Il telelavoro è un’opportunità per la Valposchiavo e il Grigionitaliano?

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Lo scorso 24 settembre, il Governo ha introdotto il telelavoro quale forma di lavoro complementare in seno all’Amministrazione Cantonale. Il senso dell’iniziativa era da un lato quello di rendere il Cantone un datore di lavoro più attrattivo, dall’altro il venire incontro alle esigenze delle famiglie degli impiegati.

Sebbene i primi passi verso forme di lavoro non in presenza siano state compiute da anni, specie nel settore privato, non c’è dubbio che l’evento del Covid-19 abbia contribuito a diffondere una maggiore consapevolezza dell’utilità di telelavoro e home working, tanto in tempi straordinari quanto in quelli ordinari.

Se, in generale, questo strumento può essere utile per chi lavora e risiede a Coira per esigenze familiari, ci si chiede se in futuro non possa convertirsi in una opportunità per la Valposchiavo, il Grigionitaliano e per altre regioni periferiche di conservare una parte della propria forza lavoro svolgendo compiti per il Cantone. A riguardo del tema, abbiamo consultato i granconsiglieri della Valposchiavo, della Bregaglia e chiesto alcune opinioni anche a quelli del Moesano.

Proprio Nicoletta Noi-Togni, Granconsigliera e sindaca di San Vittore, aveva nel 2007 presentato una mozione pionieristica (co-firmata all’epoca da Livio Mengotti) che chiedeva il trasferimento nel Grigionitaliano del Servizio Traduzioni per la parte inerente all’italiano. “Sarebbe interessante – dice Noi-Togni – capire esattamente cosa si intende per telelavoro: lavorare completamente al proprio domicilio oppure lavorare da casa parzialmente, ritornando puntualmente in sede per riunioni, discussioni, ecc.? Molto utile per le famiglie un telelavoro “parziale” mentre ho delle perplessità sul lavoro svolto interamente da casa, perché l’uomo è un animale sociale. Se, tuttavia, parlassimo di piccole equipe, per esempio di grafica o traduzione, avrebbe più senso trasferirle anche nelle vallate del Grigionitaliano, generando un vero e proprio spostamento di posti di lavoro”. Le fa eco Manuel Atanes, socialista e rappresentante del Moesano in Gran Consiglio. “Credo che sarebbe utile generare dei posti di lavoro in zone periferiche, anche con il trasferimento di strutture. Faccio l’esempio del numero di emergenza: va rafforza una seconda centrale della polizia che risponda da San Bernardino e in lingua italiana. È essenziale poi che tra i posti di lavoro decentrati ci siano anche quelli di responsabilità e i quadri direttivi, per non creare due categorie di lavoratori. I 40 milioni previsti per la digitalizzazione, inoltre, potrebbero in questo processo giocare un ruolo importante”.

Sulla stessa linea dei rappresentanti della regione Moesa anche le dichiarazioni di quelli della Valposchiavo, indipendentemente dall’appartenenza politica. “Per quello che concerne le ricadute, tutto dipende da quanti vallerani lavorano per l’amministrazione cantonale e non sono domiciliati in valle – sostiene l’UDC Pietro Dalla Cà – e verificare quanti di costoro sarebbero disposti a tornare in Valposchiavo. L’unica soluzione in grado di portare ricadute durature in valle nel settore dell’amministrazione cantonale è quella di aprirne fisicamente un ufficio in loco, anche solamente per una decina di persone!”.

Pietro Della Cà

Concorda con Della Cà anche Giovanni Jochum, liberale e Podestà di Poschiavo, secondo cui “Ora si tratta di pubblicare i nuovi posti di lavoro (sostituzioni e nuovi posti) in modo tale da permettere ai candidati di prestare il lavoro dal proprio domicilio. Chiaramente se viene indicato il posto di lavoro Coira o il centro regionale di Samedan, questo incita i futuri impiegati a spostarsi nelle loro vicinanze e a lasciare le valli. Proprio nel contesto della rappresentanza linguistica, per quanto ci riguarda, dovrebbero esserci persone italofone in tutti i dipartimenti e a tutti i livelli. Una parte di queste persone potrebbe sicuramente lavorare da casa e magari una o due volte al mese passare una giornata di coordinamento e lavoro nella capitale.”

Anche secondo il PDC Alessandro Della Vedova “La soluzione reale è lo spostamento di un ufficio. Tutto il resto è pura demagogia. Il rischio, anzi, è che il telelavoro non decentri alle zone periferiche, ma permetta all’amministrazione di ricercare le competenze che fatica a trovare in loco in zone ancora più urbane, come la regione zurighese!”.

Maurizio Michael, liberale e rappresentante della Bregaglia, nonché professionista dell’ambito informatico, è invece una voce più fuori dal coro: “La domanda che si pone non è tanto quella di spostare i posti di lavoro nelle valli periferiche, ma piuttosto quella di valutare e sviluppare ulteriormente nuovi modelli di lavoro flessibile. Il focus non va perciò più posto sull’individuazione degli uffici da spostare nelle aree decentrate, ma piuttosto sull’individuazione e sulla motivazione degli impiegati o dei futuri impiegati a voler spostare, prendere o mantenere il proprio domicilio in una vallata periferica. Questo cambiamento di paradigma è indubbiamente interessante per le regioni periferiche che spesso offrono a chi vi abita una qualità di vita maggiore o quantomeno diversa da quella delle grandi agglomerazioni”.


Maurizio Zucchi

Maurizio Zucchi
Membro della redazione

1 COMMENTO

  1. Spero proprio che sia la volta buona! É dall’avvento di Internet 25 anni fa che aspettiamo lo spostamento di posti di lavoro in periferia da parte del Cantone. Il centro Sinegia appena inaugurato a Coira mi rende peró scettico…. vedremo. Grazie a Giovanni Jochum per l’interpellanza é importante farsi sentire.