Un sole generoso ha coronato, sabato 21 agosto, l’inaugurazione del nuovo Centro di conservazione beni culturali, illuminando la nuova struttura, tutta in legno, di riflessi quasi dorati.
La costruzione, voce nuova dentro i rumori del vecchio Mulino Aino, pare lì a raccontare il continuare della storia, flusso continuo, come l’acqua che scorre nella gora lì vicino.
Dopo un saluto di benvenuto da parte del presidente dell’Associazione pro Mulino Aino, Adriano Menghini, la parola è passata a Paolo Raselli, presidente dell’Ente Museo Poschiavino che ha ufficialmente consegnato al pubblico la nuova struttura, dicendosi felice che “la nostra memoria sia finalmente al sicuro”. Il Museo non può infatti contenere tutto il materiale raccolto negli anni, e tanti erano gli oggetti sparsi in diversi solai, custoditi tra mille difficoltà e precarietà. Oggi, grazie ad un grande lavoro di squadra, oggetti quotidiani che hanno fatto la nostra storia hanno un posto protetto, asciutto e catalogato.
Ad aver concepito la nuova struttura è Urbano Beti, il quale ha spiegato in parole quello che sulla carta, e poi sul posto, ha progettato e realizzato: una costruzione tutta in legno, praticamente senza aperture, monolitica, pensata per garantire una conservazione ideale degli oggetti che avrebbe contenuto. Uno scrigno capace di custodire oggetti e la loro memoria, di proteggerli dalle tarme e dall’oblio.
Proprio per richiamare l’idea di contenitore, le pareti esterne hanno un intreccio particolare: ricordano le ceste in vimini. Per la costruzione in legno si è usufruito del legname ottenuto dai boschi decimati in seguito alla tempesta Vaia del 2018, e addirittura, per un’impronta quasi simbolica, qualche trave è stata segata nella vecchia segheria del complesso d’Aino. E la vecchia segheria ad acqua lì vicino, pareva ascoltare con orgoglio quelle parole.
A rendere onore alla giornata di inaugurazione, anche il discorso in italiano (brava! davvero) della direttrice del Museo Retico di Coira, la drssa Andrea Kauer, che ha definito assolutamente professionale il lavoro museale svolto in Valposchiavo. “Raccogliere, conservare, esporre e divulgare sono le quattro parole che riassumono il compito di un Museo” e ha poi aggiunto che “qui viene scritta la storia”.
E la storia ha inondato i visitatori appena varcata la soglia della struttura: il profumo del legno nuovo si è subito mescolato al profumo dei ricordi di ognuno.
Adriana Zanoli, coadiuvata da Irena Papacella e Vincenza De Monti, è stata incaricata della catalogazione e sistemazione di tutti quegli oggetti. Bella sfida: tre piani di vuoto a disposizione da organizzare, tantissimi oggetti da scegliere, pulire (non restaurare), fotografare, numerare e sistemare. Le brillano gli occhi mentre ci mostra l’ultimo dono arrivato proprio la mattina dell’inaugurazione: una borsa di vecchie bottiglie in vetro, dove un tempo il negozio Pozzi travasava l’olio d’oliva per venderlo al dettaglio. Tra bottiglie tutte chiare e impolverate anche una bottiglietta marrone con ancora un po’ di liquido ramato sul fondo, con inciso sul vetro: Elisir di lunga vita! Anche queste troveranno un posto in uno degli scaffali distribuiti sui tre piani. Al momento sono circa 4000 gli oggetti che già hanno trovato “casa”, suddivisi in categorie: trasporti, botteghe, casalinghi, stalla e campi, tessili…Quanta storia dentro quegli oggetti lisciati dall’uso, dalla fatica, nati dall’ingegno di chi aveva poco, ma si dava da fare! E’ più di un deposito questo contenitore: il profumo del legno e quello della memoria trattengono un tempo sospeso, fermo, ma capace in ogni momento di raccontarsi e rianimarsi.
Si esce contenti da quella visita, con un senso di appartenenza addosso, di radici, e di gratitudine per chi ci ha preceduto e per chi oggi si impegna a trattenere.
Fuori è il rumore dell’acqua a guidarti: è lei la vera protagonista del Complesso artigianale Mulino Aino. Scende dal lago bianco, arriva a spianarsi sul fondovalle, viene in parte deviata dal fiume, e prima di incanalarsi nella gora, con un sistema di saracinesche, deposita sabbia, usata per secoli nelle costruzioni locali. Poi scorre avanti offrendosi alle donne che un tempo lavavano così lenzuola e vestiti: un asse inclinato sulla gora a facilitare la fatica di strofinare. Acqua che prima di tornare al fiume ha ancora energia da regalare: farà girare le macine del mulino a pietra, attiverà la fucina e muoverà, grazie ad ingegnosissime ruote dentate e carrucole, le grandi seghe in segheria. Ecco, il ciclo è compiuto, finalmente tornerà al fiume e al suo lungo percorso fino al mare.
C’è ragione di festeggiare, un tendone accoglie i visitatori per un pranzo in compagnia. L’ospite più giovane è un neonato di poche settimane, ha un nome significativo: Noël. E’ anche per la sua generazione che questi “scrigni della memoria” acquistano senso, per loro che senza il filo rosso di un museo capace sempre di raccontare e reinventarsi, perderebbero le radici e una memoria storica collettiva.
Serena Bonetti
Grazie Serena per l’ottimo articolo, ma soprattutto grazie Urbano Beti per il tuo fantastico progetto – è bellissima la costruzione, bravo! – e grazie a tutti quelli/quelle che hanno contribuito e contribuiscono a mantenere la nostra memoria al sicuro.