“Lettere dalla Svizzera alla Valposchiavo” è una rassegna che pare davvero partita con il piede giusto. Lo testimoniano il successo di pubblico e di critica, come si dice in questi casi. Abbiamo intervistato la sua ideatrice, Begoña Feijoo Fariña, per tracciare un bilancio della manifestazione.

Buongiorno Begoña, sei soddisfatta di come è andato il Festival letterario?
Sono immensamente soddisfatta. E lo sono davvero di molte cose: dell’affluenza del pubblico, dei nostri autori, della collaborazione con i mediatori, del libraio, di chi ci ha ospitato e nutrito, dei volontari. Non sono soddisfatta: sono iper-soddisfatta. Temevo che questo ingranaggio così complesso a un certo punto si sarebbe rotto, o inceppato: invece non è mai successo! La strategia, che credo sia stata vincente, è stata quella del “file aperto”. Avevo un file in cui ogni volta che avevo un dubbio, un pensiero, un’idea la segnavo e poi la portavo a compimento o comunque la prendevo in considerazione.
Un lungo lavoro, quando è cominciato?
Escludendo quella che possiamo chiamare la fase di incubazione, diciamo da quando abbiamo detto “Ok, partiamo” sino a oggi, c’è voluto più o meno un anno.
Questo mi fa intuire che forse presto dovrai iniziare a pensare alla seconda edizione?
A dire la verità per la seconda edizione abbiamo già quasi tutte le idee in chiaro. Questo grazie anche a un motore eccezionale come il nostro gruppo di lavoro… Che forse si allargherà!
Vinta anche la scommessa della formula della letteratura plurilingue?
Sì, devo dire che la abbiamo fortemente voluta e realizzata. Alcuni incontri sono stati in due lingue, altri no, è dipeso un po’ anche dall’autore. A volte alcuni autori tedescofoni che sapevano l’italiano, per esempio, hanno voluto parlare direttamente in italiano. Quello che volevo è che vi fossero più lingue federali presenti sul palco. E la gente lo ha apprezzato.
Il pubblico da dove proveniva?
Per certo so che sono venute due persone dall’Italia per tutto il fine settimana, poi da diverse regioni della Svizzera (c’erano ticinesi, ma anche romandi), e poi engadinesi, gente del posto. Una parte rilevante del pubblico era formata dagli stessi autori, dai volontari, dagli aiutanti.
E da oltrefrontiera?
Dalla Valtellina abbiamo avuto alcuni volontari, ma è mancata la partecipazione nel pubblico: ecco, se c’è una cosa sulla quale certamente ci dovremo concentrare è capire come riuscire a farci più pubblicità nel tiranese e non solo, per attirare un po’ del pubblico potenziale di quella zona. Uno dei nostri scopi è anche quello di far conoscere all’estero la letteratura svizzera!
Se tu avessi potuto cambiare qualcosa, cosa avresti cambiato?
Mah, proprio cambiato forse nulla. Diciamo che forse, assistendo agli incontri, credo di aver intuito che ci vorrebbero più letture. Ora: lo scopo del Festival è far conoscere un autore e non una singola opera… Eppure, avere più letture nelle varie lingue, come nel riuscitissimo evento “Viceversa” sarebbe una buona idea.
E quale è stato l’evento o l’incontro più riuscito?
Mah, ne vorrei scegliere due: da un lato la performance d’inaugurazione, dall’altro proprio l’evento “Viceversa”. Ma di quest’ultimo lo sapevo già… Nel senso: erano presenti quasi tutti gli autori! Diciamo che la performance iniziale e “Viceversa”, per dirla in modo riassuntivo, racchiudevano già in sé quello che il festival voleva fare ed essere.
Hai già ringraziato moltissime categorie… Manca qualcuno?
Sì, voglio esprimere un ringraziamento particolare alle “ragazze” del laboratorio per i bambini, tutte provenienti dalla Valposchiavo, che hanno trasformato il salone parrocchiale in un luogo speciale. Sembrava davvero che fosse sempre stato così, che fosse stato pensato in quel modo. Tutti insieme, coloro che hanno lavorato a questo festival, sono un gruppo che mi ha fatto sentire orgogliosa e fortunata, professionalmente e umanamente.
Dietro le quinte, come è stato il riscontro da parte degli autori?
Gli autori hanno confermato appieno la sensazione, che era poi uno dei nostri grandi desideri, di aver creato una piccola comunità di persone, di arte, di letteratura. Certo, una comunità effimera, che è durata pochi giorni, ma ognuno porta a casa anche quello che gli altri hanno detto. È proprio per questo che assume importanza la nostra scelta di ospitare tutti gli autori che potevano dal primo all’ultimo giorno. È bello che chi poteva si sia fermato, perché ha contribuito a creare affiatamento e scambio.
C’è molto lavoro dietro al festival, anche tuo immagino…
C’è tantissimo lavoro. E, al di là dei volontari, che sono stati utilissimi, abbiamo cercato di remunerare un po’ tutti coloro che hanno partecipato. C’è una mentalità secondo la quale organizzare eventi e lavorarci deve essere fatto come un’opera di volontariato. Ma io non sono d’accordo: credo che, dove possibile, il lavoro, che è un lavoro vero, vada pagato. Chiaro, siamo riusciti a far avere a volte un compenso pari a poco più di un rimborso spese, però è un segnale importante.
E il mio lavoro? Credo che siamo a oltre 600 ore in tutto.
E il sostegno diciamo… Esterno?
Abbiamo avuto come media partner la «SRG SSR», che non è proprio una cosa di tutti i giorni, e una buona copertura mediatica generale. Se intendi invece a livello finanziario, diciamo che i comuni, Poschiavo e anche Brusio, hanno entrambi fatto la propria parte e ci hanno aiutato. Anche Brusio, e ci tengo a ringraziarlo, nonostante non ci fossero eventi proprio sul territorio comunale.
È stato anche fondamentale il sostegno di molti altri finanziatori, non pubblici, ma comunque generosi che hanno colto l’importanza di quello che volevamo fare.
D’altra parte, invece, mi piacerebbe, per il futuro, avere un po’ più di sostegno da parte del Cantone.
E per il 2022, abbiamo allora già le date?
A giorni avremo anche le date del 2022.
E come si dice in questi casi, “restate connessi”.
Maurizio Zucchi