Chissà quante volte siamo passati a fianco alla bottega di Francesco Gianoli. Magari in auto, di fretta e concentrati più sulla guida o a piedi, abbastanza attenti per notarla, ma senza entrare. La sartoria è lì, nel suo angolo, una presenza discreta, silenziosa e laboriosa. Non appariscente, né fuori né dentro.
Appena varcata la soglia e scambiate due parole con il suo proprietario, capisco subito che questo articolo non potrà diventare un’intervista. Non solo per il carattere informale del nostro colloquio, ma anche per il personaggio che mi ritrovo davanti. Piano piano capisco la strada che dovrò percorrere: farò io il lavoro del sarto, con lui: prenderò le misure, cercherò di guardare e ascoltare bene i dettagli e con la stoffa delle mie parole realizzerò un articolo pensato come un vestito su misura, un pezzo unico.
Dopo l’ingresso, mi ritrovo subito dentro il laboratorio. Ogni artigiano è un manifesto della propria attività e l’impeccabile aspetto del sarto Gianoli, dal vestito perfetto ai gemelli ai polsi, sobri ma elegantissimi, non fa eccezione. La radio diffonde la musica, ma il vero accompagnamento al lavoro è il canto delle acque Poschiavino, che giunge dalla finestra aperta.
Un cartello in un angolo della sala dove Francesco e il suo “corsista” Mario stanno lavorando riporta “1° giugno 2004: sono 40 anni che faccio il sarto!”. La storia, quindi, inizia il 1° giugno del 1964, ormai 57 anni fa. Francesco è un personaggio assolutamente antiretorico e ci tiene a non voler ripercorrere come una celebrazione il tempo che è passato. “Anche il mio papà era sarto – mi dice – ma non è che io avessi poi chissà quale passione in testa all’inizio. Un bel giorno (avevo sedici anni) arrivo a casa appena prima di Pasqua e gli comunico che non voglio più andare a scuola. «Chi vos fa?» mi chiede preoccupato. «Si miga» rispondo con tutta l’incertezza del ragazzino che ero. «Ma cume te sas miga? Se te vas plü a scöla te me finisas miga sü li stradi» sentenzia lui. E allora mi spedisce in sartoria, io prima venivo solo ogni tanto perché c’erano le ragazze, un po’ a scherzare – ammica un po’ – però mi piaceva l’odore dei tessuti…”
Da allora, in questo più di mezzo secolo, non moltissimo è cambiato o forse sì: forse un tempo, quando c’era la bottega di suo padre, il sarto aveva i suoi clienti in paese, a Poschiavo, e li conosceva vis-à-vis. Oggi, invece, forse alcuni neanche sanno più che c’è un sarto a Poschiavo, la sartoria è diventata un prodotto più “di lusso” e i clienti si devono quasi andare a prendere lontano, nella Svizzera tedesca.
“Perché è un prodotto di lusso? Guarda questa giacca da uomo – mi dice con pazienza – è tutta cucita a mano, come tutti i miei vestiti. Per realizzarla ci vogliono 80 ore di lavoro”. E poi naturalmente, penso io, c’è anche la materia prima di qualità… Non ho bisogno di chiedere altro.
“Dai 16 ai 29 anni sono stato in giro: Losanna, Zurigo… E poi ho aperto la sartoria e lavoravo un po’ su misura e un po’ per confezioni. La vera svolta è arrivata con l’alluvione del 1987. L’acqua si è portata via tutto: la sartoria, la casa. Avrei potuto andare a Basilea, un sarto lasciava e avrei avuto negozio e i clienti. Ma io e mia moglie avevamo già quattro figli (oggi sono sei) e poi volevo restare. Però ho capito che dovevo cambiare un po’ di cose. Sono entrato nell’associazione dei sarti e ho cominciato a guardare a nord e a sud. A nord per la clientela delle città della Svizzera tedesca, a Sud perché in Italia, tutto sommato vicinissimo a Poschiavo, c’è Milano.”
Ora a Francesco brillano quasi gli occhi quando mi spiega di aver avuto la fortuna di avere contatti con i sarti della città della moda, non quelli dei manifesti, ma quelli che hanno davvero creato lo stile, il made in Italy.
