionale o locale.
    Dire che in Valposchiavo si è superato il picco non ha in definitiva alcun senso in termini scientifico-semantici.

    In un contesto statistico completo i casi guariti sarebbero davvero della massima importanza. Infatti, sottraendoli dai casi cumulati insieme ai decessi si otterrebbero proprio i suddetti casi attivi. Disponendo del tracciato dei casi attivi si potrebbero allora stabilire dei confronti significativi con i succitati modelli epidemiologici e, quindi, formulare anche previsioni più attendibili. Purtroppo, i casi guariti non sono testati in Svizzera. Si tratta dei dimessi dagli ospedali sommati ai molto più numerosi guariti a casa di cui hanno traccia i medici (quando ne hanno traccia). Sono dati del tutto inattendibili che si affiancano ad altri dati inattendibili. Ed è per questo che non possiamo fare affidamento ai casi attivi. Figuriamoci parlare di picchi o scollinamenti.

    Questo non vuol dire che non sappiamo nulla sull’andamento di questa epidemia.
    Per avere il polso della situazione si può procedere in vario modo. Ma per noi comuni mortali (professionisti e non) che possiamo consultare solo i dati che ci comunicano le autorità non abbiamo molte altre opportunità che riferirci agli andamenti dei decessi e del grado di impegno della sanità (quanti posti in % disponibili per Covid-19). Queste informazioni sono indipendenti, cioè non hanno a che fare con i campioni inevitabilmente distorti dei tamponi.
    I decessi svizzeri mostrano un trend non attenuato verso i 1500 casi, brutta faccenda; ma bisogna anche considerare che sono un retaggio di chi si è ammalato tempo fa. Molto migliore è il dato sulle ospedalizzazioni. Queste sono ragioni valide per considerare la condizione migliorata anche in Svizzera. Le ospedalizzazioni sono sempre in qualche modo legate ai reali (non ufficiali) nuovi casi di positività.

    Per finire, relativamente al Consiglio Federale, personalmente penso che difficilmente si poteva fare peggio, compresa la crisi istituzionale col Ticino. Ricordiamo che la potenzialità sanitaria del sistema svizzero, magari non eccezionale nei ranking mondiali ma sicuramente capiente e molto ben attrezzato, ha fatto la differenza, limitando i decessi. La gestione sul territorio è un’altra cosa. Lei stesso, signor Zala, sembra in qualche modo concordare.

    Non voglio entrare in questi dettagli, allungando ulteriormente questo scritto. Tra i vari errori ancora in auge, mi limito a segnalare la questione dell’apertura delle scuole per poche settimane. Infatti, gli ultimi studi mostrano che la condizione di contagio tra i bambini è purtroppo più preoccupante di quanto non si pensasse.