Recupero dei monti e innovazione tecnologica nel futuro della Valposchiavo

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Durante la visita a Cavaione del 1° agosto del Consigliere federale Parmelin, il Podestà di Poschiavo Giovanni Jochum ha posto l’accento sulla questione, in realtà molto dibattuta, delle seconde case, sostenendo che il blocco dell’attività edilizia che le riguarda crea diversi problemi all’economia locale. Lo abbiamo perciò raggiunto per alcune domande a riguardo.

Ritiene che l’attuale disciplina sulle seconde case sia effettivamente troppo restrittiva e rappresenti un danno per la Valposchiavo?
La disciplina delle seconde case vale in modo uguale per tutta la Svizzera, indipendentemente dalle zone nelle quali ci troviamo e prevede un limite del 20%. Il comune di Poschiavo supera il tetto concesso dalla legge, perché i monti sono considerati seconde case. Questo di sicuro non è a vantaggio della Valle. La problematica delle seconde case è nata principalmente in certe regioni del canton Vallese e dei Grigioni a vocazione prettamente turistica dove nei decenni scorsi sono state costruite molte seconde case. I nostri monti ci sono da secoli, soltanto che il loro utilizzo è cambiato. Ora si tratta di mantenere questa parte di cultura, in senso lato, caratteristica della nostra valle. Se togliamo i monti dal calcolo, siamo ben lontani dal raggiungere il 20%. Come dicevo nel mio intervento, non credo che nei villaggi del fondovalle ci sarebbe una richiesta sproporzionata di seconde abitazioni, si parlerebbe piuttosto di singoli casi.

Viviamo un anno eccezionale da molti punti di vista, che però ha visto anche una notevole presenza di turisti soprattutto svizzeri in Valposchiavo. Non crede che la costruzione di seconde case possa essere limitante o dannosa per il turismo alberghiero?
Si tratta, a mio parere, di due tipi di turismo e di due concetti diversi e in certa misura complementari. Chi viene in valle per soggiornare in albergo, non cerca una seconda casa. Chi cerca una seconda casa (o più ancora un monte) cerca appunto qualcosa di diverso dall’albergo. La ristorazione potrebbe invece trarre beneficio dagli ospiti delle seconde case.

In un’epoca di cambiamento climatico, abbiamo visto come si sta progressivamente rendendo necessario un profondo ripensamento delle mappe di rischio idrogeologico come nel caso di Bondo. Nuove costruzioni potrebbero significare anche nuovi problemi?
Per i monti non penso a nuove costruzioni, quanto piuttosto al mantenimento delle case esistenti. Si dovrebbero poter ristrutturare le stalle e fienili esistenti, ma non più utilizzate per lo scopo primario, con destinazione diversa, cioè a scopo abitativo. Chi investe nel proprio edificio a monte, spesso e volentieri cura anche i dintorni, prati, pascoli, muri a secco, boschi, ruscelli e da un grande contributo al mantenimento del paesaggio naturale e della caratteristica della nostra valle: villaggi al piano, maggesi e alpi. Proprio grazie a questo lavoro di cura del paesaggio il rischio di danni naturale di sicuro non aumenta. Il caso di Bondo o della Val Varuna (1987) non sono da attribuire alla gestione dei monti. Altri rischi come richiesta di allacciamento stradale, elettrico, eccetera non ne vedo o se ci dovessero essere, i rispettivi costi andrebbero a carico dei richiedenti creando ulteriore indotto economico.

Il picco di popolazione della Valposchiavo è stato nel 1950, con circa 5.500 abitanti. La regione (4000 circa a Poschiavo e 1500 circa a Brusio). Oggi la Regione Bernina conta circa 900 in meno. Più che di nuove seconde case sembrerebbe esserci bisogno di nuovi residenti, o almeno di arginare la perdita di abitanti, che sembra lentamente ripresa dopo alcuni decenni di recupero…
Il mantenimento dei monti crea indotto a tutti i livelli e con questo da possibilità di creare qualche posto di lavoro in più o perlomeno di non smantellare quelli esistenti, in particolare nell’artigianato locale. Proprio dal momento che noi dobbiamo arginare la perdita di abitanti e è importante creare i presupposti per rendere attrattiva la vita in Valposchiavo. Ogni singolo posto di lavoro, anche quelli nel settore dell’edilizia e dell’artigianato, è importantissimo.

Un recente studio di Avenir Suisse sostiene che le valli montane centrali (Zentrumstäler) debbano costituire l’asse fondamentale dello sviluppo futuro, accanto alle città. Per la Valposchiavo si tratta naturalmente della vicina Engadina. È d’accordo o si sente di contraddire queste conclusioni?
Noi non possiamo costruire il nostro futuro pensando solo alle città. Coira, Zurigo o Lecco, Milano sono troppo distanti dalla Valposchiavo. Chi vuole vivere in una città di certe dimensioni non è interessato a vivere in una valle come la nostra. D’altro canto, anche fungere da ruota di scorta dell’Engadina sarebbe, secondo me, un errore. Dobbiamo collaborare dove possibile con le zone limitrofe, che siano esse l’Engadina o la Valtellina, ma è necessario mantenere una nostra identità e riuscire a differenziarci. Abbiamo una nostra cultura, una base aziendale solida e degli ottimi servizi di base su cui lavorare. È essenziale mantenerli e svilupparli secondo i nostri tempi e le nostre possibilità; per questo abbiamo bisogno di grande flessibilità e del maggior sostegno possibile. La Svizzera è molto diversa da cantone a cantone, da regione a regione: è importante tenerne conto durante la revisione o l’elaborazione di leggi.

Nella sua recente interpellanza al Governo suggeriva la possibilità di decentrare posti di lavoro anche in zone periferiche come la Valposchiavo. Pensa che questo potrebbe essere possibile anche nel settore privato, anche in continuità con iniziative come l’innovativo Progetto Poschiavo o quelle di oggi del Polo Poschiavo?
Certo, abbiamo visto durante gli ultimi mesi che è possibile pensare a un sistema di lavoro e impiego decentralizzato, soprattutto utilizzando meglio e maggiormente le nuove tecnologie di comunicazione che abbiamo a disposizione. Questo vale sia per l’attività nel settore pubblico che privato. Vari progetti lo dimostrano. Probabilmente dobbiamo fare uno sforzo in più, essere più creativi e innovativi di altre località nell’utilizzo di queste tecnologie, ma sono sicuro che lo sviluppo futuro della valle vada in questa direzione. Come accennavo prima, si tratta di costruire su quanto abbiamo già realizzato, di abbinare la qualità di vita della nostra regione, la cultura, il territorio, le tradizioni alle nuove tecnologie e inoltre di saperci adattare, dove sensato, alle richieste dei nostri “clienti”.


A cura di Maurizio Zucchi

Maurizio Zucchi
Membro della redazione