Se deve citarne due, non ha dubbi. Li chiama “maestri”: Giovanni Cesaria e un suo collega e amico anche di oggi, Giuseppe, per lui semplicemente “Pippo”. Qui da un angolo il silenzioso “studente” di Gianoli, Mario, interviene per precisare “Se chiedi a Pippo, poi, ti dirà che il maestro è Francesco!” Perché anche i corsisti del sarto vengono portati una giornata a Milano, a “respirare l’aria” delle sartorie meta dei pellegrinaggi lavorativi di Francesco.
“Dai maestri ho imparato tutto. Lavorando con loro, ovviamente. Giovanni Cesaria mi ha insegnato la regola d’oro per la giacca da uomo…” E qui il sarto Gianoli mi spiega quanti centimetri di tessuto occorrono per la realizzazione precisa di una parte della giacca taglia 50, ma anche se annuisco non colgo appieno la sostanza del segreto: come detto sono un artigiano delle parole e non del tessuto. Però capisco il senso di quel che mi dice dopo “Non ho chiesto il perché, lo ho fatto e basta. Ed era giusto. E quindi anche oggi quando i miei corsisti me lo chiedono rispondo che è così e basta!”
Mi faccio l’idea che alla fine quello del sarto è un mestiere, non un lavoro. Come quello dei pittori di un tempo, o quello di alcuni artigiani che lavorano la pietra o il legno, per esempio. Un qualcosa a scuola si può imparare, ma il grosso si impara a bottega. Guardando chi fa, facendosi insegnare e facendo… Un tempo Gianoli teneva degli apprendisti, ma oggi non più. “Preferisco dare dei corsi a chi è interessato veramente. Ci vuole tempo per insegnare, passione per imparare e pazienza un po’ da tutte e due le parti”. Gli allievi (rigorosamente uno alla volta) vengono soprattutto dalla Svizzera tedesca, ma non solo. Ci sono state, per esempio, anche due ragazze valtellinesi! Dalla Valposchiavo non ancora…Intravedo un po’ di dispiacere dietro al volto per il resto molto sorridente.
Ci sono allievi che arrivano per pura passione, come un professionista che fa tutt’altro lavoro ma è interessato alla sartoria e altri, come Mario, che sono invece determinati a intraprendere questa professione. Mario, con una vita che dal Messico lo ha spinto in Argentina, a Los Angeles (dove ha imparato il disegno) e poi in Svizzera, dove vive con la moglie, è perentorio: “Al maestro – Gianoli ndr – dico sempre che lui è la vecchia scuola e io sono la nuova generazione della vecchia scuola. Il disegno è fantasia e confezione… E poi in 12 ore hai una giacca. La sartoria, invece, è un lavoro da maestri. Loro ci mettono 80 ore a fare una giacca… Io per il momento 100. Non si può imparare nelle scuole. Le scuole sono loro!”
Chiedo ancora a Gianoli se non è dispiaciuto che nessuno dei suoi figli abbia intrapreso il suo lavoro e continuato la sua attività e mi ritrovo un bel sorriso e una risposta inattesa “Ma non importa! Il mio lavoro continua attraverso i miei allievi, come Mario!”.
Saluto, faccio qualche foto e me ne vado da questo luogo singolare ma affascinante. Alle mie spalle il lavoro riprende, intenso ma silenzioso, perché, come dice Francesco “Qui si cuce con il ditale… ”.
Maurizio Zucchi
Mitico e bravo sarto Francesco Gianoli con il quale ho avuto la fortuna di condividere momenti indimenticabili a Losanna! In zona Cimavilla porta avanti una tradizione artigianale caratteristica; a fianco ha operato per tanti anni Lüis, indimenticabile fabbro di riferimento per tanti Poschiavini.
Esendo Francesco, mio fratello ho voluto leggere l’articolo con maggiore gusto e curiosità . Un sincero grazie a Mauriziio che ci hai dato questa opportunità.
un caro saluto
damiano
Complimenti al reporter per l’articolo su questa nobile professione che purtroppo stà per sparire. Forse ci saranno anche altri media che scopreranno “quell’ angolo”.