18 tappe, 20 giorni di gara, 2908 km in 76h 36′ 01” con un piazzamento finale al 110° posto. Questi i numeri di Matteo Badilatti alla Vuelta, grande classica ciclistica spagnola conclusasi da poche settimane. Rientrato in quel di Poschiavo per qualche settimana di meritato riposo, Matteo si è gentilmente concesso alla domande de Il Bernina.
Ciao Matteo, allora, partiamo subito: ci racconti la tua Vuelta?
Direi che l’esperienza alla Vuelta è cominciata molto bene e la prima settimana mi sentivo in forma. Sono riuscito a lavorare per il mio compagno di squadra Dan Martin, facendo magari gli ultimi chilometri di gara tranquilli per risparmiare la gamba in previsione delle tappe successive. Purtroppo all’inizio della seconda settimana ho preso un virus intestinale che mi ha completamente debilitato. Nella sfortuna è andata bene, in quanto ho avuto i primi sintomi prima di una tappa pianeggiante. Quella notte, fra dolori e febbre alta, oltre a non essere riuscito a mangiare non ho nemmeno dormito mentre nei giorni successivi ho faticato tanto per arrivare al traguardo. Per tutta l’ultima parte della Vuelta ho dovuto fare i conti con gli strascichi di questo virus; solo nelle ultimissime tappe ho iniziato a riprendere un po’ di forza. La mia resistenza è stata messa a dura prova e sono comunque molto soddisfatto di aver portato a termine tutto il percorso.
Come hai fatto a pedalare fino alla fine della Vuelta in queste condizioni?
Devo dire che non è stato facile, perché il corpo, senza glicogeno nei muscoli e con una perdita di peso e di liquidi, ha dovuto combattere l’infezione mentre affrontava in media 180 chilometri ogni giorno. Come dicevo sopra è andata bene nella combinazione con i giorni di gara, la febbre forte l’ho avuta solo durante una tappa in pianura in cui sono riuscito a resistere, anche grazie all’aiuto dei compagni. Proprio uno di questi ultimi, con cui dividevo la camera, per esempio, quando ha contratto l’infezione, nonostante ci abbia provato, ha dovuto mollare la Vuelta.
L’organizzazione e i sanitari non hanno pensato fosse Covid-19?
Ovviamente, in una gara super controllata come la Vuelta, l’opportunità è stata presa in considerazione. Prima della partenza ed in occasione dei giorni di recupero siamo stati sottoposti a dei tamponi e avevamo il dottore sempre con noi. Quando non sono stato bene mi hanno subito isolato, ho dormito sempre in camere singole nei giorni a seguire e ho dovuto rinunciare a tutte le attività collettive, finché gli esiti non hanno confermato che non si trattava di coronavirus.
Tirando le somme, cosa ti ha colpito di più di questa gara?
Sono rimasto veramente sorpreso per la sicurezza e l’organizzazione che sono state messe in atto per consentire lo svolgimento di un evento del genere. Come corridore, contrariamente ad altre volte, non ho trovato alcuna situazione dove mi sono detto: “Qui c’è un rischio!” Ogni centimetro del percorso era dotato di segnaletica, le distanze rispettate rigorosamente; praticamente ogni dettaglio dell’organizzazione era stato curato e messo in pratica nel migliore dei modi.
E la Spagna in emergenza come l’hai trovata?
La Spagna, come ci dicevano la gente e gli albergatori, chiudeva le regioni immediatamente dopo il passaggio della Vuelta. Una situazione surreale, nella quale noi corridori ci siamo sentiti privilegiati e fortunati a poter fare il nostro mestiere in maniera regolare e con tutti i comfort.
Fare il gregario di Daniel Martin, magari rallentare per conservare energie, è stata una nuova esperienza per te?
No, non è una novità, anche l’anno scorso ho fatto tante gare come gregario per i colleghi, l’obiettivo è fare la corsa in modo che il tuo compagno faccia il risultato migliore possibile.
L’irlandese Daniel Martin è un corridore molto forte che si è classificato al quarto posto in classifica generale. Quando hai un compagno così in squadra è un onore poterlo aiutare. Anche se a volte avresti le energie per correre più forte, la cosa giusta è risparmiarle, perché fai parte di una squadra con tutte le sue strategie e devi lavorare per un obiettivo comune.
La tua prima volta a un Grand Tour, 18 tappe, hai sentito la differenza rispetto al solito?
La mia gara più lunga in precedenza è stata il giro di Colombia con 12 tappe nel 2017. Ero, diciamo, già abituato a percorsi lunghi, ma non come la Vuelta. In tre settimane l’esperienza è stata diversa, ho potuto conoscere più a fondo il mio corpo, ho capito tante cose. Alla fine ho potuto tirare le somme di quanti giorni sono riuscito ad andare bene e quanti no.
La cosa che mi ha impressionato di più è legata all’alimentazione e quanto sia importante per affrontare gare del genere. Nel mio piccolo sono abituato a mangiare sempre le stesse cose per una settimana o dieci giorni di gara, ma farlo per tre settimane, nonostante il bravissimo cuoco della Israel, diventa veramente difficile. Eppure se non mangi un giorno lo paghi per i due o tre successivi in gara, non puoi farlo, devi tenere il serbatoio pieno di energie fresche. Non pensavo questo aspetto fosse così determinante.
A proposito di Israel, è vero che dall’anno prossimo sarai un corridore della Groupama-FDJ Cycling Team?
Ufficialmente, fino al 31 dicembre 2020 sarò un corridore della Israel Start-Up Nation, quindi fino a quella data i colori che indosserò, anche in allenamento, saranno quelli. Però posso confermarti che dal 1 gennaio 2021 entrerò a far parte della storica società francese. Subito dopo la Vuelta ho svolto le visite mediche e altri adempimenti di rito per la Groupama-FDJ.
Cosa ti ha spinto a questa scelta?
Diciamo che alla Groupama troverò un’ambiente più europeo, più familiare rispetto alla Israel. Mi è piaciuto il progetto che mi hanno prospettato e la squadra “da sogno” con cui gareggerò. È esattamente l’ambiente e la squadra dove volevo essere.
Infine una domanda non semplice. Uno sportivo, un amico, un poschiavino come Marino Zanetti ci ha prematuramente lasciato. Puoi dirci qualcosa su di lui?
Un ragazzo fantastico di cui serbo un bellissimo ricordo e non è una frase di circostanza. Marino è stato un VERO amico, un idolo, un esempio ed un maestro di vita. Marino vive e vivrà sempre tra di noi, donandoci la forza per andare avanti.
È stato un vero privilegio averlo incontrato, conosciuto e rimarrà sempre un grande amico per me!
A cura di Ivan Falcinella